N.43296/13 – E’ calunnia affermare falsamente che l’ex non ha versato il mantenimento per i figli
E’ proprio vero: “le bugie hanno le gambe corte” e alla fine la verità emerge sempre. No non sto parlando di bambini per i quali la bugia può anche essere indice di intelligenza e di sviluppo cognitivo. Sto parlando degli adulti che le bugie le usano per il proprio torna conto e che talvolta, mentendo, potrebbero commettere addirittura un reato. Ce lo ricorda anche la Corte di Cassazione (sentenza n. 43296/2013) che ha confermato la condanna per calunnia di una ex moglie che nell’enfatizzare la condotta delittuosa del marito, lo aveva accusato di avere totalmente omesso il contributo al mantenimento dei figli. Un accusa che poi si è rivelata in parte falsa.
La donna si era rivolta alla Cassazione per impugnare una sentenza della corte d’appello che aveva confermato la precedente condanna per calunnia nei confronti dell’ex compagno falsamente accusato di aver totalmente omesso il versamento dell’ assegno di mantenimento per i figli.
L’ex coniuge, invece, aveva corrisposto, nel periodo indicato dalla donna, una somma complessiva di 6.800.000 euro, spiegando comunque le ragioni
di alcune “omissioni e ritardi”.
La Suprema Corte rigettava il ricorso ritenendo che le doglianze difensive, che facevano riferimento a vizi logici della motivazione emessa dai giudici merito, fossero infondate. La Corte d’Appello aveva affermato ,nei confronti della donna , l’ascrivibilita’ del reato di calunnia valorizzando come fonte di prova il tenore letterale della denuncia in cui si diceva che l’uomo ” non aveva versato alcunché “ma in realtà aveva versato importi rilevanti ( 6.800 euro) giustificando anche le omissioni ed i ritardi.
Vale la pena ricordare che : ” la querela è un passaggio molto delicato e specialmente quando riguarda reati procedibili d’ufficio deve essere redatta con estrema attenzione. Tutto ciò che si dichiara, deve corrispondere al vero, e comunque deve essere riscontrabile.
La Corte territoriale valutava e verificava analiticamente questi elementi di prova al punto da ricostruire in maniera logica ed unitaria i fatti da cui ne derivava la responsabilità penale della donna.
Sulla base di questi elementi di prova veniva anche ribadita l’assoluzione dell’avvocatessa che aveva materialmente redatto l’atto di denuncia-querela; la professionista, infatti, nel redigere l’atto era convinta, sulla base delle informazioni fornite dalla sua cliente, che l’ex compagno fosse inadempiente.
Per tutte queste ragioni, la Corte dichiarava il ricorso inammissibile; condannava la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, pari ad €. 1000,00 (mille),
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquidava nella
somma di €. 1340 oltre i.v.a.
Fonte: StudioCataldi.it