SANREMO 21 ottobre 2016 : COME EVITARE L’ALIENAZIONE PARENTALE
COME EVITARE L’ALIENAZIONE PARENTALE
Prima del parlare del cosa sarebbe utile fare per evitare, prevenire che si strutturi nel corso di una separazione quella che viene descritta come PAS, sarebbe meglio riflettere sul perché sia necessario e fondamentale farlo.
Prima di tutto perché intervenire quando un genitore non riesce da tempo ad incontrare il figlio è sempre molto difficile e richiede tempo, risorse, una rete di servizi molto efficiente con degli operatori, con dei clinici, psicoterapeuti adeguatamente formati. Come dice Montecchi nel suo ultimo libro (“I figli nelle separazioni conflittuali e nella -cosiddetta- PAS”) la mediazione familiare deve essere terapeutica, svolta quindi da psicoterapeuti. Intervenire è molto difficile, lo stesso autore ammette “Il massacro psicologico a cui vanno incontro i bambini coinvolti nell’alienazione di un genitore emoziona e scuote, a volte indigna, ma impegna duramente in un intervento clinico-terapeutico estremamente difficile nell’intraprenderlo e soggetto facilmente all’insuccesso.”
La mediazione deve essere terapeutica perché il bambino struttura una relazione disturbata con entrambi i genitori, quindi va ricostruita la relazione con i genitori, essa va assolutamente mantenuta, attivando anche le risorse di entrambi.
L’alienazione è una dinamica familiare che ricade sul bambino. Il fine degli interventi deve essere sempre il bambino, ciò che vive. Infatti, ciò che si fa e che succede si ripercuote sulle sue emozioni, sul suo mondo interno. Il punto centrale è sempre il funzionamento mentale dei figli.
Quindi “evitare” la PAS diventa importante per prevenire gravi psicopatologie e vite non realizzate. Ci sono ricerche che evidenziano che quando un minore vive con un solo genitore ha più probabilità di non finire gli studi (Zoja, “Il gesto di Ettore”).
Lo studio può diventare l’ultimo dei problemi o un modo per sfogare la propria rabbia e infelicità (il nucleo è certamente depressivo). Bisogna cercare di diminuire la sofferenza, perché sarà proprio questa sofferenza a spingere il minore ad allearsi col genitore che fa più paura, probabilmente anche il più disturbato. Il meccanismo di difesa è la scissione, il negativo è messo su un genitore e il positivo sull’altro.
Più c’è conflitto e più la scissione può essere vista come una difesa per tirarsene fuori. Il bambino si sintonizza e si lega simbioticamente con un genitore per mantenere l’illusione della garanzia di un legame affettivo, purtroppo con gravi esiti psicopatologici nel corso del tempo. Scegliere un solo genitore porta spesso a perderli entrambi. “I bambini non hanno bisogno dei genitori solo perché questi li accudiscano nelle loro necessità reali, ma hanno bisogno di due genitori che vadano ad attivare, a mettere in risonanza le immagini interne: a costellare cioè gli archetipi materno e paterno corrispondenti, che sono in loro e che sono pronti a scattere in rapporto alla realtà che incontrano, a cui poi dovrà corrispondere il modello archetipo di maschile e femminile che vanno a costituire la base delle future relazioni sociali ed affettive…… Questi sono bambini in cui viene distrutta l’immagine di un genitore, ma in cui anche l’immagine del genitore scelto ne risulta immancabilmente danneggiata.” (Montecchi, relazione letta in un convegno a Montecitorio nel ’96, “Bambini a rischio nelle separazioni conflittuali: l’abuso sul minore”)
Inoltre prevenire la PAS è anche alleviare la sofferenza dei genitori. Nel libro già citato, Zoja cita studi sullo stress da separazione che colpisce in proporzione più gli uomini perché separarsi li porta a vivere molto meno con i propri figli, a separarsi purtroppo anche da loro. Anche per i genitori la depressione è il sintomo più ricorrente. La separazione porta, con sé, vissuti di fallimento e il vedere di meno i figli fa sentire ancora di più colpevoli. Entra nella testa l’idea di aver sbagliato qualcosa e la ricerca di questo qualcosa può diventare un’idea fissa che logora e deteriora ancora di più la propria vita.
