Assegno divorzile al coniuge
La pronuncia 2747 del 2011 della Suprema corte affronta il problema dell’assegno per il mantenimento del coniuge da stabilirsi in sede di divorzio per una coppia in cui se il marito ha notevolissime risorse, comunque anche la moglie è più che benestante. Più precisamente, si tratta di una coppia di anziani (anche quando si sposano sono entrambi già intorno ai 50 anni) ove il marito è un patrizio romano di antichissima famiglia, che·· possiede un cospicuo patrimonio immobiliare, comprensivo di prestigiosi arredi.
La signora, d’altra parte, ha svolto per anni l’attività di consulente immobiliare, all’interno di una classe sociale estremamente ricca e quindi con elevati proventi, e dispone a sua volta come beni principali di tre grandi appartamenti vicinissimi a via Veneto.
La pronuncia 2747 del 2011 della Suprema corte affronta il problema dell’assegno per il mantenimento del coniuge da stabilirsi in sede di divorzio per una coppia in cui se il marito ha notevolissime risorse, comunque anche la moglie è più che benestante. Più precisamente, si tratta di una coppia di anziani (anche quando si sposano sono entrambi già intorno ai 50 anni) ove il marito è un patrizio romano di antichissima famiglia, che possiede un cospicuo patrimonio immobiliare, comprensivo di prestigiosi arredi. La signora, d’altra parte, ha svolto per anni l’attività di consulente immobiliare, all’interno di una classe sociale estremamente ricca e quindi con elevati proventi, e dispone a sua volta come beni principali di tre grandi appartamenti vicinissimi a via Veneto. È stata svolta una consulenza tecnica di ufficio che ha permesso di attribuire alla signora anche la proprietà di un terreno del valore (fine anni 90) di 2 miliardi di lire, a cui è da aggiungere il ricavato della vendita di un appartamento, valutato in € 130.000, nonché titoli per £ 360.000.000 (valore del 1992), ai quali è da aggiungere una indennità di 200 milioni di lire ottenuta al marito alla fine della convivenza quale compenso per una sua attività di consulenza nella gestione del patrimonio. Riportare testualmente il giro di parole utilizzato nella sentenza di cassazione per definire la situazione economica dei due può essere utile per avere un’idea delle difficoltà che incontrano gli organi giudiziari quando devono affrontare argomenti del genere: ” Alla pag. 7 della sentenza oggetto di ricorso si afferma che il c.t.u. ha determinato il reddito effettivo della donna in sole £. 7.500.000 (nella memoria illustrativa del ricorso sono elevati a circa 70 milioni annui), mentre quello del marito sarebbe di £. 267.585.000″. Come si vede, sono in gioco differenze dell’ordine di un fattore 10 tra le valutazioni della parte e quelle del consulente di ufficio, valutazioni da mettere accanto alla non contestata elencazione dei beni materiali posseduti. Questo vuol dire che il sopra elencato patrimonio della moglie (quello del marito non viene descritto, ma ne è data solo la valutazione complessiva, che produrrebbe un reddito di 600 milioni di lire annue, cifra del 1998) renderebbe circa 600.000 lire al mese, ossia intorno ai 300,00 €. Se, invece, si opera sulla base delle valutazioni del ricorrente, le conclusioni, in termini di reddito mensile, alle quali si giunge sono le seguenti: per la moglie 3.000,00 € e per il marito 10.000,00. Questo vuol dire che la decisione della Cassazione (assegno a favore del coniuge debole di 5000.00 € mensili) conduce a questo nuovo assetto economico: la signora 3000 + 5000 = 8000,00 € e il marito 10.000 – 5000 = 5000,00 €. Sotto le ipotesi fatte, grottesco. Naturalmente è probabile che la valutazione del marito sia largamente errata a suo vantaggio. Ma possiamo considerare plausibili i 3000,00 € attribuiti all’altro patrimonio? E, soprattutto, la Suprema corte avrà valutato le varie possibilità ? Se lo ha fatto, non lo ha detto.
