Decreto Legislativo 154/2013: fra novità e incostituzionalità
Il decreto legislativo 154/2013 sull’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi
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Di Simone Pillon, avvocato cassazionista, mediatore familiare, consigliere nazionale del Forum delle Associazioni familiari
In un anno di tempo la commissione governativa, nominata in gran segreto, ha ottemperato alla delega ricevuta, facendo sottoscrivere al Presidente Napolitano il 30 dicembre scorso il testo del decreto legislativo 154/2013 di cui siamo occupandoci.
La prima impressione è quella di un testo-omnibus in cui si è voluto far passare sia quanto previsto dal parlamento sia quanto auspicato da una parte della dottrina sia infine quanto voluto da alcuni burocrati fortemente contrassegnati dal punto di vista ideologico. Il tutto sottraendo al dibattito pubblico la legittimazione a scegliere priorità ed eventuali modifiche al sistema in vigore fino ad oggi. Vediamo nel prosieguo di individuare le più importanti novità.
La nuova norma onestamente non è male. Prevede che il giudice di default debba sentire il minore ma stabilisce anche un meccanismo deflattivo dell’audizione qualora – con provvedimento motivato – l’audizione si dimostri superflua o contraria all’interesse del minore stesso. Quelle che andrebbero invece cambiate sono le modalità della
audizione: il minore dovrebbe essere sentito in un luogo diverso dal Tribunale e l’audizione dovrebbe essere sempre videoregistrata, senza far uso del previsto “verbale riassuntivo” foriero di sbrigative semplificazioni. E’ un diritto del minore essere sentito, ma in alcuni casi è un suo diritto anche non essere sentito e questa norma ha il pregio di riconoscere entrambi…
La “potestà genitoriale” viene sostituita dalla “responsabilità genitoriale”
Non è dato di capire per quale ragione il governo abbia ritenuto di eliminare la potestà genitoriale. L’ultimo riferimento alla autorità (auctor: colui che è il tuo autore…) che spetta per natura ai genitori sui loro figli è stato pudicamente allineato al politicamente corretto di matrice nordeuropea. Noi personalmente eravamo affezionati al concetto di potestà genitoriale e la sua dipartita ci desta qualche preoccupazione: resta infatti da capire come si riuscirà a riempire di significato il concetto di responsabilità genitoriale, che richiama più ad un dover rendere conto a terzi delle proprie decisioni in materia di genitorialità. Non vorremmo che dietro a questa apparentemente innocente modifica semantica si nascondesse l’ennesimo tentativo di espropriare i genitori del loro diritto- dovere di educare i figli. Chi deciderà se le scelte dei genitori saranno state responsabili oppure no? In fondo si è voluto ridurre al silenzio l’ultima delle potestà private, assegnate alla famiglia, per ricondurla al già fin troppo soffocante controllo da parte della pubblica autorità, ed in particolare, come vedremo, di quella giudiziaria. Il delegittimato potere pubblico vuole delegittimare il legittimo potere privato, e questo non è mai un buon segno.
Unico aspetto positivo la previsione contenuta nel novellato art. 317 codice civile secondo cui (bontà loro…) la responsabilità genitoriale continua anche dopo la separazione dei genitori. E’ un po’ triste che la divisione della coppia venga quasi data per scontata, ma tant’è…
Grava sui genitori l’onere di ricorrere al giudice per le decisioni riguardanti la prole
Ecco il corollario della soppressione della potestà genitoriale: se i genitori sono esautorati chi decide? Ovviamente il giudice… Tutte le decisioni per cui i genitori non troveranno un accordo sono demandate al giudice… Questa norma, introdotta con la modifica dell’art. 316 del Codice Civile ci vede assolutamente contrari. Non pare un gesto sensato introdurre tale possibilità, tra l’altro liberamente percorribile non solo dalle coppie separate ma anche da quelle ancora unite. In primo luogo si introduce il principio di attribuire a terzi le decisioni endofamiliari, con conseguente ed evidente rischio che via via si tolga ogni autonomia alla famiglia. In secondo luogo, dopo aver cianciato di responsabilità, si de-responsabilizza la coppia genitoriale attribuendo al giudice le funzioni più tipicamente familiari. In terzo luogo si sceglie la strada giudiziaria quando – al limite – si sarebbe ben potuto offrire alle coppie genitoriali in impasse una via di conciliazione mediante la mediazione familiare o il supporto alla genitorialità che avrebbe restituito ai due la libertà della decisione rimettendoli in grado di discernere il bene per la prole.