Per evitare la PAS bisogna, innanzitutto, fare in modo che l’evento della separazione sia per i figli il meno stressante possibile. Si può anche non usare il termine PAS, ma per Montecchi resta un quadro di “grave disturbo post traumatico da stress”, un continuo maltrattamento psicologico che porta a difese estreme: scegliere di stare con un solo genitore, non pensare più all’altro. Addirittura il figlio non deve pensare, non deve porsi domande, per lui/lei è meglio non capire. Non sarà più libero nel pensare, ma dovrà pensare come il genitore alienante. L’attaccamento genitore-figlio diventerà distorto e malato e il bambino non arriverà a costruire un sistema mentale di autoregolazione delle emozioni né sarà in grado di gestirle, non potendo riconoscerle come proprie; sarà il figlio a doversi sintonizzare mentalmente e affettivamente con il genitore alienante e non viceversa, come sarebbe naturale.
Gli insegnanti spesse volte rilevano un deterioramento cognitivo e risultati inferiori alle attese. Possono anche dubitare delle capacità mentali del bambino. Essi sono, spesse volte, i primi testimoni dei danni derivanti da rapporti di coppia infelici e da separazioni conflittuali. Più la conflittualità è eccessiva e più si è a rischio di PAS. Delle volte è veramente difficile gestire un colloquio con entrambi i genitori tanto è il rancore, le continue accuse reciproche, l’incapacità di riflettere e accettare il punto di vista dell’altro. Spesse volte, mi viene in mente il libro di Recalcati, “Cosa resta del padre”, ecco, vedendo certe ex-coppie e come arrivano a “maltrattarsi”, io mi domando “cosa resta del loro amore”? Anche i figli se lo domanderanno: ma noi siamo nati da un amore? Nelle separazioni noi dobbiamo cercare di recuperare un po’ di quell’antico amore, dell’iniziale “sintonizzazione” della coppia.
Tempo fa ero ad un incontro presso il comune di Savona organizzato dall’associazione Papà Separati e alla fine era stato accennato all’utilità di corsi per coppie che si vogliono separare. Io ci avevo riflettuto. Io di cosa avrei parlato? Certamente di Penelope! Spesso quando si parla di separazione si ricorre al mito di Ulisse e si accenna a Telemaco. Ci sono testi che ne fanno un’analisi approfondita, ad es. quello di Recalcati (“Il complesso di Telemaco”), oltre al libro di Zoja.
Tuttavia si parla poco di Penelope. Eppure, a mio avviso, ci indica chiaramente la strada per confermare e conservare la bigenitorialità. Penelope di giorno tessa una tela e di notte la disfa. Questi sono gesti importanti e sacri, soprattutto agli occhi del figlio. Recalcati lo spiega nel suo libro: “non è l’assenza del padre (di un genitore) a essere traumatica in se stessa; dipende da come essa viene trasmessa simbolicamente dalla parola e dai gesti della madre (dell’altro genitore). La parola e l’atteggiamento della madre (di un genitore) ha il potere di significare l’assenza del padre (dell’altro genitore) in modi totalmente diversi… Con i suoi gesti, Penelope trasmette a Telemaco che l’assenza del padre è gravida di senso umano”. Con questi gesti riempie di dignità la sua figura agli occhi del figlio. Tanto che Telemaco nel canto XVI dell’Odissea dirà: “Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”. Ma il desiderio di Telemaco, puntualizza ancora Recalcati, “non è solo desiderio nostalgico del padre, ma che vi sia ‘padre’, in quanto rappresentante di una legge”, per noi la legge della bigenitorialità.
Questo al di là del valore dei genitori, anche con i loro difetti, ma servono entrambi! Non bisogna mai dimenticare che nel mondo interno dei bambini, anche in quelli più alienati, è sempre vivo il desiderio e la speranza di poter conservare entrambi i genitori. E Penelope, l’altro genitore, lo rende presente, vicino, anche se non c’è, dimostra al figlio che non lo dimentica, lui resta nei suoi ricordi e nel suo cuore. Secondo voi perché lo ricorda? Certo, lei lo ama, è il suo sposo. Ma lui deve continuare ad essere presente anche se non c’é. Perché? Anche questo viene spiegato dalla storia precedente. Perché Ulisse è andato in guerra? Perché era un guerriero? Come Achille? Certo che no, la sua figura di guerriero è diversa dalle altre: era forte e furbo, sarebbe stato utile per vincere la guerra con i troiani, ma lui non ci voleva andare! Perché aveva una famiglia: una moglie che amava e un figlio che adorava!
