N. 26197/10 – La casa coniugale ha rilevanza per l’assegno
Determinazione dell’importo dell’assegno divorzile – Nel determinare l’entità dell’assegno divorzile occorre tener conto della intera consistenza patrimoniale di ciascun coniuge in cui rientra anche l’uso della casa coniugale valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell’immobile a titolo di locazione Read More
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. – sent. del 2812.2010, n. 2619
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Patti, con sentenza del 20 novembre 2003, dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da E. C. con P. C., da cui erano nati due figli ormai maggiorenni ed autosufficienti, e condannò quest’ultimo a corrispondere all’ex coniuge un assegno mensile di € 250.
In parziale accoglimento dell’appello del C., la Corte di appello di Messina, con sentenza dell’1
marzo 2006, ha ridotto l’importo dell’assegno, in considerazione della differenza tra i redditi delle parti, ad € 150, in quanto non poteva essere valutato a favore di quest’ultimo il godimento di fatto della casa coniugale, che era di proprietà comune e perciò non poteva essere attribuito ad alcuno di essi.
Per la cassazione della sentenza, il C. ha proposto ricorso per 3 motivi, cui resiste con controricorso E. C., la quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per un motivo.
Motivi della decisione
I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod.proc.civ. essendo stati proposti contro la medesima
sentenza.
Con il primo di quello principale il C., deducendo violazione dell’art. 5 legge n. 89/1970 segg. cod.proc.civ., 2697 cod. civ.1 censura la sentenza impugnata per aver attribuito l’assegno di divorzio all’ex moglie sulla base del solo calcolo aritmetico delle retribuzioni di ciascuno dei coniugi, perciò non considerando i presupposti cui detto assegno è collegato dalla giurisprudenza, costituiti dal pregresso tenore di vita durante il matrimonio non documentato dalla controparte; nonché dalle ragioni della separazione dovuta al comportamento della moglie, e dai redditi dell’onerato nel caso sempre destinati al mantenimento della famiglia e dei due figli ormai maggiorenni.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, muovendo dalla struttura grammaticale e logica del testo dell’art. 5 della legge 898/1970, come sostituito dall’art. 10 della legge 74 del 1987, ha ripetutamente affermato che l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, risulta fondato esclusivamente sulla circostanza che quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive; per cui il rapporto di consequenzialità fra la mancanza dei mezzi adeguati ed il diritto all’assegno assume carattere esclusivo, nel senso che per l’attribuzione dell’assegno, nessun’altra ragione può avere rilievo.
Mentre gli altri criteri costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dal reddito di entrambi, valutati unitariamente e confrontati alla luce del paradigma della durata del matrimonio, sono destinati ad operare solo se l’accertamento dell’unico elemento attributivo si sia risolto positivamente, e quindi ad incidere unicamente sulla quantificazione dell’assegno stesso (tra le tante, Cass. 21919/2006; 14004/2002;6541/2002)
Vero è poi, che al fine della determinazione dell’assegno divorzile il giudice di merito deve valutare, sulla base delle prove offerte, la situazione economica familiare esistente al momento della cessazione della convivenza matrimoniale, raffrontandola con quella del coniuge richiedente al momento della pronuncia di divorzio, al fine di stabilire se quest’ultima sia tale da consentire al richiedente medesimo di mantenere un tenore di vita analogo a quello corrispondente alla indicata situazione economica della famiglia.
Ma al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha costantemente enunciato il principio che il criterio di determinazione della relativa entità in funzione “del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” ha riferimento a quello normalmente godibile in base alle potenzialità economiche derivanti dai redditi percepiti sì che la consistenza di esso deve ritenersi dimostrata, in via presuntiva, sulla base della documentazione attestante tali redditi da parte del coniuge istante per l’assegnazione (Cass. 23051/2007;13592/2006;13169/2004).
