Glenda Mancini, la donna che denuncia la violenza domestica subita dagli uomini
“L’uomo vittima di una donna carnefice” è una tesi di laurea diventata libro. Autrice Glenda Mancini, giovane dottoressa in scienze dell’investigazione. Come si evince dal titolo, si tratta di una ricerca sul fenomeno della violenza di genere perpetrata da donne nei confronti degli uomini. Inutile dire quanto sia stato difficile, per Glenda Mancini, reperire materiale e dati e portare a termine tale ricerca, essendo il fenomeno pressoché ignorato in Italia. Nel Belpaese la “violenza di genere” è assodato che sia solo degli uomini nei confronti delle donne. Eppure il libro di Glenda Mancini smentisce questa verità superficiale, persino strumentalizzata politicamente in tempi recenti. Un lavoro che, oltre a stupire quella parte di opinione pubblica che riteneva impensabile che una donna si potesse occupare di violenza delle donne contro gli uomini, è costato svariate critiche ingiuste alla stessa autrice. Tra cui, l’accusa di “minimizzare il femminicidio”, avanzata anche dalla testata on line Giornalettismo.
Accuse cui abbiamo dato l’opportunità all’autrice di replicare, in questa intervista che ha gentilmente rilasciato in esclusiva
Glenda Mancini, cosa spinge una donna a parlare della violenza subita dagli uomini per mano delle donne?
In realtà il mio interesse per questo tema nasce in maniera piuttosto casuale, infatti in origine era rivolto allo studio della violenza dell’uomo sulla donna. Solo successivamente, essendomi imbattuta in ricerche straniere nelle quali si afferma che la violenza domestica vede come principale agente la donna, ho deciso di modificare il tema della tesi e stravolgere i termini con la quale definivo la cosiddetta “violenza di genere”, approfondendo appunto il tema della violenza delle donne sugli uomini. Comunque, credo sia più interessante chiedersi, come mai così poche donne si interessano alla violenza delle donne sugli uomini?
Domanda interessante. Dalle altre donne ha incontrato solidarietà oppure critiche?
In realtà la risposta sociale dipende strettamente dal tipo di interlocutore che ho di fronte, anche dall’influenza culturale e politica che lo caratterizza. Trovo donne che si interessano e donne che negano contro ogni evidenza la possibilità di riconoscere l’uomo nel ruolo della vittima, sia chiaro che lo stesso discorso vale per interlocutori di sesso maschile.
Lei è stata piuttosto duramente attaccata dalla testata on line Giornalettismo. Ritiene che certi argomenti, come quelli da Lei trattati, siano tabù?
Ritengo, sinceramente, che le critiche avanzate da Giornalettismo siano del tutto pretestuose, tra l’altro basate su un articolo scritto da un quotidiano e su interpretazioni personali delle intenzioni altrui. Comunque tali reazioni solitamente nascono proprio per il fatto che l’argomento resta un tabù, sembra che se si parla di violenza sull’uomo allora necessariamente si voglia sminuire la violenza sulla donna, ma non è così. Semplicemente si vuole per lo meno tentare di parlare di violenza in tutti i suoi aspetti. Se parlo di violenza sulla donna, non sto sminuendo la violenza sui bambini, sto solo parlando di un tipo di violenza. Così come se parlo di violenza sugli uomini non sto sminuendo la violenza sulle donne, sto solo parlando di un’altra vittima della violenza.
Per quale motivo, secondo Lei, fa più notizia che una donna parli di violenze subite dagli uomini piuttosto che le violenze stesse?
Credo questo sia sicuramente un tema di sua competenza, è lei che dovrebbe darla a me questa risposta…
Touché. Recentemente il parlamento ha approvato una legge che istituisce il cosiddetto “reato di femminicidio”. Lei, da donna, cosa ne pensa?
Non c’è nulla da pensare, è una legge anticostituzionale. Al di là dei difetti giuridici e culturali che la legge presenta c’è un difetto più grande: afferma che l’omicidio di una donna meriti una pena maggiore rispetto ad un omicidio di un uomo da parte di una donna o di una donna su una donna. Implicitamente si sta dunque affermando che questo tipo di omicidio sia più grave o più drammatico rispetto ad un altro tipo di omicidio.
Torniamo al Suo libro, “L’Uomo vittima di una donna carnefice”, che è la tesi che Le ha permesso di laurearsi in scienze dell’investigazione. Con quali caratteristiche, principalmente, si manifestano le violenze delle donne sugli uomini?
Quello che ho potuto appurare attraverso il sondaggio da me svolto è che è innegabile che esista una violenza non solo psicologica ma anche fisica sull’uomo da parte della donna, questo studio non mi permette di affermare che i tassi di violenza siano equiparabili come avviene nelle ricerche straniere, ma mi permette di dire che il 79% degli intervistati afferma di aver subito violenza, ovvero quasi 5 uomini su 7, e che la violenza perpetrata ricopre le caratteristiche e le modalità da sempre tipicamente considerate prerogative maschili.
Quali sono queste prerogative?
Non solo violenza psicologica con offese, disistima e svalutazione, ricatti materiali e morali che durante la fase di separazione e divorzio assumono la forma di mobbing familiare e giudiziario e come conseguenza possono arrivare a creare un vero e proprio disagio psicologico per l’uomo che ne è vittima, ma anche violenza fisica. Schiaffi e colpi, spinte, lanci di oggetti, calci, morsi, pugni, colpire o tentare di colpire con oggetti contundenti, picchiare e minacciare con pistole e coltelli.
La più frequente forma di violenza agita dalle donne sugli uomini in ambito familiare è la violenza psicologica, senza dimenticare che il fenomeno delle false denunce mette in moto la macchina giudiziaria: una violenza che noi chiamiamo mobbing giudiziario, che non è agita direttamente dalle donne ma è innescata dalle stesse. In questo senso una falsa denuncia, pur non essendo un atto di violenza, lo diventa.
Quello della falsa denuncia è un fenomeno ricorrente?
Sì. Non si può certo dire che di per sé fare una denuncia sia un atto di violenza, ma nel momento in cui il CSM comunica che l’80% delle denunce che le donne fanno agli uomini risultano false o strumentali, le conseguenze posso essere ricomprese nella più vasta categoria della violenza. A questo si aggiunge, ultimamente l’irrevocabilità della denuncia.
Ha avuto difficoltà a trovare notizie sulle violenze di genere perpetrate in Italia dalle donne nei confronti degli uomini?
Nella maniera più assoluta sì. Non esiste una bibliografia ne tanto meno dati ufficiali. In Italia non ci si è mai posti il problema di indagare la violenza delle donne sugli uomini, è stato dato per scontato che questa non esiste.
Secondo Lei verrà il momento in cui, in Italia, saranno riconosciute come “violenze di genere” anche quelle di cui parla nel suo libro?
Spererei che si cominciasse a parlare di violenza come fenomeno tipico della specie e non del genere.
Fatto ciò cominciare ad investire per la prevenzione della violenza in tutte le sue espressioni.
Quali possono essere i motivi principali per cui esistono le violenze di genere, da parte di entrambi i sessi?
Ognuno di noi ha l’attitudine a reagire violentemente se si produce l’opportuno insieme di circostanze. Nella maggior parte dei casi è una complessa combinazione e interazione di questi fattori a predisporre gli uomini e donne ad usare la violenza per risolvere i conflitti nelle relazioni intime.
Insomma, non è vero che uomini e donne siano due mondi tra loro inconciliabili e incomunicabili…
Se così fosse la nostra specie si sarebbe estinta qualche generazione dopo la sua comparsa.