N.25843/13 – Con “lo shopping compulsivo” della moglie si ottiene la separazione
Il disturbo della personalità del coniuge, caratterizzato da un impulso compulsivo all’acquisto, non esclude la capacità di intendere e di volere e l’imputabilità di detti comportamenti.In un procedimento di separazione giudiziale tra coniugi, il Tribunale condannava il marito a corrispondere alla moglie l’assegno di mantenimento per l’importo di Euro 2.000,00 mensili. Proponeva appello il marito e la Corte di Appello escludeva l’assegno di mantenimento a favore della moglie. Ricorre per cassazione la moglie.
La moglie sostiene che la sentenza impugnata si fonderebbe su una lettura fortemente riduttiva della consulenza tecnica di ufficio, avente ad oggetto l’accertamento della condizione psichica di essa stessa, ed in particolare la sussistenza di una patologia attinente all’uso incontrollato del denaro per effettuare ossessivamente acquisto di beni mobili. Precisa la sentenza impugnata che il CTU ha verificato l’utilizzo da parte della moglie di denaro sottratto ai familiari ed a terzi, per soddisfare la propria esigenza di effettuare acquisti sempre più frequenti e dispendiosi di beni mobili, quali vestiti, borse, gioielli, spendendo somme di volta in volta più ingenti.
Ammette bensì la Corte di Appello che, al test di Rorscharch la moglie manifestava una nevrosi caratteriale repressa che ha indotto il consulente, sulla base del pregresso comportamento, a formulare una diagnosi di “shopping compulsivo”, caratterizzato da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili. Aggiunge la sentenza, richiamando le osservazioni del consulente, che la moglie si è presentata davanti al CTU, lucida ed orientata nei parametri spazio temporali nei confronti delle persone e delle cose, disponibile al colloquio, curata nell’aspetto e nell’abbigliamento, adeguata nel comportamento, ed ha risposto con attenzione e concentrazione, mentre la memoria rimaneva perfettamente integra.
Continua il giudice a quo, precisando che la moglie era perfettamente conscia della sua patologia e lo stesso CTU ha escluso un’incapacità di intendere e di volere, sussistendo soltanto un impulso compulsivo all’acquisto, sicuro disturbo della personalità che tuttavia, anche in base all’andamento pregresso, si poteva ritenere “ciclico”. In tale contesto, le osservazione della moglie circa errori di fatto della sentenza, peraltro soltanto affermati (ad esempio, si contesta l’affermazione della sentenza stessa, per cui la moglie non si sarebbe sottoposta a cure mediche), presentano una valenza del tutto marginale.
È bensì vero che questa Corte (Cass. S.U. n. 9163 del 2005) ha affermato che nelle cause di imputabilità potrebbero rientrare pure nevrosi, psicopatie, disturbi della personalità, ma, nella specie, evidentemente, il disturbo mentale, pur presente nella moglie, secondo le risultanze della consulenza, come richiamate dal giudice a quo, non escludeva la sua imputabilità. Affermata dunque la piena imputabilità della moglie, sicuramente i comportamenti riscontrati, pacificamenti sussistenti (furti di denaro ai familiari ed ai terzi, acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili), configurano violazione dei doveri matrimoniali. ai sensi dell’art. 143 c.c.
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