La residenza abituale del minore viene imposta dal giudice
Su questo concetto il governo comincia ad assestare pericolose picconate alla legge 54/2006 dell’affido condiviso della prole. Infatti non è un mistero – per chi si occupi di politiche legislative familiari – che molte associazioni e realtà sociali stiano da tempo chiedendo una piena applicazione della legge sull’affido condiviso. Non è un mistero neppure che tra le proposte in campo ci fosse – largamente condivisa – quella di giungere finalmente – in caso di separazione dei genitori – ad un doppio domicilio per la prole. Decidere con un decreto legislativo che spetta al giudice determinare la residenza abituale del minore qualora i genitori non trovino un accordo in tal senso è certamente un segnale molto forte nella direzione dell’affido esclusivo, o comunque del c.d. “genitore prevalente” che il governo preferisce evidentemente alla joint custody, affossando l’affido materialmente condiviso che invece viene chiesto da numerose associazioni e da alcuni progetti di legge all’esame del Parlamento.
Anche la questione della casa coniugale viene affrontata e risolta stravolgendo la normativa in vigore: infatti con la nuova formulazione dell’art.337 sexies del Codice Civile sembra di poter ritenere che il Giudice, in caso di separazione, possa assegnare la casa familiare a uno dei due separandi a prescindere dall’esistenza o meno della prole…
Un bel passo indietro rispetto alla legge 54 che subordinava esplicitamente tale compressione del diritto di proprietà all’esistenza di diritti dei minori non diversamente tutelabili.
l’autonoma azione giudiziaria riconosciuta ai nonni rischia di moltiplicare il contenzioso
Il governo ha deciso, con l’art. 317 bis introdotto nel codice civile, di consentire ai nonni l’intervento in giudizio, con propria autonoma azione, per chiedere di veder garantiti congrui tempi di frequentazione coi nipoti. Questa norma, che viene incontro ad un’esigenza molto sentita specie in caso di crisi familiare, è tuttavia formulata in modo assai pericoloso in quanto non introduce alcun filtro preventivo di tale azione e costringe le parti anche in questo caso a giurisdizionalizzare il conflitto, oltretutto allargandolo ai nonni. Così com’è, la norma abilita i nonni a chiedere l’intervento del giudice, sindacando ancora una volta nelle questioni familiari e moltiplicando il contenzioso. La commissione governativa sembra dimenticare che gran parte delle separazioni trova origine in un mancato affrancamento della nuova coppia genitoriale dalle rispettive famiglie di origine! Consentire ai nonni di “mettere l’avvocato” contro la nuora o il genero non pare dunque una soluzione adeguata ed anzi porterà certamente con sé la moltiplicazione dei conflitti.
Meglio sarebbe stato riconoscere con adeguata chiarezza il preciso diritto dei minori a ricevere cura ed educazione da parte dei nonni e prevedere idonei meccanismi extra- processuali per la sua tutela, magari mediante azioni di Alternative dispute resolution o di moral suasion, coinvolgendo in ogni caso anche i genitori nelle scelte dei nonni.