Proprio a tali principi si è attenuta la decisione impugnata, che ha ricostruito il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio in base alle posizioni patrimoniali e reddituali degli stessi -da nessuno di essi contestate- pervenendo al risultato che il reddito del ricorrente, considerati pure gli incrementi costituenti il prevedibile sviluppo della sua attività lavorativa in relazione alla posizione assunta nell’ambito della società datrice di lavoro, era quasi doppio di quello a disposizione della C., e perciò correttamente pervenendo ad un giudizio di inadeguatezza dei redditi della E. C. a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché alla conseguente conferma dell’attribuzione dell’assegno già disposto dal Tribunale.
Con il secondo motivo, il C. deducendo altra violazione dell’art. 5 della legge 898/l970, nonché difetti di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere determinato la misura dell’assegno, riducendolo di 100 euro sempre e soltanto sulla base della comparazione dei
redditi, senza tener conto di alcun’altra circostanza quale l’allontanamento dell’ex moglie dalla casa coniugale, la sua vita personale a Messina dedita soltanto alla sua attività lavorativa, i proventi di quest’ultima spesi esclusivamente per il soddisfacimento delle proprie esigenze e senza alcuna partecipazione ai bisogni della famiglia.
Per converso, E. C., con il ricorso incidentale, deducendo violazione della legge sul divorzio
e difetti di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere ridotto l’importo dell’assegno sulla supposizione che essa comproprietaria della casa coniugale avrebbe potuto chiedere la restituzione della sua porzione e/o la divisione alla controparte unitamente al rendimento del conto, senza considerare:a) che trattavasi di una ipotesi futura e solo eventuale, mentre il giudice deve statuire in base alla situazione effettiva delle parti al momento della domanda; b) che essa avrebbe potuto non dare seguito alla richiesta di divisione per le ragioni più varie; e che comunque al fine di concludere un accordo con l’ex coniuge non aveva impugnato l’erronea statuizione con cui il Tribunale aveva attribuito l’immobile all’ex coniuge; c) che conseguentemente la sua acquiescenza comportava un beneficio economico per la controparte (il godimento dell’alloggio) che ne incrementa la posizione economica a scapito di essa ricorrente, di cui la sentenza avrebbe
dovuto tener conto.
Il Collegio ritiene di dover accogliere quest’ultima censura e che la doglianza del C. sia invece in parte inammissibile ed in parte infondata.
Infondata perché la sentenza impugnata ha incentrato la valutazione e la comparazione sui diversi redditi delle parti, confermando, come si è detto, che quello dell’uno aveva consistenza quasi doppia rispetto a quello dell’altra, e così implicitamente apprezzando le loro condizioni economiche in termini di indubitabile prevalenza rispetto a tutti gli altri criteri, che d’altra parte, con particolare riguardo all’allontanamento della C. dalla comune di residenza della famiglia, non avevano nella specie alcuna valenza modificatrice, avendo lo stesso ricorrente riconosciuto che nella precedente causa di separazione tanto il Tribunale, quanto i giudici di appello avevano escluso ogni addebito a carico dei coniugi in ordine alla frattura del matrimonio. Mentre la censura è inammissibile laddove egli si limita a rinviare ad ulteriori circostanze che sarebbero state prospettate nell’atto di appello e non esaminate dalla Corte territoriale, per essere venuto meno all’onere di indicarle specificamente, nel ricorso, onde consentirne, in sede di legittimità, la verifica, sulla sola base di
impugnazione, e senza necessità di (inammissibili) indagini integrative.
Tuttavia,la Corte territoriale ha ritenuto che nella valutazione non dovesse essere apprezzato il godimento da parte del C. della casa coniugale che egli aveva continuato ad abitare, pur dopo che i figli, divenuti autonomi, si erano trasferiti altrove, perché di proprietà comune e perché dunque l’ex coniuge in qualunque momento avrebbe potuto chiederne la divisione.
