Cedu n. 48280/21 – Il diritto alla cogenitorialità
Ringraziamo il nostro socio Landini per averci inviato questa sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 12 ottobre 2023 – Ricorso n. 48280/21 – Causa Landini c. Italia
Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC
PRIMA SEZIONE
CAUSA LANDINI c. ITALIA
(Ricorso n. 48280/21)
SENTENZA
STRASBURGO
12 ottobre 2023
Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Landini c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Péter Paczolay, presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 48280/21) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Marco Landini («il ricorrente»), nato nel 1975 e residente a Victoria, Australia, rappresentato dall’avv. A. Saccucci del foro di Roma, che il 22 settembre 2021 ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»);
la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»), rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato, le osservazioni delle parti, dopo aver deliberato in camera di consiglio il 19 settembre 2023,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
OGGETTO DELLA CAUSA
Il ricorso riguarda l’impossibilità per il ricorrente, un cittadino italiano che dal mese di maggio 2019 vive in Australia, di esercitare il suo diritto alla cogenitorialità.
Dall’unione tra il ricorrente e R. nacque un figlio, A., nel 2008.
Poco tempo dopo, la coppia si separò e il ricorrente lasciò la casa familiare.
Nel luglio 2009, a seguito di difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita, il ricorrente si rivolse al tribunale per i minorenni di Genova («il tribunale») per ottenere l’affidamento condiviso del minore e un diritto di visita più ampio. Con provvedimento emesso nel novembre 2009, il tribunale concesse l’affidamento condiviso del minore a entrambi i genitori, e fissò il domicilio dello stesso presso R. prevedendo un diritto di visita e di alloggio per il ricorrente.
Tra il 2009 e il 2017 il tribunale e la corte d’appello si pronunciarono più volte sui vari ricorsi di R. e del ricorrente riguardanti le modalità di esercizio del diritto di visita del ricorrente.
Il 29 maggio 2019 il ricorrente adì il tribunale sostenendo che R, continuava ad impedire, con il suo comportamento, l’esercizio del diritto di visita, e presentando anche una richiesta urgente affinché suo figlio potesse trascorrere una parte delle vacanze scolastiche in Australia con lui, dove, nel frattempo, si era trasferito.
Il 1° luglio 2019 il tribunale dichiarò che la richiesta del ricorrente era formulata in termini generici e che, ad ogni modo, i viaggi all’estero dovevano essere autorizzati da entrambi i genitori.
Il 16 settembre 2019 il ricorrente comunicò al tribunale che la sua richiesta era fondata, in particolare, sulla necessità di preservare la relazione tra lui e suo figlio, e quella tra quest’ultimo e i suoi fratelli e sorelle, senza trascurare l’opportunità di un arricchimento culturale di cui il minore avrebbe potuto beneficiare.
Nel corso dell’udienza, che si tenne nel mese di ottobre 2019, il tribunale respinse la domanda con la quale il ricorrente chiedeva che il minore fosse sentito e, il 29 ottobre 2020, il ricorrente depositò una nuova domanda affinché il minore potesse andare da lui in Australia durante le vacanze di Natale.
Nel mese di novembre 2020 il tribunale ordinò che il minore fosse preso in carico dai servizi sociali con un percorso di sostegno psicologico, fissò le modalità dell’esercizio del diritto di visita del ricorrente e, per quanto riguarda la domanda che il minore potesse recarsi in Australia durante le vacanze scolastiche, subordinò questa decisione al consenso di R.
Il ricorrente impugnò questo provvedimento dinanzi alla corte d’appello sostenendo che R. non dava il suo consenso. Il minore non fu sentito dalla corte d’appello.
Con un provvedimento emesso nel mese di marzo 2021, la corte d’appello, dopo aver constatato che R. si opponeva a che il minore si recasse in Australia, confermò la decisione del tribunale, considerando che il suo spostamento «poteva aver luogo solo con il consenso di entrambi i genitori», dal momento che «non soltanto il padre, ma anche la madre doveva essere messa in grado di valutare se lo spostamento fosse nell’interesse del minore, e di dare o meno il suo consenso».
