N. 003 24 /1/12 – Maltrattamenti a minore in famiglia – Genitrice condannata al risarcimento dei danni
a) infliggeva alla stessa bambina sofferenze fisiche e morali picchiandola spesso e senza alcun motivo anche con un cucchiaio di legno a procurarle lividi su tutto il corpo;
b) la costringeva a stare per ore seduta o sdraiata sul piccolo divano dove dormiva con la coperta in testa (e proibendole di alzarsi) o con la testa tra le mani poggiata sul tavolo perché non voleva guardarla in faccia (motivazione che riferiva alla stessa bambina dicendole “bascia la capu”);
c) le mostrava continuamente tutto il disamore, l’odio ed il disprezzo che nutriva nei suoi confronti, privandola di ogni punto di riferimento affettivo (anche rivolgendole per esempio, in una circostanza successiva ad un episodio di vomito patito dalla bambina, l’espressione “mueri”);
d) non cucinava per lei, non la faceva sedere a tavola per il pranzo riservandole solo gli avanzi per la cena, le impediva di mangiare e di bere tanto l’acqua quanto il latte che non le somministrava adducendo una inesistente allergia alimentare al lattosio;
e) le impediva di alzarsi per andare in bagno fino al punto di farla urinare addosso;
f) non le faceva vedere la televisione e non la faceva uscire di casa e non la portava con sé nelle visite ai parenti e le riservava un trattamento discriminatorio rispetto a quello riservato alla sorella A.;
g) non si preoccupava dello stato di salute fisica e psicologica della bambina omettendo di prestarle ogni cura e di farla visitare dal medico di base.
Con queste condotte sopra descritte cagionava per colpa alla piccola V. lesioni personali gravi procurandole uno stato di denutrizione e malnutrizione che impediva un regolare sviluppo ed accrescimento nella statura e nel peso corporeo (notevolmente inferiori alla media) e nella capacità cognitive e di apprendimento, nonché un indebolimento permanente della funzione visiva consistente in una grave miopia pari a diverse diottrie per ogni occhio (conseguente al distacco traumatico della retina provocato da percosse).
Fatti commessi in Francavilla Fontana, fino al 24 novembre 2004 (prescrizione ordinaria 24/11/2012).
LE PARTI HANNO COSI’ CONCLUSO:
Il P.M. chiede l’esclusione delle generiche e la condanna ad anni 3 di reclusione, perdita della potestà.
Il difensore della P.C. si associa alla richiesta del P.M. e chiede la penale responsabilità dell’imputata.
Deposita conclusioni scritte e nota spese.
Il difensore dell’imputata chiede la concessione delle attenuanti generiche ed applicare il minimo della pena con beneficio di legge.
DIFENSORE:
Avv.to Gianfrancesco CASTRIGNANO’ difensore di fiducia del Foro di Brindisi.FATTO E DIRITTO
A seguito di richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal P.M. in sede nei confronti di D. P. per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravati di cui in rubrica, veniva fissata l’udienza preliminare del 18.10.2011, nella quale, preliminarmente, si costituiva l’ avv. Tiziana Petrachi, curatore speciale della p.o. C. V.
Per motivi processuali, l’udienza veniva aggiornata l’udienza a quella dell’8.11.2011, in cui l’imputata chiedeva la definizione del processo mediante giudizio abbreviato accettato dalla parte civile.
Quindi, questo Giudice, ritenuto che il processo fosse definibile allo stato degli atti, ammetteva il rito alternativo e fissava per la trattazione l’odierna udienza, in cui il P.M. ed il difensore formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni riportate in epigrafe (il difensore della p.c. depositava conclusioni scritte) ed, all’esito della discussione, veniva pronunziata sentenza mediante lettura del dispositivo.
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Deve premettersi che l’imputata, con la scelta del giudizio abbreviato, in cambio di un trattamento sanzionatorio più favorevole in caso di condanna ed accettando di esercitare il proprio diritto alla difesa nelle forme più limitate, previste per l’udienza preliminare, conferisce al giudice il potere di definire il processo allo stato degli atti, senza, quindi, l’osservanza delle prescrizioni imposte per il dibattimento; ne consegue che al suddetto giudizio non è riferibile il divieto di utilizzazione degli atti indicati nell’art. 514 c.p.p. (letture vietate).
