Il rapporto WHO e la condizione femminile in Italia: chi cerca di approfondire viene stroncato
di Fabio Nestola – Rimbalza sui media la conferenza stampa di Margaret Chan, direttore generale WHO (World Health Organization, da noi OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità). Sul blog “La 27esima ora“, Anna Meldolesi la cita come “presentazione del più grande studio mai fatto sugli abusi fisici e sessuali subiti dalle donne in tutte le regioni del pianeta”.Appunto, in tutte le regioni del pianeta. O meglio, quasi tutte: curioso, ma non compare proprio l’Italia.
Ancora più curioso che, nonostante la mancanza di ricerche sulla situazione italiana, i dati provenienti da Botswana, Iran, Cambogia, Swaziland e Nicaragua vengano utilizzati per sostenere la teoria “emergenza femminicidio” in Italia.
Eppure in Italia esiste una indagine conoscitiva targata ISTAT, il famoso sondaggio telefonico del 2006 secondo il quale le vittime femminili di violenza sarebbero circa 7 milioni.
Come mai questa indagine, pur se svolta dal più autorevole istituto di ricerca nazionale, non compare nello studio WHO?
«È la prima volta che i dati sono compilati in modo rigoroso e sistematico (…)», ha dichiarato Jenny Orton, dell’istituto londinese che ha collaborato alla ricerca.
Ah, ecco.
La Dr.ssa Orton non vorrà mica insinuare che i dati compresi nell’indagine sono compilati in modo rigoroso e sistematico, mentre l’indagine ISTAT non lo è?
È questo il motivo per cui non è stata presa in considerazione, oppure si tratta di una distrazione, al WHO non conoscono affatto cosa pubblica l’ISTAT in merito alle vittime femminili di violenza?
Non è dato di sapere perché il lavoro ISTAT non compaia, resta il fatto che non compare. Italia: non pervenuta.
Ne’ l’ISTAT ne’ nessun altro, nonostante la messe di dati, anche molto discordanti fra loro, diffusa ininterrottamente da una serie di fonti ufficiose. Da noi non si parla d’altro, la violenza domestica è oggetto di campagne mediatiche a tappeto in tutte le reti nazionali, dichiarazioni pubbliche di opinionisti e parlamentari, promesse di impegni e soluzioni a breve termine a cominciare dai Presidenti di Camera e Senato fino alla neodimessa Ministra per le Pari Opportunità.
Di cosa parlano tutti e tutte, visto che non un solo dato italiano è stato considerato attendibile e degno di pubblicazione al momento di fare un’indagine su scala mondiale?
Solleviamo da mesi alcune perplessità in merito al movimento d’opinione che si sta sviluppando attorno al cosiddetto fenomeno del “femminicidio”. Appare un movimento orientato più dall’emotività e da principi ideologici che non da una lucida razionalità e da principi giuridicamente condivisibili, oltre che da dati ufficiali ed attendibili.
Ci hanno insultato più o meno tutti, denigrato, deriso …Certe domande non si possono e non si devono fare. Il pensiero collettivo (libero o indotto? Mah!) dice che la condizione femminile italiana è fra le peggiori al mondo, punto. Chi cerca di approfondire, chi non si accontenta dei diktat imposti dall’alto ma vorrebbe farsi un’opinione autonoma, è impopolare e va stroncato senza appello.
Vuoi vedere che adesso è il WHO che implicitamente ci da ragione?
Lo studio WHO individua infatti 7 zone di provenienza per i dati sulla violenza agita dal partner, ove la voce “Europa” comprende Albania, Azerbaijan, Georgia, Lituania, Moldova, Romania, Federazione Russa, Serbia, Turchia, Ucraina. (pag. 44 del rapporto).
Poi è prevista la voce “high income”, che comprende i Paesi dai quali provengono i picchi di violenza. Ok, vista la campagna allarmistica in corso l’Italia sarà compresa nella lista nera.
Invece no, non siamo nemmeno tra gli high income europei, ove compaiono Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Regno Unito, Irlanda, Irlanda del Nord, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera.
Poi vi sono i dati sulla violenza agita non dal partner (pagina 45 del rapporto). Niente da fare, anche in questa tavola l’Italia non compare ne’ alla voce Europa ne’ alla voce high income.
Emerge quindi un dato incontestabile: citare questo documento serve a tutto, meno che a testimoniare la situazione disperata delle donne in Italia. L’Italia non c’è; anche spulciando a fondo il rapporto, non c’è proprio.
Però Anna Medolesi ci arriva con un esercizio deduttivo, quando scrive: “Sono tante, troppe per pensare che siano diverse da noi, queste madri, sorelle, figlie, lavoratrici”…… Ah, ecco l’ideologia al galoppo: visto che in alcuni Paesi le donne sono ancora gravemente sottomesse, non possiamo pensare che siano diverse dalle donne italiane.
Beh, se questi sono i criteri scientifici per stabilire i parametri della violenza, poi non ci dobbiamo stupire se i dati italiani vengono snobbati a livello mondiale.
Questo rapporto, in sostanza, non può essere utilizzato per descrivere la situazione critica italiana ne’ tantomeno per costruire un allarme nel nostro Paese. Eppure tutti i giornali ne parlano, i TG ne parlano, i lacché del sistema ne parlano, i tuttologi ne parlano, sono tutti felici perchè “finalmente” è stata approvata la convenzione di Istanbul, in Italia ce n’è bisogno più che altrove.
…. mai uno che sentisse il bisogno di fare una verifica.
In Italia il problema della violenza domestica esiste, ma non ha le dimensioni catastrofiche che si vogliono costruire artificialmente, e soprattutto non è il documento WHO che lo dimostra.
Esisterebbe il problema anche se “solo” 30 donne venissero uccise ogni anno, se “solo” 40 venissero stuprate, se “solo” 50 venissero picchiate. Serve affrontarlo nelle sue reali dimensioni, mentre non serve a nulla gonfiare i dati e costruire un allarme fittizio.
Fonte: Adiantum.it – Fabio Nestola