Lui era sposo e padre! Più il primo o il secondo? Pure questo caso è chiarito dalla storia, per capire bisogna sempre recuperare una storia, tutte le relazioni genitore-figlio sono influenzate dal passato. Come obbligano Ulisse ad andare in guerra e a lasciare la sua famiglia? Minacciano di uccidergli la moglie? No! Prendono il piccolo Telemaco e mettono la sua testa sotto il vomere affilato dell’aratro con la minaccia di tagliarla! Ulisse va in guerra per salvare il figlio. E’ anche per questo che Penelope lo ricorda e lo rispetta, dimostrando al figlio quanto il padre sia degno di essere aspettato e amato, non solo in quanto marito, ma in quanto padre.
Quando Ulisse si presentava non diceva che era il Re di Itaca, ma che era il padre di Telemaco! Un Re che si presenta come padre!! Infatti era andato in guerra perché gli avrebbero ucciso il figlio!
Riflettiamoci, questo è importante: quanti genitori si separano per salvare i loro figli da una vita che è diventata un inferno, da un clima familiare talmente deteriorato da rendere infelice chiunque. Molti lo dicono: quello che mi faceva più male era vedere il dolore, l’infelicità, negli occhi di mio figlio, per questo alla fine ho trovato la forza di separarmi. E per molti sarà affrontare una vera odissea. In questa odissea cercheranno l’aiuto di professionisti, a volte incontrando anche dei veri “mercenari”, o delle istituzioni, carenti d’organico o con operatori poco formati ad affrontare e gestire simili “guerre”. Spesso “ottuse decisioni o l’incompetenza operativa, realizzano un ulteriore ‘massacro’ istituzionale che si somma a quello genitoriale.” (Montecchi)
Quindi i gesti ripetuti di Penelope sono pieni di rispetto e di ricordi. I ricordi sono importanti, sono la prova di ciò che è stato e da dove viene Telemaco… concepito in quel letto che non si può spostare. Il ricordo del passato restituisce il marito e il padre tanto atteso in riva al mare perché rappresenta l’antico amore e Telemaco è nato da quell’amore, in quel gesto lui ne ha la prova.
Anche nelle separazioni i ricordi sono importantissimi, soprattutto i ricordi che provano l’antico amore. Infatti nella PAS quasi sempre le storie vere vengono cancellate, altre storie vengono riscritte. Il fine è dare tutta la colpa all’altro e spogliarlo di dignità. Questo è sbagliato, ognuno deve accettare le proprie responsabilità se una storia, un amore è finito. Lo ripeto, i figli hanno bisogno di sentirsi nati da una storia, da un amore. Non si risponde così alle prime domande sul sesso “i bambini nascono dall’amore di un papà e una mamma”! Ecco, spesse volte le coppie si trattano talmente male che si può arrivare a dubitarlo. Ma non può essere vero!
Ci deve essere stato un legame, un affetto e la storia di questo legame va conservato per i figli. Le coppie devono trovare dei gesti sacri, come Penelope, che diano dignità alle loro storie e siano la prova del legame affettivo che c’è stato. Conservare i ricordi, per non perderli, diventa, allora, conservare, rispettare l’altro nel ricordo. I genitori devono continuare a pensarsi in quanto genitori dei propri figli. Non è tanto importante essere un genitore che pensa al figlio che non ha con sé, né essere un figlio che pensa al genitore che non c’è, ma dimostrare di essere un genitore che pensa all’altro genitore dato che, in quel momento, è solo. Se i genitori danno prova di pensarsi, di ricordarsi a vicenda, dimostrano ai figli che nella loro testa la famiglia vive ancora, resta unita, proprio perché entrambi si riconoscono nel loro importante ruolo di genitori. Il rito sacro di Penelope diventa, e deve diventarlo sin dai primi giorni della separazione, la telefonata: chi ha il figlio con sé deve telefonare all’altro.