Del resto, se così fosse, sarebbe privo di significato il riferimento “allo stato degli atti”, in quanto esso ha per oggetto proprio la documentata attività della P.G. e del P.M. (così, Cass. sez. VI, 29-11-1991, nd 12216, Palumbo).
La piena utilizzabilità di tali atti, che trova un limite soltanto nelle prove, ¬illegittimamente acquisite, (arg. ex art. 191 c.p.p.) impone, in ogni caso, al giudice di sottoporre le risultanze degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. ad un’attenta analisi e ad una valutazione critica in modo da stabilirne la esatta valenza probatoria (cfr. Cass. sez. V,1517/91, n. 7604, Pecora).
La inutilizzabilità cosiddetta “patologica”, rilevabile, a differenza di quella cosiddetta “fisiologica”, anche nell’ambito del giudizio abbreviato, costituisce un’ ipotesi estrema e residuale, ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell’ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell’imputato. (così, Cass. Sez. III, sent. n. 6757 del 24-01-2006, ud. del 24-01-2006, Gatti, rv. 233106).
Nel giudizio abbreviato, l’imputato non può far valere le nullità a regime intermedio attinenti agli atti propulsivi e introduttivi del rito, né sollevare l’eccezione d’incompetenza per territorio, pur se in precedenza già proposta e disattesa, perché egli ha accettato di essere giudicato con un rito in cui manca il segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzione delle questioni preliminari (così, Cass. Sez. VI, sent. n. 33519 del 04-05-2006 (ud. del 04-05-2006), (rv. 234392).
Nel giudizio abbreviato, poiché il negozio introduttivo attribuisce agli atti dell’indagine preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie, non è applicabile la regola di valutazione (fissata al comma 4 dell’art. 111 Cost. e per il dibattimento al comma 1- bis dell’art. 526 c.p.p.) per la quale la colpevolezza dell’imputato non può essere affermata in base a dichiarazioni rese da persona volontariamente sottrattasi all’interrogatorio da parte dello stesso imputato o del suo difensore (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni di natura testimoniale rese in fase di indagini preliminari da persona in seguito resasi irreperibile, e dunque non potuta interrogare nell’ambito dell’incidente probatorio promosso prima del rito abbreviato, specificando che tale regime è giustificato dal comma 5 dell’art. 111 Cost.: così Cass. Sez. III, sent. n. 7432 del 26-02-2002, ud. del 15-01-2002, Deda, rv 221489).
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Ciò posto, rileva il giudicante che, alla stregua degli atti acquisiti al fascicolo del P.M., l’imputata D. P. deve essere riconosciuta colpevole del delitto di maltrattamenti aggravati in danno della figlia minore C. V. a lei ascritto in rubrica.
Gli atti acquisiti al presente procedimento penale provengono da quelli relativi al processo a carico di C. M. (proc. pen. n. 419/06 R.G. e n. 5627/04 R.G.N.R.), marito dell’odierna imputata e padre della p.c., condannato con sentenza del Tribunale di Brindisi, in composizione collegiale, n. 9/09 dell’ 8 gennaio 2009 alla pena di anni nove di reclusione, divenuta irrevocabile il 4 maggio 2011, per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-septies, co. 4 n. 1 c.p., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ripetutamente compiuto atti sessuali sulla figlia V., minore infradecenne (cfr. sentenza acquisita all’odierna udienza dal Giudice).
Ed invero, risulta dai verbali dell’esame protetto delle minori C. V. e C. A. , entrambi del 23.06.2006, e delle testimonianze rese dalle Dott.sse Anna Mazzotta e Maria Grazia Felline e dall’assistente sociale V. C., che la minore C. V. subiva, oltre che atti di violenza sessuale da parte del padre, una serie di maltrattamenti da parte della madre, tanto che il P.M. d’udienza, chiedeva ed otteneva in data 30 maggio 2007, la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, affinché venisse instaurato il presente procedimento nei confronti della madre della bambina, odierna imputata.
È documentato in atti che l’odierna imputata D. P., senza alcun giustificabile motivo, riservava un trattamento diverso nei confronti delle sue due figlie:
A., la più grande, era sempre protetta, amata e curata, come dovrebbe essere naturale per ogni figlia; diversamente, V., che all’epoca dei fatti aveva appena sei anni, non veniva nutrita, veniva percossa continuamente senza motivo, veniva costretta a dormire su un piccolo divano della cucina, umiliata e rinchiusa in casa, le veniva inibito di vedere la televisione, di bere latte per una presunta allergia al lattosio, asserita dalla madre e smentita dalle indagini allergologiche alle quali è stata sottoposta la bambina, una volta sottratta al nucleo familiare.