A seguito della comunicazione del ricorso al Governo convenuto, il ricorrente, invocando l’articolo 8 della Convenzione, presentò un ricorso per cassazione lamentando che, in violazione delle disposizioni di legge, il minore non era mai stato sentito, e che i giudici avevano subordinato l’esercizio del suo diritto alla cogenitorialità a una condizione impossibile, in quanto non vi era il consenso da parte di R. affinché il minore si recasse in Australia.
Con ordinanza emessa il 23 giugno 2022, la Corte di cassazione, dopo aver constatato che, in violazione degli articoli 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile, il minore non era stato sentito, annullò il provvedimento impugnato e rinviò il procedimento dinanzi alla corte d’appello.
Il 29 marzo 2023 il minore fu sentito dalla corte d’appello.
Con sentenza emessa l’11 maggio 2023, la corte d’appello ha stabilito che il minore, a partire dall’estate del 2024, se lo desidera potrà recarsi dal padre in Australia per un periodo di tre settimane, accompagnato, all’andata e al ritorno, da un’assistente di volo, da suo padre o dai nonni paterni a spese del ricorrente.
Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta che i giudici interni, a partire dal mese di maggio 2019, hanno omesso di pronunciarsi sulla sua richiesta di esercitare parte del suo diritto di visita presso il suo domicilio, in Australia, violando così il suo diritto alla cogenitorialità.
VALUTAZIONE DELLA CORTE
Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne perché, all’epoca in cui è stato presentato il ricorso in esame, il procedimento era ancora pendente dinanzi alla Corte di cassazione.
Il ricorrente si oppone all’eccezione di mancato esaurimento. Ritiene di essersi avvalso di tutte le vie di ricorso interne disponibili ed effettive, e, inoltre, rammenta che la Corte ha già affermato più volte (Terna c. Italia, n. 21052/18, § 90, 14 gennaio 2021, Strumia c. Italia, 53377/13, § 90, 23 giugno 2016, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 46, 17 dicembre 2013) che le decisioni del tribunale per i minorenni riguardanti, in particolare, il diritto di visita non erano definitive e potevano quindi essere modificate in qualsiasi momento in funzione degli eventi connessi alla situazione controversa.
La Corte rammenta che il rispetto, da parte del ricorrente, dell’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne si valuta, in linea di principio, facendo riferimento alla data di presentazione del ricorso dinanzi alla Corte. Tuttavia, da una giurisprudenza consolidata si evince che la Corte ammette che l’ultima fase di un ricorso interno sia raggiunta successivamente al deposito del ricorso dinanzi ad essa, ma prima della sua decisione sulla ricevibilità dello stesso (Selahattin Demirtaş c. Turchia (n. 2) [GC], n. 14305/17, § 193, 22 dicembre 2020).
La Corte osserva che il ricorrente ha presentato il ricorso dinanzi ad essa dopo la decisione della corte d’appello. Tuttavia, essa non può rimproverare al ricorrente di averle trasmesso le proprie doglianze inerenti alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione senza avere atteso la decisione della Corte di cassazione, dal momento che erano passati vari anni prima che il tribunale adottasse una decisione sulla sua domanda di diritto di visita. A tale proposito, la Corte rammenta che si trattava di un ricorso in materia di diritto di visita e che, data l’urgenza della controversia, era necessario che le autorità prendessero una decisione più rapidamente, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui (H. c. Italia, n. 52557/14, § 42, 13 ottobre 2015, e Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 208, 10 settembre 2019).
In queste circostanze, la Corte ritiene che l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo non possa essere accolta.
Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.
I principi generali applicabili sono ben consolidati nella giurisprudenza della Corte e sono stati di recente ampiamente esposti nelle sentenze Penchevi c. Bulgaria (n. 77818/12, 10 febbraio 2015), Terna (sopra citata), B. e M. c. Italia, (n. 41382/19, 22 aprile 2021) e Improta c. Italia (n. 66396/14, 4 maggio 2017).
La Corte osserva che, a partire dal 2019, il ricorrente non ha più potuto esercitare il suo diritto di visita, in quanto le giurisdizioni hanno omesso di pronunciarsi sulla sua richiesta di poter esercitare il suo diritto di visita in Australia, subordinando tale decisione al consenso della madre del minore. Ora, la Corte osserva che R. si opponeva a che il minore si recasse in Australia durante le vacanze scolastiche. Malgrado ciò, la corte d’appello, senza sentire il minore, ha confermato la decisione del tribunale e ha omesso di pronunciarsi.
