Il caso Galloppo, omicida e suicida Otto luglio 2003, Genova
Il caso Galloppo, omicida e suicida Otto luglio 2003, Genova, ore 21.30. L’ispettore Saverio Galoppo, 47 anni, in servizio alla Questura del capoluogo ligure, si è da poco suicidato con la pistola d’ordinanza dopo aver sterminato la famiglia: la moglie Assunta Russo, 43 anni, impiegata alle Poste, da cui era separato dal dicembre 2002, e i figli Sara e Davide, di otto anni e quattro anni.
Galoppo viveva lontano dalla famiglia da otto mesi. Inizialmente c’era stato un tentativo di riconciliazione interrotto dalla moglie. Il consulente di coppia, cui i Galoppo si erano rivolti, precisa che Assunta Russo aveva voluto interrompere la terapia dicendogli: «Questa volta lo butto fuori di casa e lo metto sul lastrico» (Il Secolo XIX). «Ha aspettato che finissimo di pagare i mobili, le spese straordinarie del caseggiato, il mutuo decennale per agire e dirmi: “Dimostralo che è casa tua, te ne devi andare, non ti voglio in casa”» (Il Secolo XIX). Così, secondo Galoppo, si è materializzata la richiesta di separazione. Lo scrisse in una lettera inviata al suo avvocato pochi giorni prima della strage, Galoppo ripeteva che la sua vita era rovinata. Queste le dichiarazioni di un’amica dell’ispettore: «Poteva vedere i figli tre volte alla settimana, ma solo per poche ore. In più era rimasto senza casa ed era costretto a dormire in Commissariato (…) ripeteva: “Mi sveglio e mi trovo davanti un muro della caserma. In più non ho i miei bambini”» (Il Secolo XIX). L’ispettore era alla sua seconda separazione: «Dal punto di vista economico era sul lastrico: pagava il mantenimento alla prima moglie, e alla seconda un assegno mensile di 420 euro» (Il Secolo XIX). La conflittualità nella separazioni si svolge spesso attraverso atteggiamenti distruttivi e sentimenti di profondo rifiuto. In questo senso, l’ipotesi che la moglie di Galoppo perseguisse lo scopo di “gettare sul lastrico” il marito è rappresentativa di quella che per molti padri e madri separati o divorziati è una condizione reale. Tra Saverio e Assunta, come vedremo, la conflittualità che sfociava in violenza era all’ordine del giorno. Ma ciò nulla toglie al fatto che, come confermano anche le statistiche, per un marito avviare un procedimento di separazione o divorzio voglia dire scontrarsi con l’orientamento dell’affidamento esclusivo alla moglie-madre. Di conseguenza, versare un assegno di mantenimento (per i figli ma spesso anche per l’ex coniuge), perdere il diritto di abitare nella ex casa coniugale, farsi carico del costo degli spostamenti e di tutto ciò che può essere previsto nelle visite infrasettimanali e nei week end di turno, può causare – soprattutto quando parliamo di persone con un reddito medio-basso – un evidente impoverimento delle proprie condizioni di vita che in alcuni casi può arrivare alla mera sussistenza. Inolte, per Galoppo si prospettava una situazione affettivo-relazionale difficile da affrontare. Alcuni poliziotti hanno detto che si è trattato di uno sterminio familiare annunciato: la settimana prima del pluriomicidio, la moglie aveva fatto sapere al marito separato di essere intenzionata a trasferirsi con i figli in Puglia. «“L’ispettore Galoppo – spiega un suo collega – temeva che con il prossimo trasferimento della moglie e dei figli, non sarebbe più riuscito a vedere Davide e Sara, ai quali voleva molto bene. Probabilmente quella notizia è stata per Saverio la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso”» (Il Secolo XIX) E ancora sui figli: «Mio padre adorava Sara e Davide e loro stavano volentieri con lui» – racconta Aurora, la figlia avuta dal primo matrimonio – «Proprio oggi ( il 10 luglio, ndr) doveva partire per le ferie e andare coi bimbi ad Afragola. Lei (la ex moglie, ndr) si è impuntata ed è riuscita, non so come, a far convocare mio padre in tribunale il 14 luglio per la separazione. Così