Caso Cittadella: Speriamo che la sentenza della Corte di Appello di Brescia illumini tutti i Tribunali del Bel Paese
La Corte bresciana è stata costretta a ripercorre, in tutte le sue fasi, lo svolgersi del contrastato vissuto del minore, esaminando, momento per momento, la condotta dei singoli genitori, sino a giungere ad emettere, con il Decreto in commento una pronuncia che fa “giustizia” in primo luogo, proprio della “teoria della validazione scientifica” della “Alienazione genitoriale” e prosegue poi, a prescindere da questa, a ricostruire nei fatti un “comportamento materno” talmente lontano dal rispetto dei precetti che si sono susseguiti nel tempo, da essere questo causa della “dichiarazione di decadenza della potestà della madre sul figlio”.Ma andiamo con ordine. In merito al “compito del giudice” nel rapportarsi con una “teoria scientifica”, nella specie quella della Alienzione Genitoriale, la Corte di Appello di Brescia, si è affrettata a dare una chiara risposta, evidentemente ben conscia del fatto che non si possano lasciare i professionisti del Diritto e quelli della Psicologia giuridica, senza alcun chiarimento, in merito al palese contrasto ermeneutico generato dal susseguirsi di due Sentenze della stessa Sezione, nelle quali nella prima, sul presupposto della PAS si confermi l’allocazione del figli alla madre, e nella seconda di qualche giorno dopo, sul presupposto della “inesistenza della Pas”, si disponga la cassazione di un provvedimento, che aveva portato l’allocazione di figlio ad un padre, risultando la madre “alienante”. Ed in tal senso è illuminante la ricostruzione dello spessore scientifico operata dalla Corte di Appello di Brescia che nel rilevare l’esistenza, anche in Italia, di studi sul fenomeno della Alienazione Genitoriale richiama il riconoscimento della stessa posto in essere sin dal 2007, dalla comunità scientifica della Società Italiana di Neuro Psichiatria Infantile (SINPIA), ricordando poi come sempre la comunità medica internazionale abbia inserito l’alienazione genitoriale nel DSM IV, nella sezione problemi relazionali genitore-bambino, ed infine con estrema chiarezza ha citato il “precedente giurisprudenziale” costituito dalla Sentenza della Cassazione, Prima Sezione Civile, nr.5847/13 depositata l’8 marzo, che ha posto a fondamento della propria decisione “la diagnosi della Pas” senza per altro metterla in discussione. L’esame della validazione, da parte del Giudice, di una teoria scientifica, per i Giudici della Corte di Brescia termina con una prolusione che è un evidente “appello” al buon senso per superare prese di posizione che rischiano di “delegittimare” l’opera ermeneutica ed il rapporto di questa con la Consulenza Tecnica di Ufficio : “il fatto che altri esperti neghino il fondamento scientifico di tale sindrome, non significa che essa non possa essere utilizzata quanto meno per individuare un problema relazionale, molto frequente in situazioni di separazioni dei genitori, se non come una propria e vera malattia”. Che è poi il concetto per il quale il “mobbing” ha trovato la sua ragion d’essere come elemento “comportamentale” che giustifica e motiva sentenze di condanna, anche molto rilevanti, in repressione di quel “fenomeno” odioso. Quanto poi all’esame delle richieste avanzate dalla ricorrente e demandate al “nuovo esame” della Corte bresciana, come detto, il Decreto de quo ripercorre puntualmente tutta la “storia” dei provvedimenti che sono stati emessi a “contenimento”dell’atteggiamento materno, di assoluta esclusione delle figura del padre. Ma un passo è particolarmente significativo, ed è quello dell’esame che la Corte compie in riferimento ai fatti degli ultimi mesi ed all’evento che ha portato il figlio a riprendere (dopo la messa in opera dell’allontanamento forzoso dalla madre) il rapporto con il proprio padre. Dice la Corte di Appello sul punto : “fortunatamente le cose sono radicalmente cambiate : il provvedimento della corte territoriale che è stato cassato, comportante l’allontanamento del minore dalla madre e dall’ambiente materno ha consentito al bambino di liberarsi dalla sua condizione di avversione nei confronti del padre. Ne ha accettato la compagnia e finanche il trascorrere la notte con lui attraverso un graduale riavvicinamento. Questo cambiamento di comportamento- prosegue la Corte- sta a dimostrare che i soggetti in età evolutiva sono dotati di un alto grado di resilenzia, vale a dire che sanno resistere alle condizioni delle vita che li pone in difficoltà ed all’azione degli adulti che attraverso il loro conflitto li possono spingere ad allearsi con uno di loro e a rifiutare l’altro”. Conseguenza diretta dell’esame del comportamento materno è il riconoscere come“emergono” fatti inconfutabili ed obbiettivi che consentono di corroborare la prova di un comportamento materno “alienante e possessivo”, ciò non ostante i limiti imposti dal provvedimento del Tribunale per i Minorenni che ha rigettato la sua reintegra nella potestà ed ha confermato l’affidamento del bambino al Servizio Sociale. Si giunge così alla conclusione della parte motiva del Decreto in commento :“di fronte a tale pervicacia nel comportamento materno, non si ravvisano le garanzie che la predetta sappia far proseguire il figlio nel rapporto con il padre, e non ponga nuovamente in atto ostacoli alla normalità del medesimo, facendo regredire il minore e ponendolo in una posizione di grave rischio di disturbi della personalità, siano essi quelli che in campo scientifico vengono da parte degli esperti qualificati come PAS, siano gli “agiti aggressivi” che derivano dallo “stato di ansia” rilevati dagli esperti dei Servizi Sociali.” Così termina la Corte di Appello di Brescia: “indipendentemente dalla loro qualificazione dal punto di vista medico, la descrizione dei comportamenti del bambino, sulla quale hanno tutti concordato, consente di ritenere che i suoi agiti, se non ricomposti, porterebbero a disturbi che impedirebbero al “piccolo” di crescere e sviluppare tutte le sue notevoli capacità intellettuali ed espressive. Non si tratta quindi solo di conservare al bambino la bigenitorialità, da intendersi come un patrimonio prezioso di cui i figli debbono potrer disporre, ma di evitare che attraverso il rifiuto si vada strutturando una personalità deviante”. Al di là dunque delle polemica circa la validità degli studi di Gardner, che per altro non è l’unico e non è il solo, ad aver dato evidenza, per il mondo scientifico, ai rischi connessi alla Alienzione Genitoriale, l’opera che il giudice è, per Legge, chiamato ad assicurare è quella di tutelare il minore dai comportamenti genitoriali che possano essere fonte per il figlio di danni e pregiudizi al suo sereno sviluppo, concetto questo perfettamente in linea con i principi esposti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che più volte si è trovata costretta a condannare l’Italia per la violazione dell’art. 8 che garantisce il rispetto della vita privata e familiare, che è la Magna Charta del Diritto del minore a godere della esplicazione della Bigenitorialità. Giorgio Vaccaro, avvocato esperto in mediazione