Questo gesto diventa “sacro” perché riconosce la dignità dell’altro e, soprattutto, lo rende presente pur nella sua assenza. Agli occhi del figlio i suoi genitori si pensano. Spesse volte si sente dire “lei può…ha diritto di telefonare a suo figlio tutte le sere alle 20!” come se fosse un riconoscimento o la prova che la bigenitorialità è tutelata! Quindi poter telefonare senza riceverle è l’opposto del diritto e la bigenitorialità ne viene completamente denigrata ed offesa. E’ svilente, per chi non ha il figlio con sé, telefonare per chiedere di potergli parlare. Certamente lo può anche fare delle volte, in certe circostanze, ma la regola deve essere che chi ha il figlio pensa e telefona all’altro, per poi passarglielo.
Anche una sera sì e una no, non è poi così necessario che avvenga tutte le sere: la separazione implica un lutto e il lutto va elaborato. Il genitore prepara il figlio alla telefonata, gli fa smettere in tempo altre attività ed interviene con autorevolezza se ne riceve un rifiuto. Il rifiuto rappresenta un’offesa nei confronti dell’altro genitore e va gestito. Se un nipote non volesse ripetutamente non salutare i nonni, sarebbe normale intervenire. Quindi la 1° lezione sarebbe ricordare il rito di Penelope. Ma imparare da esso non è così facile come sembra. Per le coppie non alienanti sì, ma per le coppie a rischio di alienazione proprio no, tanto che si può arrivare ad un netto rifiuto che va affrontato e risolto per evitare un’evoluzione sempre più alienante.
Un altro rito utile, per prevenire una sofferenza eccessiva da gestire conseguente al vissuto di perdita della propria famiglia e del genitore che non c’è, è rappresentato dal calendario. Nella casa di entrambi i genitori dovrebbe esserci un calendario, meglio in cucina che forse è il locale più vissuto, dove i giorni degli incontri e dell’alternanza vengono indicati all’inizio di ogni mese per permettere al bambino, soprattutto se piccolo, di avere la prova visiva che incontrerà il suo papà (o la madre). I giorni vengono segnanti per dare un’importanza maggiore a quelle date, in quanto appuntamenti con la persona cara.
Quei giorni vanno sempre tenuti a mente, ricordati, la vita deve anche essere programmata in funzione di essi. Ad es a casa della madre ci sarà scritto con un bel pennarello, e il bambino potrà scegliere il colore o cambiarlo di mese in mese, PAPA’, così a casa del padre in corrispondenza di quei giorni ci sarà scritto il nome del figlio o figlia. Questo è importante perché i bambini non hanno ancora una percezione concreta del tempo. Dire fra “3 giorni” può lasciare solo un senso di perdita, di vuoto. Se io indico che fra 3 giorni c’è scritto PAPA’ il bambino lo vede e questo è concreto, il papà è sul calendario, c’è il suo nome, come sul suo calendario c’è il mio di nome. Io sono sul suo calendario e lui vede il mio nome quando io non ci sono, quindi io resto lo stesso con lui, sempre. I figli devono sentirsi sempre pensati. Inoltre è la prova che lui ha un appuntamento con me, se lo vuole ricordare, perché è importante, io sono importante per lui, lui mi aspetta, organizzerà il suo tempo per stare con me e questo rappresenta un grande gesto d’amore. Così deve essere anche dalla mamma, sul suo calendario si ricorda del mio papà!
Per i bambini più piccoli è utile usare delle foto che rappresentano il tempo passato col padre, con la madre, all’asilo, ecc. Si prende un cartoncino grande abbastanza per dividere in 14 strisce corrispondenti ai giorni di 2 settimane. Ogni striscia è suddivisa in 3 parti: mattina, pomeriggio e sera dove vanno attaccate, o staccate a secondo dell’alternanza, le foto che indicano visivamente dove sarà il bambino e con chi. Per i bambini piccoli questo schema visivo serve più del calendario per far percepire più sicuro e concreto il legame con entrambi i genitori. In questi riti i padri e le madri dimostrano ai figli di essere per sempre, e nonostante tutto, i loro genitori. In quanto tali devono riuscire a sopravvivere nelle loro vite e nei loro cuori. “La vera e più grande eredità è sentirsi «figli di»” (Recalcati). Questo è ciò che il figlio-Telemaco chiede: il ritorno del genitore, noi diciamo dei genitori, dato che entrambi devono sopravvivere al dramma della separazione. Il messaggio a chi si separa è di riuscire comunque a sopravvivere come genitori: lo sbaglio è quello di farsi annullare.