Questo comportamento della madre, oltre che avere gravissime conseguenze sul piano fisico (la bambina era denutrita, sotto peso e notevolmente più piccola rispetto alla sua età), creava una instabilità emotiva in V., la quale finiva con l’essere privata di affetto e protezione da parte dei genitori.
La stessa V. più volte, durante l’ascolto protetto (cfr. verbale di esame protetto della minore in data 23.06.2006), a domanda dell’assistente sociale P.C. sul perché la madre la trattasse in quel modo, rispondeva testualmente: “perché io forse ero piccola e A. era più grande, quindi la mamma era più cattiva con me e con mia sorella era buona… a me, anche se non facevo la monella, mi tiravano sempre schiaffi” .
Dal drammatico racconto della bambina emergeva quanto segue:
• la bambina, una volta allontanata dalla sua famiglia, è stata trasferita presso il centro di accoglienza leccese “L’Aurora”, ai cui operatori non ha mai espresso il desiderio di far ritorno dalla madre.
V. raccontava, infatti: “la mamma certe volte mi tirava schiaffi, poi mi faceva con la cosa…· quella che giri … quando giri la pasta, sul sedere, mi spezzava i piedi … non proprio me li spezzava, mi faceva malissimo.
Poi certe volte non mi faceva mangiare. [ … ]
Certe volte mia sorella mi dava dei bicchieri d’acqua perché mi voleva bene, che la mamma non mi dava mai niente”.
• la minore era costretta a stare sempre a casa, da sola o con il padre, quando la madre, insieme all’altra figlia A., andava a trovare i parenti a Mesagne.
V. aggiungeva, inoltre: “certe volte la mamma mi faceva stare con la coperta sopra e non mi faceva alzare mai.
Poi la notte prendevo le cose … che io non ero proprio allergica al latte, prendevo le cose perché la mamma non mi faceva mangiare, quindi prendevo le fragole, le cose, latte; poi la mamma mi sgridava”.
Il racconto della p.c. ha trovato puntuale conferma anche nelle dichiarazioni rese dalla sorella A., sentita lo stesso giorno (cfr. verbale di esame protetto della minore, del 23.06.2006).
Quest’ultima ha dichiarato, infatti, che:
• la madre assumeva un comportamento aggressivo ed ingiustificato con la sorella V., la quale non faceva nulla per meritare le sue angherie in quanto “la mamma non gli voleva tanto bene [ … ]
La mamma la faceva stare sempre a letto”; la picchiava “con le mani, con bastone … come si chiama quello che si gira… quel coso di legno”, tirava calci con le scarpe, lasciando dei lividi in ogni parte del corpo della sorellina, incurante dei suoi pianti e lamenti;
• lei stessa aveva più volte provveduto a dare da mangiare e da bere, di nascosto, alla sorella in quanto la madre “certe volte non la faceva né bere né mangiare”, aggiungendo che “a pranzo quasi mai mangiava e la sera mangiava certe volte quelle cose che erano rimaste del pranzo”;
• i genitori avevano avuto dei litigi per questa situazione in quanto il padre avrebbe voluto far mangiare la piccola, ma la madre ripeteva sempre:
“No, non gli dare niente, non gli dare niente, la odio”;
• la sorella V. dormiva su un divano piccolissimo, ed era sempre nascosta con una coperta di lana, anche d’estate, perché la madre non la voleva vedere.
Inoltre, la madre vietava a V. anche di andare in bagno (“la mamma non voleva farla andare in bagno – no? – per la pipì, e poi se la fa addosso.
E loro due si arrabbiavano.
Perché dicevano: “non me l’hai detto?”.
E lei diceva: “Sì, io ve l’ho chiesto, solo che voi non me l’avete detto” e gli alzavano pure le mani”).
All’udienza del 30.05.2007, nell’ambito del procedimento penale a carico del C. M., furono sentite le psicologhe, Dott.ssa Anna Mazzotta e Maria Grazia Felline, che si occupavano della situazione psicologica all’interno del Centro, rispettivamente di V. ed A., nonché l’assistente sociale V. C.