In compenso i nonni pagheranno molto caro tale diritto. Infatti il governo, evidentemente in cerca di un modo per alleggerire il carico dei Servizi Sociali, ha contemporaneamente deciso di introdurre l’art. 316 bis Codice Civile che introduce l’obbligo per i nonni di mantenere i nipoti e abilita gli adorati nipotini a promuovere immediata azione esecutiva! Ormai la mancetta mensile o settimanale sarà un ricordo e i malcapitati avi potranno
essere sottoposti a pignoramento dal nipote “bamboccione” e costretti a sborsare i quattrini per pagare i suoi interminabili studi. Al di là dell’evidente nemesi contenuta nei due provvedimenti, resta la preoccupazione per una tanto pregnante modifica alla normativa attuale, assunta dal governo senza una delega del parlamento in tal senso. Ma non è l’unico caso…
L’abrogazione della disciplina sull’affido condiviso e la perdita della potestà genitoriale in capo al genitore non affidatario sono un deciso passo indietro sulla bi-genitorialità
Dopo anni di battaglie per una piena realizzazione dell’affido condiviso le associazioni per la difesa dei diritti dei minori si trovano ora di fronte ad un clamoroso passo indietro, senza neppur sapere chi ringraziare… Come se ciò non bastasse, la nuova formulazione dell’art. 337 quater priva completamente il genitore non affidatario della “responsabilità genitoriale” commettendo così un autentico sopruso. Fino ad oggi infatti entrambi i genitori, anche in caso di affido esclusivo, mantenevano la potestà genitoriale sul minore e potevano perderla solo in caso di condotte gravemente pregiudizievoli per la prole. Da ora in poi invece basterà un affido esclusivo, magari dettato da semplici ragioni di ritorsione, per lasciare uno dei due privo di qualsiasi voce in capitolo. Ciò è di inaudita gravità.
L’azione ha davvero le sembianze di un inaccettabile blitz, oltretutto portato con le sempre più frequenti modalità di delegittimazione del corpo sociale e delle rappresentanze politiche in favore di poteri burocratico-amministrativi privi di controllo democratico. L’affido condiviso risponde ad un preciso diritto dei minori di poter continuare a ricevere cura educazione e istruzione da papà e mamma anche dopo la separazione. Voler limitare la portata delle norme che faticosamente avevano cominciato a realizzare – se non altro nella previsione legislativa – il diritto alla bi-genitorialità (co-parenting) è stato un autentico eccesso di delega che si spera sia sanzionato quanto prima dalla Corte Costituzionale.Conclusioni
Il resto della normativa è sostanzialmente corretto, e il governo si è limitato ad adeguare i testi vigenti adattandoli alla nuova definizione di “figli nati dentro e fuori il matrimonio”. Anche le modifiche in tema di diritto successorio sono sostanzialmente adeguate alla normativa vigente, ammettendo i figli nati fuori dal matrimonio a partecipare integralmente all’eredità dei genitori. Interessante è anche la previsione dei diritti dei
“nascituri”. Aspettiamo di vedere se qualcuno si accorgerà che tra i diritti dei nascituri vi è anche quello di venire al mondo…
Stupisce pertanto che la commissione, incaricata dal governo di scrivere il decreto legislativo, abbia saputo fare un buon lavoro nella parte tecnica e si sia invece lasciata prendere la mano con pesanti modifiche extra-delega sulla parte giuridica relativa all’affido dei minori, nella quale, più che adeguare i diritti dei minori nati fuori dal matrimonio a quelli – più ampi – dei minori nati nel matrimonio, si è operato al contrario, comprimendo in tal modo i diritti di tutti i figli per renderli omogenei.
Si conferma inoltre che la coppia genitoriale, sia essa famiglia o convivenza di fatto, è sempre e comunque lasciata sola davanti alla crisi della relazione. Il vero modo di salvaguardare i diritti dei minori, di tutti i minori, sarebbe quello di aiutare i loro genitori a restare insieme. Gli strumenti ci sarebbero, come dimostrano numerose esperienze di conciliazione familiare e di tutoring per le coppie in crisi, ma la verità è che – in questo come in molti altri ambiti – si preferisce anteporre la libertà degli adulti alla serenità dei minori.
Perugia, 10 febbraio 2014