Cassazione N.36503/11 – Mamma iperprotettiva condannata Curare troppo i bambini è violenza
Bimbi all’asilo (foto d’archivio non legata alla vicenda) La Cassazione le infligge 16 mesi di carcere: teneva il figlio lontano dal padre e dai coetanei “Soffocare i minori li rende adulti disadattati e psicotici”
ROMA
Mamme ansiose, attente. Scatta la condanna al carcere per chi circonda di troppe cure e attenzioni il proprio bambino finendo per rallentarne lo sviluppo psicofisico a furia di tenerlo lontano dal resto del mondo: dall’asilo, dagli altri bambini, dal genitore separato. Una mamma di Ferrara, infatti, è stata condannata in via definitiva dalla Cassazione a un anno e 4 mesi di reclusione – pena coperta dal condono ma senza la concessione della condizionale – per aver cresciuto il figlioletto R. C., nato nel 1997, al chiuso delle «mura domestiche», fino al 2004. Insieme alla mamma soffocante, Elisa G., è stato condannato alla stessa pena condonata anche il nonno, Gigetto G.
Ad avviso della Suprema Corte, «l’iperprotezione e l’ipercura» costituiscono reato di maltrattamenti al pari di altre forme di vessazione dei minori, come quando vengono destinati all’accattonaggio. Senza successo, dunque, mamma e nonno hanno protestato, in Cassazione, contro la condanna inflitta dal Gup del Tribunale di Ferrara nel 2007, e poi confermata dalla Corte di Appello di Bologna.
Secondo loro, tutte le cure delle quali circondavano il bambino non potevano essere equiparate al comportamento di chi veramente usa violenza con i bambini. Tra l’altro il ragazzino stava benissimo e non si era mai sentito una «vittima». In sostanza, secondo la tesi difensiva, quell’eccesso di accudimento, anche se divenuto via via «patologica esasperazione», non poteva essere punito perché‚ «ispirato da intenzioni lodevoli» anche se aveva, innegabilmente, «riverberato effetti negativi» sul bambino.
R.C., a forza di essere trattato come se fosse sempre poco più di un neonato, non aveva nemmeno imparato bene a camminare. I primi «coetanei» li aveva visti solo a sei anni, quando aveva messo piede alla scuola elementare. Il regime instaurato dalla madre e dal nonno aveva finito anche per cancellare del tutto la «figura paterna». Al padre separato del piccolo venivano impediti gli incontri con il bimbo. Anche il cognome paterno era stato soppresso e il bambino rispondeva all’appello con il cognome della madre.
Invano, Elisa e Gigetto hanno chiesto alla Cassazione di essere assolti in nome delle buone intenzioni che li avevano animati. La Suprema Corte – con la sentenza 36503 – ha bocciato il reclamo. È possibile che «inizialmente – scrivono i supremi giudici – la diade madre-nonno possa avere agito in buona fede, sia pur secondo una falsa coscienza, nella scelta delle metodiche educative e nell’accurata attenzione ad impedire contatti di ogni tipo al bambino, isolandolo nelle sicure mura domestiche». Ma siccome tante persone – non solo il padre ma anche le maestre, gli assistenti sociali, gli esperti dello sviluppo – gli avevano fatto capire che stavano rovinando il bambino, senza dubbio mamma e nonno hanno sbagliato nel perseverare.
Era stato il padre del piccolo a lanciare l’allarme e poi la vicenda è finita in mano alla magistratura. È ancora in corso un altro processo, sempre nei confronti di mamma e nonno, per la tranche di maltrattamenti successiva, dal 2004 al 2008. «L’ipercura – afferma Francesco Montecchi, neuropsichiatra infantile – è una grave forma di abuso sui bambini, di cui si parla ancora poco ma che determina conseguenze molto serie per lo sviluppo psico-fisico dei piccoli. Molti di questi bambini, infatti, sviluppano forme di psicosi gravi crescendo, e sono completamente disadattati».