Nel corso dell’ esame, la Dott.ssa Mazzotta (cfr. esame testimoniale del 30.05.2007, in atti depositato), ha riferito circostanze utili e comprovanti la situazione di grave disagio vissuto dalla p.c.
Nel dettaglio ha riferito che:
• la piccola V., al momento dell’ingresso al Centro (avvenuto il 24.11.2004) presentava fisicamente delle anomalie: “era un esserino così, magrissimo, curvo, con i dentoni sporgenti, con la vocina nasale”.
In seguito, è cresciuta subito in altezza e dal punto di vista cognitivo: ha iniziato a parlare bene l’italiano e non solo il dialetto e le parolacce; ha imparato a leggere, in quanto a 8 anni “leggeva solo, per esempio, le sillabe collegandole a delle figure, tipo “ca – casa” o altro”, ha recuperato tantissimo a scuola “infatti le ho somministrato un test livello di intelligenza da cui è risultato un QI 59 che è un ritardo medio”;
• la bambina, all’interno del Centro, ha fatto significativi progressi: “lei adesso ricorda perfettamente, studia tutto, ha imparato a leggere ed a scrivere perfettamente in modo corrente, le capacità mnemoniche sono perfette, ha una grande curiosità, anche proprietà di linguaggio [ … ]
Poi anche andando in piscina ormai per quasi tre anni si è raddrizzata la schiena, abbiamo messo l’apparecchio ai denti ed è stata operata alle adenoidi e quindi la voce è meno nasale, ha messo gli occhiali perché le mancavano sei diottrie per occhio” (cfr., in tal senso, le due relazioni sull’inserimento delle minori, del 21.12.2004 e del 26.09.2005, che testimoniano lo sviluppo fisico e cognitivo di V.);
• V. ha, sin da subito, instaurato con lei un rapporto di confidenza, riferendole la grave situazione di maltrattamento che subiva, nonostante la sorella A. l’avesse indotta, più volte, a dire che a casa andasse tutto bene, pur di non rimanere nel Centro.
Oltre a raccontare tutte le violenze subite, la bambina non riusciva a spiegarsi il comportamento della madre, ripetendo più volte alla psicologa, oltre che a se stessa: “Io non capisco perché la mamma mi trattava in quel modo, mi odiava tanto, mentre io le volevo bene”, arrabbiandosi con la madre perché le aveva negato tutte le attenzioni e l’affetto che spettavano ad una bambina.
In un’occasione, in particolare la sera del 13.12.2004, V. avrebbe riferito all’assistente di turno che “la mamma mi diceva sempre “Bascia la capu” e mi dava ogni volta le botte.
Poi un giorno ho vomitato e mi ha detto “Mueri”;
• la insufficiente alimentazione connessa anche alla pretesa intolleranza al latte – non riscontrata a seguito di day-hospital al quale è stata sottoposta la minore al suo ingresso nel Centro – e la carenza affettiva da parte dei genitori hanno creato un notevole ritardo nella crescita di V., tant’ è che “nel giro di pochissimi mesi è cresciuta in un modo incredibile”;
• la situazione familiare creava un disagio profondo nella bambina; infatti, “V. non ha mai avuto un punto di riferimento affettivo che le rimandasse un’immagine positiva di sé (infatti, lei ha un’autostima che arriva sotto i piedi, lei pensa di essere ancora molto brutta, cattiva, nessuno le vorrà mai bene, eccetera)”.
La Dott.ssa Felline, che seguiva il percorso psicologico di A., ha aggiunto particolari importanti alle dichiarazioni rese un anno prima dalla bambina (cfr. esame testimoniale del 30.05.2007, in atti depositato).
Inizialmente, A. non voleva rimanere al Centro, in quanto a casa lei stava bene.
Pian piano, fidandosi delle persone che le erano accanto, ha iniziato a raccontare dei maltrattamenti subiti solo dalla sorella.
La minore, in una situazione di estrema agitazione, non riusciva a spiegarsi le “botte forti” riservate a V. e non anche a lei.
Fondamentale per capire la situazione disastrosa in cui si trovava V., una volta allontanata dalla famiglia, è la testimonianza resa dalla assistente sociale V.C. (cfr. esame testimoniale del 30.05.2007, in atti depositato).
La stessa, in quella occasione, ha riferito che:
• all’ingresso nel centro, la differenza, sia a livello comportamentale che fisico, tra le due sorelle era evidente.
