E se l’affido fosse tutto un business? Federcontribuenti lancia un’accusa pesantissima
Scatena violente polemiche l’articolo pubblicato da Panorama, a firma Maurizio Tortorella, dal titolo “Troppi i bambini dati in affido: è un business?” (sul numero in edicola dal 17 ottobre). Le accuse sono pesanti. L’inchiesta parte da un confronto fra i numeri dei bambini tolti alle famiglie in Italia e all’estero. 39mila minori italiani contro 8mila in Germania e 7700 in Francia (“dove – specifica il giornalista – il numero degli abitanti è più elevato”).
L’inchiesta parte da un confronto fra i numeri dei bambini tolti alle famiglie in Italia e all’estero. 39mila minori italiani contro 8mila in Germania e 7700 in Francia (“dove – specifica il giornalista – il numero degli abitanti è più elevato”). Di qui il grave dubbio sollevato. Le cause ufficiali per togliere un minore ai genitori sono abusi sessuali, separazioni violente, indigenza. Ma se la “vera” ragione fosse un’altra? E cioè che comuni e aziende sanitarie locali pagano per ciascun minorenne affidato a una comunità educativa una retta minima giornaliera di 200 euro (ma spesso si arriva a superare i 400). E se fosse un colossale business della sofferenza minorile, basato su perizie addomesticate? “La Federcontribuenti – continua Tortorella – stima in 2 miliardi di euro la spesa pubblica annua destinata a sostenere gli affidamenti di minorenni”. Il presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella, sottolinea che si tratta di un’anomalia troppo grave per non insospettire e che è stata avviata una commissione d’inchiesta che denuncerà i comportamenti non trasparenti. Fin qui l’articolo di Panorama. A poche ore dall’uscita il dibattito fra le associazioni che si occupano di affido si è ovviamente scatenato. Le parole più ricorrenti per definire l’articolo sono state “inesatto, incompetente, ingiurioso, ideologico, falso”. E’ già stato sollecitato un intervento del Garante per l’infanzia e l’adolescenza e c’è preoccupazione per la “mala informazione”. Fuori dal coro, Marco Griffini, presidente di Ai.Bi., invita a considerare la denuncia, pur nelle sue imprecisioni e confusioni, un’occasione per affrontare il cuore del problema affido: “Questo articolo ha scatenato un putiferio. Certo, è un attacco diretto, ma non fermiamoci allo scandalo dei benpensanti (e ben operanti!). Vediamone anche l’utilità. Serve ad innescare un dibattito importante sulla facilità con cui si mettono i minori in Comunità Educativa. Occorre – noi di Amici dei Bambini lo diciamo da anni – una riforma radicale dell’affido e occorre dire con chiarezza che le famiglie affidatarie e le case famiglia sono una forma di accoglienza totalmente diversa dalle Comunità educative”. Sono dunque indispensabili alcune precisazioni e chiarimenti. In Italia sono quasi 30mila i minori fuori famiglia, e fra questi, poco meno di 15mila vivono in comunità educative (tra loro 1626 sono bambini al di sotto dei sei anni). Quindi oltre la metà dei minori finisce nelle comunità educative, strutture che non differiscono molto dagli istituti chiusi per legge a partire dal 2006. L’unica variante è il numero: le comunità educative possono ospitare non più di 12 bambini per volta, ma questi vengono comunque affidati alle cure di figure professionali, gli educatori. Molto diverso è invece garantire al minore l’inserimento temporaneo in una famiglia affidataria o in una Casa Famiglia, gestita da una coppia sposata, che può accogliere fino al massimo di sei bambini e che offre un affetto, un accudimento e due figure di riferimento genitoriali. I bambini, infatti, hanno bisogno di accoglienza, non di assistenza. Di qui l’obiettivo promosso da Ai.Bi. di fissare la chiusura entro il 31 dicembre del 2017 di tutte le comunità educative. Questo consentirebbe anche un significativo risparmio per lo Stato, visto che il costo di un minore in affido è circa 6 volte inferiore rispetto alla soluzione della Comunità. Stando ai dati del ministero delle Politiche sociali (che differiscono da quelli dati dalla Federcontribuenti e riportati da Panorama), i minori ospitati nelle comunità costano circa sei volte di più di quelli in affido familiare: 79 euro al giorno contro 13 euro. Chiudere le comunità, con una politica di forte incentivazione dell’affido, rappresenterebbe dunque un risparmio di soldi pubblici. Oltre che un radicale miglioramento delle condizioni di accoglienza dei bambini. E’ questo uno dei punti cardine del Manifesto per una nuova Accoglienza Familiare Temporanea che punta ad arrivare ad una riforma della legge 149/2001 sull’affido. Se oggi l’affido familiare è in crisi o forse non è mai decollato, è sicuramente colpa di una cultura negativa, della gestione pubblica che ne viene fatta e dell’eccessiva solitudine delle famiglie, abbandonate a se stesse. Per questo il prossimo 23 novembre, sarà la Giornata dell’affido. Un’occasione per approfondire il tema e confrontarsi in tutta Italia
Fonte:http://www.aibi.it