N.7452/12 – RISARCIBILE IL DANNO PER SINDROME DA ALIENAZIONE GENITORIALE
Il Tribunale pronunciava la separazione dei coniugi, disponeva l’affidamento condiviso della figlia minore e individuava la madre quale genitore collocatario. Altri provvedimenti “educativi” erano stati assunti dal Tribunale: obbligo di intraprendere un percorso di mediazione familiare per i genitori, miglioramento dei rapporti genitori – figlia e la sospensione del diritto di visita per il padre, dato il rifiuto opposto dalla figlia.
Ma il Tribunale pronunciava provvedimenti anche di carattere economico: a fianco della quantificazione dell’assegno di mantenimento, condannava, ex art. 709 ter c.p.c., la madre al risarcimento del danno in quanto ritenuta responsabile della sindrome da alienazione genitoriale da cui era affetta la figlia. Risarcimento in favore non solo della figlia ma anche del padre/marito.
La effettiva durezza dei provvedimenti enunciati dal Tribunale spingono la donna a ricorrere in Appello chiedendo la revoca della condanna risarcitoria e l’affidamento esclusivo della figlia; il marito, resistendo, chiedeva a sua volta l’affidamento esclusivo.
L’Appello, accogliendo parzialmente il ricorso, revocava la condanna al risarcimento in favore della figlia e riducendo quello a favore del marito.
Il giudizio arriva in Cassazione la quale emette sentenza, rigettando il ricorso.
L’iter seguito dai giudici precedentemente aditi, spiega, è incontestabile e ritiene, tra l’altro, le accuse mosse dalla madre nei confronti del padre (che andavano da una violenza psicologica sino a sconfinare nell’abuso sessuale nei confronti della figlia) ampiamente negate dalle relazioni che i professionisti avevano presentato nei precedenti gradi del giudizio.
La vicenda, fuori e dentro l’aula di giustizia, appare il frutto proprio di quella conflittualità che ha spinto i giudici a rilevare la sindrome da alienazione parentale diagnosticata alla figlia.
È quindi riconosciuto il risarcimento all’uomo. Perché non anche alla figlia?