A. si presentava come una bambina in buono stato di salute, mentre V. “presentava un deficit dell’accrescimento, era una bambina che all’epoca doveva compiere otto anni e ne dimostrava quattro, il suo peso corporeo era di circa 15 chili e 200 al momento del suo arrivo da noi”, ed era alta più o meno un metro e 2 centimetri;
• V. è stata sottoposta a visita pediatrica presso l’Ospedale civico “V. Fazzi” di Lecce (dal 6 al 9 dicembre 2004), per capire le ragioni di un così notevole ritardo della crescita.
All’esito degli accertamenti, non sono emerse particolari anomalie, tanto che i medici, non avendo riscontrato cause organiche, sono giunti a ipotizzare che una delle cause del ritardo dello sviluppo della bambina potesse essere il maltrattamento;
• la minore è stata sottoposta anche a visita oculistica da un medico specialista, che “ha riscontrato una fortissima miopia sia all’occhio sinistro che all’occhio destro.
All’occhio sinistro pari – mi sembra – a meno 6 virgola qualcosa diottrie ed all’occhio destro meno 4 e qualcosa.
L’oculista ha precisato che probabilmente questa forte miopia era dovuta ad un distacco della retina, che però non si è riuscito a capire come e quando sia avvenuto.
L’oculista ha detto che poteva essere anche la conseguenza di una botta presa da qualcuno, di uno schiaffo”; inoltre, è stata visitata da un otorino e sottoposta, successivamente, ad asportazione delle adenoidi che le ha permesso di avere una voce un po’ meno nasale;
• V. era notevolmente cresciuta dal momento del suo arrivo presso il Centro “L’Aurora” alla data del 30.05.2007, essendo alta in quel momento 1 metro e 24 centimetri, anche se la stessa non sarebbe più potuta crescere di molto.
All’odierna udienza, l’imputata D. rendeva le seguenti spontanee dichiarazioni:
“Sono profondamente pentita dei maltrattamenti che ho inflitto a mia figlia C. V. fino a quando la bambina è stata con me, vale a dire fino al 2004.
Ammetto di averla picchiata più volte a mani nude ed, in una circostanza, anche con un cucchiaio di legno.
Ammetto di averla tenuta per lungo tempo seduta o sdraiata sul divano di casa e di averle rivolto più volte l’espressione <BASCIA LA CAPU>.
Tanto le dicevo per farle distogliere l’attenzione dai frequenti litigi fra me e mio marito C. M. che mi rendevano così nervosa ed erano all’origine della mia condotta.
Infatti, io stessa venivo maltrattata da mio marito.
Ammetto di aver rivolto a V. l’espressione < MUERI> in un momento di nervosismo.
Mi ero resa conto che V. era denutrita e non cresceva sufficientemente anche perché non le somministravo latte o derivato in quanto ero convinto che la bambina avesse un ‘intolleranza a tali alimenti.
Ho sottoposto la bambina a visite mediche che hanno confermato il mio convincimento anche se non sono in grado di produrre documentazione.
Nego, invece, di non avere cucinato per lei o di avere impedito alla bambina di muoversi sino al punto di farla urinare addosso.
Mi ero resa conto della grave miopia di V., tanto che la portai da un oculista a Monza ove venne accertato il distacco traumatico della retina.
La bambina aveva due anni ed io la portai al Policlinico di Bari ove fu sottoposta ad un intervento chirurgico con esito positivo anche se residuò un notevole deficit visivo.
Nego di aver cagionato il distacco di retina con percosse e dichiaro che lo stesso si verificò durante la vita endouterina allorché venni colpita con calci da mio marito.
Il medico di Bari che confermò il distacco di retina diagnosticato dall’oculista di Monza mi chiese se la bambina era stata picchiata o aveva avuto urti o cadute.
Avendo io escluso queste ultime eventualità, il medico convenne sulla mia ipotesi che le lesioni potessero essersi verificate durante la gravidanza in occasione maltrattamenti subiti da mio marito.
Mi rendo conto di aver sbagliato e vorrei chiedere scusa a mia figlia V. per tutto il male che le ho fatto.”
