La vicenda di cui si è occupata la Corte di Cassazione ricorda da vicino la storia del protagonista di “Vado a vivere da solo” un film del 1982, con la regia di Marco Risi e come protagonista Jerry Calà, che interpreta il ruolo di Giacomo uno studente fuoricorso che chiede ai genitori i soldi per andare a vivere da solo e rendersi indipendente. Giacomo rappresenta,quindi, uno dei tanti ragazzi che giunti all’età di trent’anni non hanno ancora conseguito la laurea e non avendo una propria attività lavorativa sono per lungo tempo mantenuti dai genitori.
In verità, ci sono anche molti studenti che cercano di non pesare sull’economia delle proprie famiglie arrabattandosi con piccoli lavoretti.
Ma perché un figlio possa dirsi davvero “indipendente economicamente” è necessario che svolga un’attività lavorativa stabile oppure che abbia altre rendite.
Proprio per chiarire ulteriormente la Cassazione (Sentenza n. 27377 del 6.12.2013) ha stabilito che un figlio maggiorenne può dirsi che abbia raggiunto una propria “indipendenza economica” anche se ha un patrimonio personale come ad esempio un immobile da cui ricava una rendita.
Dunque, se è stata raggiunta una certa “indipendenza economica” questa e’ una condizione che fa cessare l’obbligo per il genitore a versare l’
assegno di mantenimento.
In buona sostanza, il genitore obbligato al versamento dell’assegno non può interrompere il versamento in maniera arbitraria, cioè da un giorno ad un altro, ma deve presentare al giudice una apposita istanza per chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio.
La revoca dell’assegno, quindi, può essere chiesta non solo quando il figlio ha trovato una occupazione stabile ma anche, come in questo caso, quando abbia guadagni di altro tipo come un immobile da cui poter ricavare una rendita.
In merito all’occupazione stabile del figlio, secondo giurisprudenza consolidata, non è necessario espletare effettivamente un’attività lavorativa perché sia giustificata la revoca del mantenimento.
In alcuni casi basta la “potenzialità” del figlio maggiorenne a far sospendere questo contributo economico.
Nella stessa sentenza di cui sopra, gli Ermellini hanno ribadito, inoltre, un altro principio piuttosto consolidato e cioè se il figlio si trasferisce in una sede diversa dal luogo di residenza familiare, esempio per andare a studiare all’università, il genitore perde il diritto all’assegnazione della casa familiare.
Più in dettaglio, se viene meno l’abituale convivenza del/la figlio/a con la madre, vengono meno l’obbligo del marito di versare il mantenimento e il diritto dell’altro coniuge all’assegnazione della casa familiare.
Solo il figlio potrà eventualmente far valere in giudizio il diritto al mantenimento nei confronti dei genitori.
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