Bisogna seminare bene nell’infanzia per poter affrontare i problemi nell’adolescenza dove ci sarà una richiesta da parte del figlio di avere più tempo per sé e per i suoi amici. Bisognerà dare più importanza alla qualità che alla quantità del tempo passato con lui o lei. Di nuovo si potrà ripresentare il rischio “alienazione”. Le difficoltà educative possono aumentare, se si è da soli è più difficile contenerlo. L’adolescente ha bisogno di avere davanti 2 genitori e un uno solo per volta. L’adolescente inizia ad avere più pretese, fa delle richieste, in particolare potrebbe voler decidere quando andare dall’altro genitore e per quanto tempo. Le amicizie diventano sempre più importanti e può instaurare i primi legami di coppia. Il tutto può essere usato dal genitore alienante. Se la coppia genitoriale si è separata anni prima, anche se c’era stato un intervento di mediazione, i problemi possono tornare e non sempre entrambi i genitori potrebbero essere disponibili a riparlarne, a scapito certamente di quello alienato o più emarginato. Purtroppo i figli ne risentono. La percentuale di abbandono scolastico o mancata prosecuzione degli studi è più alta fra i figli di separati. Proprio per questo Montecchi sottolinea l’importanza che il lavoro di mediazione possa avere dei colloqui a distanza di tempo, soprattutto in presenza di rischio di alienazione, con una data frequenza, anche di mesi. Questi avrebbero la funzione di “pattumiera-terapia” dove periodicamente liberarsi delle scorie nocive che rimangono o si ricreano col tempo fra le ex-coppie, in particolare in quelle che sono state più conflittuali. Purtroppo sembra che in certi servizi di mediazione pubblici venga posto un limite al numero di colloqui per ogni intervento! Certamente questo va a scapito della salute dei figli.
Infine c’è un altro aspetto a mio pare importante per limitare gli effetti delle azioni alienanti di un genitore sull’altro. Soprattutto quelle volte che il coinvolgimento di questo genitore è difficile. Bisogna assolutamente appoggiare il genitore che subisce l’azione alienante. Anche in questo caso ci viene in aiuto l’Odissea, dandoci un’importante indicazione. Quando Ulisse è finalmente arrivato a casa, e si è fatto riconoscere dal figlio. Ora i Proci vanno affrontati. Ulisse si traveste da vecchio e i Proci iniziano a umiliarlo. Telemaco è in subbuglio, vorrebbe che il padre reagisse subito. Ma Ulisse cosa fa? Gli dice che suo padre è tornato, è lì vicino a lui, gli resterà in ogni caso vicino, soprattutto non deve dubitare della vittoria finale. Ecco, il messaggio è questo, riuscire a sopportare l’umiliazione che ogni genitore che subisce un attacco alienante è condannato a vivere. Deve essere aiutato a non reagire, a sopportare l’umiliazione. Delle volte l’umiliazione è tremenda, fa dubitare di se stessi, si cercano le proprie colpe, sbagli. Bisogna aiutarli soprattutto nel rapporto con i figli, a come rispondere “con palle di neve alle palle di cannone”, e non è facile quando si è attaccati in ciò che si ha di più caro, il legame col figlio-a.
Andare avanti, sopportare l’umiliazione, restare presenti in ogni caso, sopravvivere, tornare sempre a rivedere il proprio figlio-a, anche se per poco, soprattutto durante l’adolescenza. Il genitore “alienato” non deve mai darsi per vinto, deve sopravvivere e tornare dal figlio. Come Ulisse da Telemaco.
(dott. Luciano Lensi, psicologo presso ASL3 Genovese, SCAC, via Pegli 10, )