A seguito di tanto, il difensore dell’imputata, depositava in atti una relazione C. (cfr. relazione Prot. n. 32058 del 29.12.2011) dell’assistente sociale Dott.ssa S. P., operante presso l’Ufficio Politiche e Solidarietà Sociali della città di Mesagne, in cui si evincerebbe un principio di autocritica da parte della D., nonché un atteggiamento di disponibilità a collaborare con i servizi sociali predetti (Dall’osservazione effettuata da questo servizio sociale, si può affermare che la sig.ra D. è sempre stata disponibile a collaborare con i Servizi, è ben predisposta nella cura delle figlie [ … ] lavora saltuariamente come collaboratrice domestica e/o assistenza agli anziani “).
Orbene, a fronte delle delineate emergenze processuali, univocamente convergenti in chiave accusatoria, è evidente come la piccola C.V., vivesse in un clima di sopraffazione e violenza, a causa del comportamento ingiustificato della madre che neppure si preoccupava di nutrirla a sufficienza.
Ciò posto, sulla scorta del contenuto delle dichiarazioni in atti non è revocabile in dubbio che la piccola C. V. fu sottoposta dall’imputata, fino al 24 novembre 2004, a comportamenti che, per la natura e le modalità di sistematica reiterazione, integrano senz’ altro la fattispecie di cui all’art. 572 C.p., atteso che il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste, come è noto, in una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze.
E ad integrare l’abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in un tempo prolungato, come, nella specie, è peraltro provato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati ed “unificati”, anche se per un limitato periodo di tempo (v. Cass. Sez. V, sent. n. 2130 del 28-02-1992, ud. del 09-01-1992, Giay, rv 189558).
Quanto all’ elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia, premesso che non è necessario un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto, l’elemento unificatore dei singoli episodi di violenza fisica e morale addebitati all’imputata è costituito, nella specie, da un evidentissimo dolo unitario e pressoché programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni; esso consiste nell’inclinazione della volontà della D. ad una condotta gratuitamente violenta, oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione di una serie di maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che l’imputata accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte (cfr. in tal senso, Cass. Sez. VI, sent. n. 468 del 20-01-1992, ud. del 06- 11-1991, Faranda, rv 188931).
D’altra parte, per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p .. non si richiede un’intenzione di sottoporre la vittima in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria e prevaricatoria, già posta in essere altre volte, la quale riveli, attraverso l’accettazione dei singoli episodi, un’inclinazione della volontà a maltrattare una o più persone conviventi. (così, Cass. Sez. VI, sent. n. 6319 del 30-05-1994, ud. del 22-02-1994, Pirozzi, rv 198886).
Sotto altro profilo, il delitto di maltrattamenti in famiglia, quale reato abituale, non resta escluso se nel tempo considerato vi siano parentesi di normalità nella condotta dell’ agente e di accordo con i familiari: un intervallo di tempo tra una serie e l’altra di episodi lesivi dell’integrità fisica o morale del soggetto passivo non fa venir meno l’esistenza del reato, ma può dar luogo, come per ogni reato permanente, alla continuazione (Cass. Sez. I, sent. n. 6083 del 28-06-1984, ud. del 23-02-1984, Mirino, rv 165051, conformi: Sez. VI, sent. n. 5029 del 10-04-1989, ud. del 25-01-1989, Bucci, rv 180988 e Sez. VI, sent. n. 3103 del 03-03-1990, ud. del 13-10-1989, Lavera, rv 183553).
Del resto, l’imputata ha ammesso la maggior parte dei maltrattamenti oggetto d’addebito, comprese le frequenti percosse, le umiliazioni che rivelavano tutto il disamore, l’odio ed il disprezzo, le lesioni personali gravi derivanti dallo stato di denutrizione e malnutrizione che impediva alla piccola V. un regolare sviluppo ed accrescimento nella statura e nel peso corporeo (notevolmente inferiori alla media) e nella capacità cognitive e di apprendimento, eccettuato soltanto il distacco traumatico delle retine provocato da percosse che determinò una grave miopia (con perdita di 6 diottrie alla occhio sinistro di 4 diottrie all’occhio destro) con conseguente permanente indebolimento della funzione visiva della piccola V.
Anche tale distacco retinico di natura traumatica accertato dai sanitari che ebbero in cura la bambina deve ritenersi dimostrato sulla base delle prove innanzi esaminate con conseguente sussistenza della contestata aggravante di cui all’art. 572 cpv. c.p., peraltro integrata autonomamente dal documentato stato di denutrizione comportante una malattia avente durata ben superiore a 40 giorni.