Anche se ammette che il diritto nazionale applicabile possa esigere che vi sia il consenso di entrambi i genitori affinché un minore possa viaggiare all’estero, la Corte osserva che gli articoli 316 e 337ter del codice civile garantiscono anche un intervento di sostituzione del giudice in caso di disaccordo allo scopo di proteggere l’interesse superiore del minore. La Corte constata che l’approccio formalistico seguìto nel caso di specie dal tribunale e dalla corte d’appello, in assenza di una vera e propria analisi della proporzionalità della situazione e dell’interesse del minore, pone un problema in quanto R. è stata lasciata libera, per più di quattro anni, di fissare le modalità di contatto (Improta, sopra citata § 53).
La Corte osserva dunque che le giurisdizioni interne, invece di adottare «le misure idonee per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore» (Strumia, sopra citata, §§ 121‑122), «hanno tollerato che la madre, con il suo comportamento, impedisse il consolidarsi di una vera e propria relazione tra il ricorrente e il minore» (ibidem).
La Corte prende atto che la Corte di cassazione ha annullato le decisioni in quanto il minore non era stato mai sentito nel corso dell’intero procedimento. La corte d’appello alla quale era stato rinviato il caso, dopo avere sentito il minore, ha autorizzato quest’ultimo a recarsi in Australia a partire dal 2024, ossia cinque anni dopo che il ricorrente vi si era trasferito.
A questo riguardo, la Corte ritiene che sia la quantità che la qualità delle modalità di contatto, se sono considerate essere nell’interesse superiore del minore, siano di fondamentale importanza nel contesto di una relazione tra un genitore non residente e un figlio. Di conseguenza, l’accesso limitato del ricorrente a suo figlio, per un periodo di circa quattro anni, ha avuto delle ripercussioni sulla vita familiare del ricorrente (Popadić c. Serbia, n. 7833/12, § 95, 20 settembre 2022).
Alla luce di quanto sopra esposto, e dopo aver condotto un’analisi approfondita delle osservazioni delle parti e della giurisprudenza pertinente, la Corte conclude che, per vari anni, le autorità interne non hanno fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse per prendere in considerazione l’interesse legittimo del ricorrente a sviluppare e mantenere un legame con suo figlio, e l’interesse a lungo termine di quest’ultimo nello stesso senso. In particolare, la Corte rileva che le autorità interne si sono sottratte al loro obbligo di procedere entro un termine ragionevole a una valutazione dettagliata e scrupolosamente equilibrata della situazione nel suo complesso e dell’interesse superiore del minore. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il periodo durante il quale le giurisdizioni interne hanno omesso di pronunciarsi sulla domanda del ricorrente.
APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
Il ricorrente chiede la somma di 12.766,60 euro (EUR) per il danno materiale per i biglietti aerei acquistati nel 2022 per recarsi in Italia con i suoi figli, e la somma di 30.000 euro per il danno morale che ritiene di avere subìto. Egli chiede, inoltre, producendo i relativi documenti giustificativi, la somma di 6.857,87 euro (EUR) per le spese che dice di avere sostenuto nell’ambito del procedimento dinanzi alle giurisdizioni interne, e la somma di 17.000 EUR per le spese che dice di avere sostenuto per il procedimento dinanzi alla Corte.
Il Governo contesta queste richieste e, per quanto riguarda il danno materiale, afferma che le frontiere australiane sono state chiuse per circa due anni nel contesto della pandemia di Covid-19.
La Corte rileva che vi è un nesso di causalità diretto tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, ossia le spese aeree sostenute unicamente dal ricorrente per recarsi in Italia nel 2022 per rivedere suo figlio. Tenuto conto dei documenti in suo possesso, essa accorda al ricorrente la somma di 4.023 EUR a questo titolo.
Per quanto riguarda il danno morale, la Corte ritiene opportuno accordargli la somma di 7.000 EUR più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
Tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma di 13.000 EUR per tutte le spese, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
Dichiara il ricorso ricevibile;
Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
Dichiara,
che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, le somme seguenti:
4.023 EUR (quattromilaventitré euro) più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno materiale;
7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
13.000 EUR (tredicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 12 ottobre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Péter Paczolay
Presidente
Cancelliere aggiunto
Liv Tigerstedt