Cassazione N.10323/11 – Assegno deducibile nella misura stabilita dal giudice

Confermando la decisione dei primi giudici, la Commissione Tributaria della Campania ha annullato la cartella di pagamento Irpef notificata ad un contribuente per aver dedotto dal suo reddito imponibile 90 milioni di lire versati alla ex moglie a titolo di assegno divorzile. In particolare, si legge in motivazione, l’assegno periodico erogato per il mantenimento del coniuge era deducibile nell’intera misura di fatto concordata tra le parti, anche se che non era stato attivato il procedimento camerale per la sua modifica in aumento rispetto all’ammontare stabilito in remota pronunzia giudiziale.

Fatto e diritto
L’11 febbraio 2011 è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c: “Il 22 maggio 2008 la commissione tributaria regionale di ……/…… ha accolto l’appello di (…) nei confronti dell’agenzia delle entrate, annullando la cartella di pagamento per IRPEF 2000 riguardo al mancato riconoscimento dell’intero onere deducibile di 90 milioni di lire.
Ha motivato la decisione, ritenendo che, trattandosi di assegno periodico erogato per il mantenimento del coniuge, esso era deducibile nell’intera misura di fatto concordata tra le parti a nulla rilevando che non fosse stato attivato il procedimento camerale per la sua modifica in aumento rispetto all’ammontare stabilito in remota pronunzia giudiziale. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, l’agenzia delle entrate; il contribuente si è costituito con controricorso.
Sull’unico motivo, che denuncia la violazione della norma tributaria sostanziale che regola la materia, si rileva che i giudici d’appello si sono ingiustificatamente discostati dal principio di diritto secondo cui, in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, l’art.10, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 917 del 1986 limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo agli assegni periodici corrisposti al coniuge (ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli), in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di sciog1imento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il riferimento alla “misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”, costituisce insuperabile dato testuale, ripreso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, Sentenze n.23659 del 06/11/2006 e n. 16462 del 22/11/2002) e costituzionale (C.C. 14 novembre 2008, n.373 e 29 marzo 2007, n.113).
Va, inoltre, ricordato che C.cost. 28 luglio 1999 n.370 (in Giur.cost., 1999, 2831), ha ritenuto manifestamente infondata, con riferimento agli art.3 e 53 cost., la questione di legittimità dell’art.10, lett. h) , d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui consente la deduzione dal reddito imponibile degli importi per assegni alimentari corrisposti alle persone indicate nell’art.433 c.c., solo se essi risultino da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, con esclusione di quelli prestati spontaneamente dal soggetto obbligato.
Nell’occasione la Corte ha ribadito che “la detraibilità non è secondo Costituzione necessariamente generale ed illimitata, ma va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino” (sentenza n.134 del 1982) e che “spetta al legislatore, secondo le sue valutazioni discrezionali, di individuare gli oneri deducibili considerando il necessario collegamento con la produzione del reddito, il nesso di proporzionalità con il gettito generale dei tributi, nonché l’esigenza fondamentale di adottare le opportune cautele contro le evasioni di imposta” (sentenza n.143 del 1982; v. anche le sentenze nn. 108 del 1983 e 239 del 1993 e le ordinanze nn. 94 8 del 1988 e 556 del 19 87). Ha inoltre, precisato “che la deduzione dal reddito imponibile degli assegni alimentari, limitata alla misura risultante da provvedimento dell’autorità giudiziaria, corrisponde ad una scelta del legislatore ispirata ad esigenze di certezza nella individuazione degli oneri detraibili, altrimenti lasciata alla volontà del contribuente o alla discrezionalità dell’amministrazione finanziaria”.
Si tratta di considerazioni estensibili integralmente agli assegni periodici corrisposti per il mantenimento del coniuge, in conseguenza di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, anch’essi deducibili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, misura nella specie ferma alla lontana sentenza del tribunale di Venezia n. 288 del 1978 senza che abbiano fiscalmente rilievo le maggiorazioni intervenute per eventuali patti privati successivi o accordati spontaneamente dal coniuge obbligato.
Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 1, c.p.c..”.
Inoltre, la relazione, sul rilievo preliminare contenuto nel controricorso, evidenzia quanto segue: “Non sussiste l’eccepita indeterminatezza dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate ricorrente, essendo esso individuabile con certezza nella sede centrale in persona del suo Direttore, proprio in base al contesto dell’atto, ove non si accenna a uffici periferici e/o articolazioni locali” (cfr. relazione sub nota n° 1). La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.
Il contribuente ha depositato memoria nella quale, premesso che la giurisprudenza sopra richiamata non sarebbe strettamente attinente alla fattispecie in esame, osserva che sarebbe illogico non attribuire ai patti revisionali, raggiunti privatamente tra i coniugi, il medesimo regime fiscale dell’assegno mantenimento determinato o ratificato giudizialmente con il procedimento camerale di revisione. In secondo luogo, sulla scorta di perizia stragiudiziale del 10 marzo 2011, rileva che, stante la maggiore imposta già corrisposta dal coniuge del contribuente, vi sarebbe duplicazione d’imposizione e indebito arricchimento dell’amministrazione, ove sia accolta la sua tesi. Il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della ammissibilità e della manifesta fondatezza del ricorso e che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della parte contribuente.
Tale conclusione non è inficiata dalle osservazioni svolte dal controricorrente nella ulteriore memoria, poiché:
a) quanto alla pretesa non specificità della richiamata giurisprudenza, questa stabilisce, invece, chiari principi di evidente portata generale e di rilevante incidenza sul formante giurisprudenziale per casi assimilabili, come quello in esame;
b) inoltre, quanto alla deduzione dal reddito imponibile degli assegni limitata alla misura risultante da provvedimento dell’A.G., essa risponde a razionale opzione legislativa per condivisibili esigenze di certezza nella individuazione degli oneri detraibili;
c) infine, quanto all’esibita perizia contabile, si tratta di nuova produzione che, non consentita nel giudizio di legittimità, mira peraltro a inserire considerazioni fattuali estranee al “thema decidendum”. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo; invece, nell’evoluzione della vertenza nelle fasi di merito, si ravvisano giusti motivi per compensare le relative spese.

PQM