Essendo pacifico che la piccola V. C. riportò il distacco traumatico delle retine all’origine del permanente indebolimento della vista (circostanza ammessa anche dall’imputata), esso è da ritenersi etiologicamente riconducile alla condotta violenta dell’imputata che ha ammesso di aver, più volte, picchiato la bambina sia a mani nude che con cucchiaio di legno anche tenuto conto che l’imputata non ha addotto alcun episodio di natura accidentale, tentando di scaricare la responsabilità sul marito C. M.
Tale chiamata in reità, oltre che ad essere oltremodo tardiva e sospetta, non è in alcun modo accreditabile, atteso che, secondo la logica comune, lesioni di simile gravità, che possono essere la conseguenza soltanto di percosse violente e dirette, non sono certo cagionabili durante la vita endouterina, allorché il feto è protetto dal ventre materno.
L’imputata non è meritevole di attenuanti generiche, tenuto conto delle seguenti circostanze:
1. la obiettiva odiosità dei maltrattamenti in danno della figlia in tenera età;
2. la eccezionale gravità dei destabilizzanti danni cagionati alla figlioletta, già sottoposta ad abusi sessuali da parte del padre in ambito domestico;
3. l’assenza di tempestivi segni di resipiscenza;
4. l’assenza, nelle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputata, di obiettive circostanze che, in qualche modo, ne giustifichino la devianza.
Infine, neppure la confessione resa da D. P. è meritevole della concessione di attenuanti generiche perché, come già illustrato, la stessa appare troppo tardiva, parziale, incompleta ed utilitarista.
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Pertanto, in applicazione di tutti i criteri valutativi di cui all’art. 133 c.p., riconosciuta all’imputata la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., prevista per la scelta del rito abbreviato, si stima equo, al fine di perseguire le finalità di rieducazione e di prevenzione speciale della pena, irrogare a D. P. la pena di anni quattro di reclusione (pena-base anni sei di reclusione, ridotta di 1/3 ex art. 442 c.p.p.).
Alla condanna consegue, per legge, l’obbligo del pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato.
A mente degli artt. 538-541 c.p.p., l’imputata va altresì condannata al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile C. V., costituita a mezzo del procuratore speciale avv. Tiziana Petrachi, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile che si liquidano così come determinato in dispositivo.
Entro i limiti dei soli danni non patrimoniali patiti dalla parte civile C. V. per i quali si ritiene già raggiunta la prova, è stata assegnata alla stessa parte civile richiedente una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura indicata in dispositivo.
A norma degli artt. 28 e segg. c.p., l’imputata deve essere condannata alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
P.Q.M.
Il Giudice, visti gli articoli 438, 442 e 533 c.p.p.,
dichiara D. P. colpevole del delitto a lei ascritto in rubrica e, riconosciuta la diminuente di un terzo prevista dall’ art. 442 c.p.p., la condanna alla pena di anni quattro di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato.
Applicati gli art. 538 e segg. c.p.p., condanna, altresì, la D. al risarcimento dei danni in favore della parte civile C.V., costituita a mezzo del procuratore speciale Avv. Tiziana Petrachi, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile che si liquidano nella complessiva somma di € 2.250,00, di cui € 2.000,00 per onorario, oltre a € 250,00 per rimborso spese generali, oltre ad I.V.A. e C.A. come per legge.
Visti gli artt. 539 e 540 cpv. c.p.p.,
assegna alla parte civile C.V. la somma di euro centomila a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.
Letti gli artt. 28 ss. c.p.,
dichiara D. P. interdetta dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Così deciso in Brindisi, il 10 gennaio 2012
gli art. 538 e segg. c.p.p., condanna, altresì, la D. al risarcimento dei danni in favore della parte civile C.V., costituita a mezzo del procuratore speciale Avv. Tiziana Petrachi, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile che si liquidano nella complessiva somma di € 2.250,00, di cui € 2.000,00 per onorario, oltre a € 250,00 per rimborso spese generali, oltre ad I.V.A. e C.A. come per legge.
Visti gli artt. 539 e 540 cpv. c.p.p.,
assegna alla parte civile C.V. la somma di euro centomila a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.
Letti gli artt. 28 ss. c.p.,
dichiara D. P. interdetta dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Così deciso in Brindisi, il 10 gennaio 2012