aveva dovuto rinunciare alle vacanze con i bambini e lui c’era rimasto molto male». (Il Secolo XIX). In generale, possiamo dire che interferenze e violazioni nell’esercizio del diritto di visita, ma anche il semplice disinteresse da parte del genitore affidatario nell’educare i figli ad un rapporto sano e costante con l’altro genitore, sono problematiche che di frequenza, pure se con modalità differenti, si rintracciano nelle separazioni difficili e che alimentano conflitti già esistenti. Anche l’avvocato matrimoniale di Galoppo ha qualcosa da dire in proposito: «La prova che la moglie non volesse affidargli i figli, anche per le sole vacanze, è il decreto di citazione che la donna aveva presentato nei giorni scorsi, con il quale chiedeva una visita psichiatrica sui figli, per cui Galoppo era stato convocato in tribunale il 14 luglio, mentre sarebbe dovuto partire con loro in vacanza il 10 luglio scorso», e aggiunge: «Secondo me, la moglie, consigliata sulla tempistica di queste citazioni, voleva evitare che il marito partisse per le vacanze con i figli. E questa cosa per Galoppo forse è stata determinante per decidere di farla finita» (la Repubblica). Infatti: uccide e si uccide appena prima della desiderata vacanza. Era violento Saverio Galloppo? Assolutamente no, affermano colleghi e conoscenti, ed anche il Questore di Genova. Nel lavoro non era una testa calda, ma era misurato, calmo, capace di un autocontrollo ferreo, di mediare anche conflittualità difficili. La leader del gruppo di protesta per la chiusura delle acciaierie di Cornigliano, Leila Maiocco, con la quale Galoppo si era confrontato in un contesto non facile, come rappresentante delle Forze dell’ordine, racconta: «era sempre conciliante e sensibile, quasi delicato» (Il Secolo XIX, 10 luglio 2003). Eppure: a seguito della denuncia della moglie, a carico dell’ispettore era stato aperto otto mesi prima un fascicolo dove si ipotizzava l’accusa di lesioni e maltrattamenti. La madrina della figlia Sara conferma: «Tina è stata diverse volte all’ospedale. L’ultima volta (lui) le aveva rotto un dito». E le amiche e le colleghe di Assunta Russo: «si metteva le maniche lunghe, anche in piena estate. Doveva coprire i lividi». E ancora: «Mi diceva che aveva paura di suo marito specialmente dopo la separazione. Temeva per sé e per i suoi figli, e soprattutto temeva che l’uomo glieli avrebbe portati via» (Il Secolo XIX). E però nei confronti dei figli questo padre in guerra con la moglie non era violento. Lo esclude la madrina di Sara, rispondendo a una domanda del cronista. Mentre la testimonianza dell’amica dell’ispettore include nel ritratto a tinte forti di una coppia precipitata nel vortice di rancori e cattiverie reciproche, la violenza di Tina su Saverio: «Quando litigavano anche lei (la moglie, ndr) alzava le mani. Era una donna molto aggressiva. Qualche mese fa, in pieno giorno, ha aggredito e preso a calci e pugni Saverio in mezzo a via Cornigliano» (Il Secolo XIX). Anche Assunta Russo, infatti, era imputata di percosse nei confronti del marito e sarebbe dovuta comparire davanti al giudice di pace in ottobre (La Gazzetta del Sud). La questione della violenza delle donne sui partner maschili è una realtà ignorata, sepolta dal mare magnum dei luoghi comuni e delle riflessioni stereotipate, in base alle quali, sempre e comunque, le donne hanno il ruolo delle vittime, gli uomini quello dei carnefici. In Italia, e in genere in Europa, né giornalisti né ricercatori, né tanto meno le istituzioni, oserebbero indagare l’altra faccia (scabrosa) della medaglia e, soprattutto, si guarderebbero bene dal divulgare i risultati. Nella patria (gli Stati Uniti) di quella iattura addormenta-coscienze che è il politically correct, invece, la reazione all’appiattimento degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, ha prodotto una reazione che dà spazio alle posizioni “dalla parte degli