In tal modo non ha tenuto conto che il Tribunale, pur avendo dato atto di tale situazione fattuale l’aveva comunque assegnata al ricorrente per ragioni di opportunità, ravvisate nella circostanza che costui vi aveva sempre abitato e che viveva, a differenza dell’ex coniuge, nel Comune in cui detto immobile era ubicato; e che detta statuizione, ripetuta nel dispositivo della sentenza non era stata impugnata dalla C. con la conseguenza che per effetto della stessa il reddito della controparte subiva un ulteriore incremento, pur esso da considerare ai fini della determinazione dell’assegno.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che occorre tener conto della intera consistenza patrimoniale di ciascun coniuge; e che nel concetto di reddito sono compresi non solo i redditi in denaro, ma anche le utilità suscettibili di valutazione economica, per cui anche l’uso di una casa di
utilità valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere di quell’immobile a titolo di locazione. Sicché tale principio deve trovare applicazione sia nell’ipotesi
che l’immobile di proprietà o comunque nella disponibilità del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno, venga assegnato al coniuge affidatario dei figli minori, sia nell’ipotesi in cui il godimento della immobile venga riconosciuto al coniuge titolare di un diritto reale od obbligatorio, posto che in entrambi i casi l’utilizzazione della casa costituisce una utilità valutabile sul piano economico, che si aggiunge al reddito goduto alterando l’equilibrio delle posizioni patrimoniali dei due coniugi quali risultavano in base alla considerazione esclusiva dei redditi di ciascuno di essi (Cass. 19291/2005; 4800/2002; 4543/l998).
Alla relativa valutazione provvederà dunque il giudice di rinvio.
Fondato è, infine, anche l’ultimo motivo del ricorso principale, con cui il C., deducendo violazione
dell’art. 345 cod. proc.civ. censura la sentenza impugnata per non aver considerato l’onere economico per lui sopravvenuto nel corso del giudizio di impugnazione, a causa della malattia della figlia G., maggiorenne e separata dal marito, che aveva richiesto costose cure mediche peraltro con frequenza trimestrale presso il Policlinico di Pavia.
La C., infatti, non ha mai contestato che la malattia della figlia è insorta dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, come d’altra risultava dal certificato
medico prodotto dal ricorrente, e che conseguentemente non poteva essere da costui
prospettata nel giudizio di primo grado.
Pertanto, nel caso non poteva essere invocato il divieto di domande nuove in appello (o della prospettazione di fatti nuovi), dato che il disposto dell’art. 345 cod.proc.civ. si riferisce esclusivamente a quelle domande ed a quei fatti che potevano essere dedotti nel giudizio di primo grado e non anche a quelli che traggono origine o da una normativa sopravvenuta o da un evento anch’esso sopravvenuto, purché collegato a quello iniziale e compreso nel relativo petitum. E non
impedisce al giudice di prendere in considerazione anche fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti e sulle loro pretese, senza con ciò violare il divieto di esaminare punti non prospettati nelle precedenti fasi del giudizio, quando si tratti di fatti impeditivi, modificativi o estintivi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali, soprattutto in materia di assegno di mantenimento ove si controverta in tema di conservazione o, per converso, di esclusione del contenuto reale del credito oggetto della domanda originaria.
D’altra parte la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che se il giudice, nel determinare l’assegno di divorzio deve fare riferimento ai redditi dei coniugi relativi al momento in
cui fu pronunciata la sentenza di divorzio, tale principio riguarda solo l’an debeatur ed è rivolto ad evitare che il diritto possa rimanere pregiudicato dal tempo necessario a farlo valere in giudizio (v. sent. 2235/2000 e sent. 147/1994); ma non interferisce sulla esigenza che il quantum sia determinate alla stregua dell’evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità di determinare misure e decorrenze differenziate dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati (Cass. 24932/2007; 13507/2004; 14886/2002)
La sentenza impugnata va pertanto cassata anche in ordine a tale profilo, con rinvio alla Corte di appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà a nuova determinazione dell’assegno attenendosi ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta i primi due motivi del principale, accoglie il terzo nonché l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Messina in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 28.12.2010