In definitiva, la decisione della Suprema corte appare senz’altro corretta da un punto di vista formale, ma è altrettanto vero che non mancano perplessità a monte di essa. In altre parole, situazioni come quella di specie rendono particolarmente evidenti le carenze e le illogicità interne alla normativa stessa. Una normativa, applicata a un caso come quello in esame, snatura il carattere essenzialmente assistenziale dell’assegno divorzile, rendendo indispensabile l’erogazione di un assegno mensile, come minimo, di € 5000 a vantaggio di una persona a cui non manca né il necessario né il superfluo, pur ammettendo nello stesso tempo che con tale intervento va fallito lo scopo primario che si dovrebbe raggiungere, ossia quello di garantire al soggetto beneficiario il mantenimento dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: viene invece imposta, afferma la Corte, “un’integrazione a titolo di assegno, anche se questo non è sufficiente a coprire la differenza di livello” economico tra i due.
Prendendo, dunque, soltanto lo spunto dal caso in esame, cerchiamo di capire quali sono i principali difetti della norma stessa e dell’interpretazione che le viene comunemente data. È da notare, anzitutto, quanto poco corretto sia prescindere, nella valutazione delle risorse sia immobiliari che mobiliari, dalla “commerciabilità” dei beni, dove per commerciabilità non si intende la meramente teorica possibilità di metterli in vendita, ma si tiene conto delle difficoltà di ogni ordine, compreso quello psicologico, che si incontrerebbero nel procedere a ciò. Si pensi, ad esempio, alla situazione di un nobile decaduto che si trovi nel patrimonio, in quanto ereditato da generazioni di padre in figlio, un quadro di inestimabile valore, ma che al contempo abbia un reddito irrisorio. Evidentemente il proprietario di esso per motivi di tradizione familiare non può procedere alla sua vendita, né d’altra parte possederlo gli dà alcuna rendita; quindi, dal punto di vista economico è come se non lo avesse. Eppure, procedendo a norma di legge, quella persona avrebbe potuto essere condannata – iterando il criterio di giudizio della sentenza in esame – a corrispondere un assegno mensile di varie migliaia di euro a un coniuge con entrate effettivamente disponibili superiori alle sue, anche di parecchio. Ovvero si pensi al divorzio di una persona che si è sposata tardi – quindi dopo avere già costruito la sua posizione sociale – che ha potuto assicurare il proprio benessere e quello della famiglia grazie a un impegno pluridecennale, un sacrificio costante, un orario di lavoro che non conosce soste e l’assunzione di responsabilità pesantissime; e si ammetta che dall’altra parte ci sia un’altra persona che, proprio grazie a quel benessere, non ha mai lavorato fuori di casa e che per quanto riguarda le attività domestiche ha sempre fruito di aiuti in tutto o in parte sostitutivi del suo impegno. Ebbene, normativa vigente e giurisprudenza di merito e di legittimità hanno consacrato non solo il diritto di mantenere il tenore di vita goduto precedentemente, ma anche quello di continuare a non avere una occupazione, visto che quella era stata la scelta fatta durante il matrimonio. Il risultato di queste brevi riflessioni è, ovviamente, uno solo: c’è qualcosa da rivedere nelle norme, o quanto meno nelle loro applicazioni. Forse, tuttavia, può venire il dubbio che ciò facendo ci allontaneremmo dal contesto giuridico sociale internazionale. Niente di tutto questo; nessuna preoccupazione. Anzi. Siamo rimasti l’unico paese al mondo che indulge a considerare il matrimonio come una sorta di assicurazione a vita in grado di garantire gratuita “assistenza” – in qualche caso, come quello in esame, a livelli elevatissimi. Con ciò naturalmente non si intende sostenere la fine della solidarietà, ma che, come ovunque altrove, si capovolga il principio. Il divorzio mette fine alla relazione di coppia sotto tutti i profili, ma in caso di necessità, la cui prova è a carico del richiedente, si stabilisce un sostegno a carico dell’altro, la cui durata è da valutare caso per caso. Adesso invece in Italia, è possibile il divorzio dei corpi, ma restano indissolubili i destini economici, in qualsiasi condizione e non solo se esiste una autentica necessità, non solo se c’è stato un impegno e un sacrificio effettivi nel corso del matrimonio. Questo ci insegna, come tante altre, la sentenza qui presa in esame. Forse sarebbe il caso di rivedere qualcosa nelle nostre regole.
Marino Maglietta cassazione.net