uomini”. E comunque l’America è sempre stata il paese di “tutto e il contrario di tutto” e vi ha sempre vigilato un certo spirito liberale che ha tenuto alta, per lo meno, la bandiera dell’oggettività. Così, nel 1998, una ricerca del Dipartimento di Giustizia del governo sulla violenza contro le donne (l’Against Women Survey) svelò che gli uomini assoggettati alla violenza domestica da parte delle mogli o conviventi erano il 40% circa dei casi totali di violenza. Negli stessi anni, una analisi condotta su oltre 77.000 casi dal Dipartimento di Psicologia dell’Università dello Stato della California ha riscontrato che le donne, con i propri partner maschi, sono violente quanto o più di costoro1. Inoltre, per citare una pubblicazione che molto ci aiuta ad inquadrare la case history di Saverio Galoppo, esiste da tempo la descrizione di una “Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio”, proposta dal professor Daniel Ira Turkat della Clinica Psichiatrica dell’Università di Stato della Florida (1995). Tra i comportamenti sindromici segnalati nelle donne divorziate, vi sono proprio l’eccesso di ingiustificate azioni legali contro l’ex partner, il tentativo di alienargli i figli e le gravi difficoltà poste nelle frequentazioni tra questi e il padre. Occorrerebbe, quindi, tenere conto in maniera equanime dei comportamenti eccessivi e dannosi di entrambi i partner coinvolti in una separazione difficile. Invece: nella prima udienza di separazione (detta udienza presidenziale, che si svolge in presenza delle parti ma nella quale non vengono accettate dichiarazioni testimoniali), a fronte della richiesta di affidamento avanzata da entrambi i genitori, il giudice decise che Sara e Davide sarebbero andati a vivere con la madre. In base alla seguente motivazione: «L’esigenza di un immediato provvedimento che impedisca il ripetersi di episodi violenti» e non tenendo conto del fatto che Saverio Galloppo aveva fatto presente di essere stato anche lui oggetto di violenza (Il Secolo XIX). Dal punto di vista garantista, la sentenza del giudice è criticabile, perché riflette il caso in cui un giudice civile emette una sentenza in base a prove che devono ancora essere accertate dal giudice penale. Ma occorre tener presente che nel nostro sistema giuridico, da un lato vige una preponderanza del “libero convincimento del giudice” rispetto all’esibizione e al riscontro delle prove, dall’altro – quando si tratta di giustizia matrimoniale – è possibile, e accettato, che il giudice civile consideri “prova” una denuncia di violenza, quando essa sia circostanziata e, a suo giudizio, inoppugnabile. D’altra parte, nessuno saprà mai cosa sarebbe cambiato per lui, per Assunta Russo, per i loro figli, dopo la prima udienza, quando, negli ulteriori gradi dell’iter giudiziario fino al divorzio, Saverio Galloppo avrebbe potuto esporre le proprie ragioni con l’appoggio dalla presenza di testimoni. E però possiamo immaginare il peso di una terribile conflittualità legale, che può ripetersi progressivamente innescando conflittualità sempre più elevate, su un marito e padre che ha il terrore di perdere i figli amati e vive ostacoli nel poterli incontrare, che odia la moglie e non accetta di essere colpevole per ciò che gli viene imputato. L’ultima citazione è da una delle lettere lasciate dall’ispettore prima di uccidere e uccidersi: «La giustizia che non c’è mi spinge a questo gesto. Fino a questo momento io ho servito lo Stato» (da Libero). Effettivamente lo Stato italiano non ha trovato ancora un equilibrio normativo per contribuire a superare l’equivalenza padri separati-padri assenti, contro la propria volontà. 1 References examining assaults by women on their spouses or male partners: an annotated bibliography, Martin S. Fiebert, Department of Psychology, California State University, Long Beach, “Sexuality and Culture”, 1997, 1, 273-286.
Pubblicato da Marco Baldassari