Frequentazione paritetica dei genitori: punto di partenza o eccezione? di M. Maglietta
Con l’ordinanza 3652 del 2020 la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto, da applicare in regime di affidamento condiviso: "la regolamentazione dei rapporti fra genitori non
conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice di merito che, partendo dalla esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e esplicazione del loro ruolo educativo..
Questa decisione è stata salutata da alcuni come il definitivo superamento del concetto di paritetica bigenitorialità, che ha portato più volte a richieste di paritaria presenza nella vita quotidiana dei figli, sulla base della norma stessa, che al figlio attribuisce il “diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori” e “di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi”, senza alcuna gerarchia o discriminazione tra di essi. Altri invece l’hanno semplicemente considerata come la conferma di conclusioni già acquisite, che ancora una volta dava ragione a prassi consolidate, ancorate a schemi monogenitoriali.
La questione appare tuttavia più complessa. L’effetto di un’applicazione fedele del suddetto principio conduce effettivamente a togliere alla pariteticità la posizione di privilegio che alcuni le attribuiscono, ma non si spinge a caldeggiare modelli alternativi. Il criterio base diventa l’interesse dei figli valutato caso per caso, in cui i requisiti della bigenitorialità sono solo una delle componenti. Ovvero, un potere discrezionale illimitato che esporrebbe l’utenza (le parti come i difensori) alla tentazione di proporre qualsiasi assetto, tanto tutto è possibile. Infatti, se il paritetico ruolo dei genitori scompare, manca anche qualsiasi allusione al modello monogenitoriale per il quale fin qui la Suprema Corte ha espresso la sua netta preferenza. Si consideri, ad es., la formulazione di Cassazione 28244 (4 nov. 2019): "in materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale (…) rappresentato dall esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo.. (Cass. 14840/2006)". Un enunciato che si ritrova, pressoché identico nella successiva Cass. 30191/2019, che evita di indicare esplicitamente una collocazione privilegiata ma, con una certa ingenuità, invoca il precedente dell’ordinanza 18817 del 2015, dove invece questa è presupposto ineludibile, leggendosi che: “l’individuazione del genitore collocatario deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell'unione…”. E’, tuttavia, il rinvio a Cass.14840/2006 che maggiormente impressiona, visto che questa riproduce ancora i medesimi concetti con i medesimi
giri di parole rimandando a Cass. 19 aprile 2002, n. 5714 (“in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale …
dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che a appaia il più idoneo a ridurre al massimo … i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare”, a sua volta filiata da varie altre come, ex pluris, Cass. 6312/1999 e 10791/1887. Solo che quelli erano i criteri dell’affidamento esclusivo. Una coincidenza imbarazzante. Se ne conclude, con un certo sconforto, che per questa via, ovvero se l’interpretazione della Suprema Corte è corretta, il Parlamento ha lavorato per 12 anni e 4 legislature solo per cambiare il nome al medesimo istituto: visto che della medesima bocciatura è stato oggetto anche l’altro fondamentale pilastro dell’affidamento condiviso, la forma diretta del mantenimento, che avrebbe dovuto sostituire quella mediante assegno (salvo necessità integrative), ma che la Corte ha sistematicamente respinto. Oppure si dovrà concludere, con altrettanta preoccupazione, che il potere legislativo può essere scavalcato senza problemi da quello giudiziario.
Comunque, preso atto della scelta di Cass. 3652/2020 dell’interesse del minore come criterio guida conviene verificarne anche la logica interna, Dunque, l’affermazione che la pariteticità della frequentazione non sia obiettivo da perseguire a qualunque costo è ovviamente condivisibile. Non a caso esempi di deroghe (come la tenerissima età dei figli, la distanza delle abitazioni e gli impegni assorbenti dei genitori) si trovano anche nelle linee-guida dei tribunale più fedeli alla pariteticità, come quello di Brindisi. Ciò, tuttavia, non impedisce che quell’equilibrio resti una opzione da considerare prioritariamente e che una scelta diversa debba essere specificamente e concretamente motivata, evitando generiche formule di stile. La giurisprudenza attuale – anche di legittimità – è schierata invece sulla posizione opposta: la frequentazione sbilanciata è la regola (la suggeriscono le “istruzioni” distribuite pressoché in ogni cancelleria) e solo in casi particolari si ottiene la pariteticità. D’altra parte, nella formulazione antecedente al 2006 il modello di affidamento è nettamente separato dall’interesse dei figli, non perché quest’ultimo fosse all’epoca meno importante, ma perché si dava per scontato che una collocazione prevalente corrispondesse sempre e comunque al loro
interesse, che quindi veniva invocato a parte solo per le decisioni altre, per tutti gli aspetti che dovevano ancora essere definiti: “Il giudice che pronuncia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Analogamente, per il testo attuale può affermarsi che il diritto alla piena bigenitorialità (frequentazione equilibrata e compiti di cura per entrambi i genitori) ha una vita a sé stante al primo comma e finalizza alla propria realizzazione l’intero secondo comma attraverso il relativo incipit: “Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa.” In altre parole, concludendo, ancora la scelta del condiviso vero – ossia le pari opportunità per il figlio di accedere ai due genitori – già di per sé soddisfa un primario interesse/diritto e quindi ad esso si procede
direttamente, in assenza di oggettivi impedimenti, mentre solo per la sua specifica declinazione il giudice si ispira di volta in volta all’interesse, che interviene secondariamente.
Marino Maglietta