STALKING GIUDIZIARIO
Il reato previsto dall’art. 612 bis c.p. prevede, tra le condotte materiali integranti gli atti persecutori, anche le reiterate molestie, tali da ingenerare timori, stato di ansia e comunque perturbamento nella vittima.
Uno sviluppo credo interessante del reato in esame è quello che viene indicato come “ stalking giudiziario ”, laddove le molestie – che per definizione possono essere integrate con varie modalità – vengano poste in essere attraverso la proposizione, da parte dell’agente, di una serie di iniziative giudiziarie sia civili, che penali. In astratto ciò è possibile e di fatto questo tipo di reato – stalking “giudiziario” appunto – è già stato affermato dai giudici di merito.
Tuttavia qualche riflessione e qualche interrogativo, attesa la peculiarità del tipo di molestie, si pongono.
Il caso più tipico e frequente è quello che riguarda i rapporti tra ex coniugi, soprattutto se con figli minori: è questo l’ambito dove si verificano i più aspri attriti con immancabile ricorso allo strumento giudiziario a fronte di comportamenti dell’altro ex coniuge ritenuti dannosi. Si pensi alle ingiurie, alle vessazioni, al mancato versamento degli assegni di mantenimento stabiliti dal tribunale civile, all’inosservanza degli obblighi nei confronti dei figli, eccetera. Orbene, il caso che più facilmente si riscontra nella pratica è che a fronte di una serie di comportamenti devianti e dannosi dell’ex coniuge, l’altro opponga denunce-querele, atti esecutivi civili e quanto altro appaia necessario per far cessare la situazione creatasi. Il soggetto raggiunto da questa iniziative seriali può a ragione lamentare di essere vittima di molestie giudiziarie?
La prima condizione da verificare, per rispondere a questa domanda, è la fondatezza o meno delle iniziative giudiziarie assunte; si dovrà, pertanto, come primo discrimine, tener conto solo delle iniziative che non hanno avuto esito positivo (si pensi, soprattutto, ad una serie di querele poi archiviate). Ciò poiché è evidente che in tanto sarà possibile attribuire astrattamente il carattere e la finalità di molestia ad una denuncia-querela, in quanto essa sia carente del requisito di fondatezza in fatto, poiché in caso contrario si rientrerebbe quantomeno nel legittimo esercizio di un diritto, da parte di chi ricorre alle vie legali per contrastare un fatto ingiusto.
Ciò detto, tuttavia, si noti che anche laddove sia verificato il pre-requisito dell’insuccesso delle iniziative adottate (per restare all’esempio: le querele siano state archiviate), questo solo fatto non esclude di per sé la possibilità di considerare le iniziative come scriminate dall’esercizio di un diritto. Esso, infatti, dipenderà necessariamente dal motivo per il quale sia intervenuta l’archiviazione, dovendosi riconoscere il carattere di strumentalità dell’azione giudiziaria intrapresa solo a quelle che non avevano alcun riferimento alla realtà, del tutto infondate anche nel fatto denunciato, poiché è proprio in questa strumentalità che si individua l’espressione della esclusiva volontà dell’agente di recare disturbo, di danneggiare e non invece di chiedere giustizia per sè. In concreto si pensi ad un decreto di archiviazione che pur tuttavia riconosca la fondatezza in fatto delle condotte illegittime serbate dal denunciato, anche se il giudice decida di non perseguirle per ragioni diverse (tra cui, ad esempio, la particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p., oppure perché l’indagato abbia dimostrato la sua reale impossibilità economica a versare gli alimenti, eccetera).
In altri termini, la reiterazione delle iniziative giudiziarie, che poi non abbiano esito positivo, possono integrare molestie ai fini che qui interessano, solo se appaiono del tutto strumentali e perciò, appunto, aventi una sola finalità persecutoria. In carenza di questa condizione, il ricorso ripetuto agli strumenti giuridici dovrà intendersi legittimo esercizio del diritto di tutelare i propri interessi a fronte di situazione che sono o che appaiono effettivamente illegittime (in applicazione dell’esimente di cui all’art. 51 c.p.).
Altro e diverso punto da analizzare è quello che attiene alle conseguenze delle molestie, consistenti nello stato di ansia, paura, perturbamento psichico, mutamento delle normali abitudini di vita, e che costituiscono elementi oggettivi integranti la fattispecie del reato di stalking. Non può revocarsi in dubbio, innanzitutto, che tali conseguenze devono sempre formare oggetto di specifica prova, non essendo ammissibile semplicemente presumere che esse derivino automaticamente da molestie o minacce.
Ma nel caso di specie, trattandosi appunto di molestie integrate da una serie di denunce-querele ipoteticamente strumentali ed infondate, resta ancora da chiarire se il reato di cui all’art. 612 bis possa essere ravvisato anche quando il soggetto passivo non sia mai venuto a conoscenza del procedimento, in quanto esso si sia concluso con l’archiviazione delle querele senza il suo coinvolgimento. A rigore, la risposta dovrebbe essere negativa, poiché deve ricordarsi che si sta discutendo di un reato contro la persona, per cui la sua turbata serenità è il bene tutelato, mentre è da respingersi l’idea che, attraverso lo “ stalking giudiziario” possa essere perseguito il più generale fenomeno dell’abuso del diritto e del processo (opportunamente sanzionato ex art. 96, co. 3°, c.p.c).
Per coverso, resta aperta, a mio parere, la discussione intorno all’ipotesi che la vittima di reiterate querele archiviate, ne abbia avuto conoscenza in un momento successivo, ad archiviazione già intervenuta, e questa presa d’atto abbia potuto comunque interferire sul suo equilibrio psico-fisico (fermo restando l’onere della prova sul punto, in capo alla vittima del preteso stalking).
http://marcomarzari.postilla.it/2016/09/08/qualche-riflessione-sullo-stalking-giudiziario/