La CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) nei casi di alienazione genitoriale
In questo breve articolo la dottoressa Sara Pezzuolo spiega quali sono i doveri dello psicologo incaricato dal giudice di svolgere il compito di Consulente Tecnico d’Ufficio. Nei casi in cui si ritiene che il minore sia stato manipolato da uno dei genitori l’accertamento delle ragioni per cui l’altro genitore viene rifiutato non viene svolto direttamente dal giudice, ma viene delegato al Consulente Tecnico che consegnerà una relazione scritta al termine del suo lavoro.E’ facile quindi comprendere come il ruolo di questi professionisti sia estremamente delicato nei casi di contesa sull’affido dei figli. Una CTU in questi casi può essere altrettanto impattante per la vita delle persone coinvolte di un’operazione chirurgica.
La consulenza Tecnica d’Ufficio
di Sara Pezzuolo (psicologa – Consulente tecnico in psicologia giuridica)
Nel caso in cui un Giudice si trovi a decidere a quale genitore e con quali modalità si debba procedere all’affidamento dei figli, qualora lo ritenga necessario, può nominare un C.T.U. (consulente tecnico d’ufficio – art. 191 c.p.c.) al quale, una volta prestato giuramento, viene rivolto il quesito e, di conseguenza, i punti che dovranno essere oggetto d’indagine. Tale “aiuto” richiesto dal Giudice al suo consulente lo aiuta a comprendere meglio la situazione familiare e quindi a decidere nell’interesse del minore. Alla nomina di un C.T.U. spesso e volentieri, le parti, fanno seguire la nomina di C.T.P.(consulenti tecnici di parte) che lavoreranno al fianco del C.T.U., ne controlleranno il lavoro avvalendosi anche della possibilità di fornire relazione scritta su un loro accordo o disaccordo con il C.T.U. In tale contesto non va dimenticato che a fondamento dell’art.155 comma 1 c.c. la decisione finale spetta comunque al Giudice in qualità di peritus peritorum. Il C.T.U., all’interno della sua analisi, non può prescindere dal prendere in considerazione di diversi fattori:
aspetti fisici: ambiente fisico, cura etc.,
aspetti emozionali o sociali: cura psicologica del figlio, protegge il figlio, ne stimola l’intelligenza etc;
aspetti intellettuali: stimolazioni intellettuali
aspetti ambientali: in che modo verrebbe organizzato il contesto ambientale in cui il figlio si troverebbe a vivere;
Per la modalità di conduzione delle operazioni peritali è prioritario che il C.T.U. si avvalga di alcuni principi del Codice Deontologico dello Psicologo Forense, in particolare facendo riferimento a quanto espresso all’art. 6, all’art 7, all’art. 8, all’art. 11, all’ art. 14, all’art. 15 e all’art. 17 del suddetto codice:
Art.6: Nell’espletamento delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente affidabili. Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi sia dai soggetti stessi sia dall’osservazione dell’interazione dei soggetti tra di loro.
Art. 7: Lo psicologo forense valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità delle informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte. Rende espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati e, all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative esplicitando i limiti dei propri risultati. Evita altresì di esprimere opinioni personali non suffragate da valutazioni scientifiche. Nei casi di abuso intrafamiliare, qualora non possa valutare psicologicamente tutti i membri del contesto familiare compreso il presunto abusante), deve denunciare i limiti della propria indagine.
Art. 8: Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato.
Art. 11: Stante il contesto in cui opera, lo psicologo forense ha particolare cura nel redigere e conservare appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere sotto qualsiasi forma che riguardino il rapporto col soggetto. Egli ricorre, ove possibile, alla video registrazione o, quantomeno, alla audio registrazione delle attività svolte consistenti nella acquisizione delle dichiarazioni o delle manifestazioni di comportamenti. Tale materiale deve essere posto a disposizione delle parti e del magistrato.
Art. 14: Lo psicologo forense rende espliciti al minore gli scopi del colloquio curando che ciò non influenzi le risposte, tenendo conto della sua età e della sua capacità di comprensione, evitando per quanto possibile che egli si attribuisca la responsabilità per ciò che riguarda il procedimento e gli eventuali sviluppi. Garantisce nella comunicazione con il minore che l’incontro avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore e la spontaneità della comunicazione; evitando, in particolare, il ricorso a domande suggestive o implicative che diano per scontata la sussistenza del fatto reato oggetto delle indagini.
Art. 15: I colloqui con il minore tengono conto che egli è già stato sottoposto allo stress che ha causato la vertenza giudiziaria. Nel caso di pluralità di esperti è opportuno favorire la concentrazione dei colloqui con il minore in modo da minimizzare lo stress che la ripetizione dei colloqui può causare al bambino.
Art. 17: Nelle valutazioni riguardanti la custodia dei figli, lo psicologo forense valuta non solo il bambino, i genitori ed i contributi che questi psicologicamente possono offrire ai figli, ma anche il gruppo sociale e l’ambiente in cui eventualmente si troverebbe a vivere. Nel vagliare le preferenze del figlio, tenuto conto del suo livello di maturazione, particolare attenzione dovrebbe porsi circa le sincerità delle affermazioni e l’influenza esercitata soprattutto dal genitore che lo ha in custodia.
Di solito una C.T.U. prevede quindi, le seguenti operazioni peritali:
Incontri individuali con tutti i componenti del nucleo familiare. Nel caso che si percepisse che una figura familiare è significativa per il minore (es. nonno, zio etc., è utile convocarla per avere maggiori informazioni possibili). Tale discorso deve essere allargato a maggior ragione nel caso in cui uno dei due genitori si sia fatto una nuova famiglia o una nuova compagna;
Incontri con la coppia genitoriale per valutare la loro modalità di relazione (sono in grado di trovare un accordo oppure no? Sono in grado di prendere decisioni insieme per il minore?);
Interazione tra ciascuno dei genitori ed il minore per valutare la vicinanza emotiva, l’approccio psicologico alla relazione ed eventualmente valutare le differenze tra l’una o l’altra interazione;
Esame psicodiagnostico sul nucleo familiare. Spesso nelle consulenze possono essere usati test quali il T.A.T., il C.A.T., la W.A.I.S.-R., l’M.M.P.I.-2, il Rorschach etc. quello che non bisogna dimenticare mai in questo genere di consulenze è che questi test sono considerati test aspecifici per l’affidamento. Essi non sono infatti stati costruiti e pensati per valutare, ad esempio, un’idoneità genitoriale. Negli ultimi anni è utilizzata una batteria di test ideata da Bricklin che si concentra, di contro, proprio sui problemi legati all’affidamento dei figli;
Incontro con il nucleo originario completo. Tale momento serve per vedere tutti i membri della famiglia in relazione fra di loro. Ciò è possibile se il livello di conflittualità lo permette.
Visite domiciliari. Importante è conoscere l’ambiente di vita in cui il minore vive attualmente o, eventualmente, andrà a vivere.
Queste breve considerazioni dovrebbero accompagnare tutto l’operato del C.T.U. Spesso l’alta conflittualità tra coniugi, la presenza di P.A.S. non facilitano il lavoro dell’esperto ma quest’ultimo, consapevole degli eventuali limiti nell’indagine e delle difficoltà presenti, avvalorandosi di un aggiornamento costante, conscio della sua professionalità si deve porre come “super partes” per meglio cercare di rispondere al quesito posto dal Giudice che vede come interesse primario l’interesse del benessere del minore.
(Sara Pezzuolo)