Proposta Bonafede N.1403
XVII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1403 |
CAMERA DEI DEPUTATI N. 1403
Onorevoli Colleghi! Il crescente malessere legato alle problematiche familiari rende sempre più urgente un nuovo intervento sulla disciplina della separazione coniugale e dell’affidamento dei figli. In questo senso la società civile sta sollecitando da tempo il Parlamento, allo scopo di correggere le modalità di applicazione della pur recente legge 8 febbraio 2006, n. 54, e non a caso nella precedente legislatura era stato iniziato un percorso di riforma affidato alla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, portato avanti fino a un livello altamente evoluto di analisi attraverso numerosissime audizioni di esperti, rappresentativi di tutte le principali categorie interessate, l’individuazione di un testo base da parte della relatrice, la presentazione di emendamenti ad esso e il voto sui medesimi.
Tale impegnativa attività merita, dunque, di essere completata ed è ciò che intende fare la presente proposta di legge. Essa si fonda, come in precedenza, sull’osservazione della giurisprudenza che ha seguito la riforma del 2006, documentata da uno studio dell’associazione nazionale «Crescere insieme» che, dopo avere pensato ed elaborato il progetto base dell’affidamento condiviso, ne ha monitorato le disfunzioni applicative ed individuato i correttivi (M. Maglietta, «L’affidamento condiviso. Come è, come sarà», F. Angeli, 2010, «Affido condiviso: una revisione necessaria per abbattere le resistenze», Editoriale in Guida al diritto – famiglia e minori (10) 2010, pagine 7-9). Il presente testo, dunque, pur accogliendo istanze già segnalate al Parlamento da altri progetti di legge nelle precedenti legislature, tiene conto dei più recenti orientamenti della dottrina e in particolare dei risultati dell’indagine conoscitiva disposta dalla citata Commissione Giustizia nel 2011, dedicando particolare attenzione alle richieste ivi presentate dall’associazione per la promozione sociale «Figli x i figli» (audizione del 26 luglio 2011), composta da figli di genitori separati ormai adulti, che si muovono per preservare da inutili aggiuntive sofferenze i bambini che oggi vivono la medesima esperienza, portando la propria testimonianza. Del tutto analoghi, del resto, sono stati in tale occasione i contributi dell’associazione di donne separate «LaDDeS Family FVG» e della Federcasalinghe, mentre l’analisi tecnico-scientifica della presente proposta di legge è stata condivisa e confermata dall’intervento del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi.
Entrando nel merito, è noto che, a dispetto del costante avanzare nel mondo occidentale del principio della bigenitorialità, in Italia solo molto faticosamente, con un lavoro di quattro legislature, si è riusciti a far passare come forma privilegiata l’affidamento condiviso. Allo stesso modo la sua concreta applicazione continua a incontrare sensibili ostacoli essenzialmente a causa di resistenze culturali degli operatori del diritto, peraltro favorite per alcuni aspetti dalla formulazione attuale del testo, che nell’iter precedente ha sofferto di gravi manipolazioni, che lo hanno qua e là privato dell’esplicita e inequivocabile prescrittività.
Una prescrittività resa necessaria dalla vera rivoluzione della scala delle priorità, che l’affidamento condiviso ha ribaltato, rispetto ai criteri adottati per decenni nei tribunali italiani, nei quali l’affidamento a un solo genitore era considerato come la forma da privilegiare, perché più adatta a limitare i danni che i figli subiscono dalla separazione dei genitori: adatta, in particolare, al contenimento della conflittualità, una delle principali condizioni per realizzare davvero l’«interesse del minore». Un concetto che i fautori dell’affidamento condiviso hanno recisamente contestato, ritenendo, al contrario, che fosse proprio l’affidamento esclusivo a non poter essere stabilito quando il conflitto è acceso, sia per la grave discriminazione che introduce tra le parti, ciascuna delle quali già tende a prevalere sull’altra, sia per la natura stessa dei suoi contenuti, prevedendo che le decisioni del quotidiano siano assunte dal genitore affidatario anche quando i figli si trovano presso l’altro: nulla di più provocatorio e intrinsecamente adatto a creare rancori, anche dove non ve ne fossero. Tuttavia tale radicato pregiudizio ha comportato a suo tempo l’ostracismo della giurisprudenza nei confronti delle forme bigenitoriali di affidamento (congiunto, alternato), per cui il legislatore del 2006 ha intelligentemente provveduto a spazzare via il preconcetto secondo il quale se non c’è collaborazione è necessario ricorrere all’affidamento esclusivo, introducendo la possibilità di un esercizio separato della potestà per le decisioni ordinarie, che elimina ogni preoccupazione proprio per i casi di elevata conflittualità.
Tuttavia il lungo periodo trascorso dalla sua introduzione ha dimostrato una sordità alla riforma largamente prevalente da parte degli addetti ai lavori, quanto meno per ciò riguarda gli aspetti sostanziali dei provvedimenti, non potendosi certamente l’utenza accontentare di un cambiamento puramente nominalistico, quand’anche disposto.
Infatti dal momento in cui è entrata in vigore la nuova normativa si è assistito al proliferare di sentenze in cui, soprattutto inizialmente, l’affidamento condiviso veniva illegittimamente negato per motivi non direttamente attribuibili al soggetto da escludere, ma esterni – a dispetto di quanto stabilito dall’articolo 155-bis, primo comma, del codice civile – come la reciproca conflittualità, l’età dei figli e la distanza tra le abitazioni.
E non meglio sono andate le cose sul piano dei contenuti, dovendosi assistere allo smantellamento in sede applicativa dei pilastri portanti della riforma, benchédiritti della personalità attribuiti ai figli e pertanto indisponibili. A partire da quell’equilibrio nella presenza dei genitori («rapporto equilibrato e continuativo») e dalla necessaria partecipazione di entrambi non solo agli obblighi economici, ma all’uso concreto e diretto di tali risorse a vantaggio dei figli, espresso dall’esplicito riconoscimento del loro diritto «a ricevere cura, educazione e istruzione» da entrambi i genitori.
È stata infatti introdotta la figura del «genitore collocatario», di origine esclusivamente giurisprudenziale, che trascorre con i figli un tempo largamente prevalente, resta comunque e sempre nella casa familiare a prescindere dal titolo di proprietà e gestisce i figli praticamente a sua discrezione. In sostanza sono stati riprodotti nella prassi la figura e il ruolo del «genitore affidatario», lasciando all’altro il vecchio, insufficiente, «diritto di visita». E che le cose stiano così sul piano della concretezza lo si vede ancora meglio considerando la soluzione pressoché universalmente adottata per quanto riguarda gli aspetti economici, che negano quella che doveva semplicemente costituire l’estrinsecazione del fondamentale diritto dei figli alla «cura». In altre parole i genitori, entrambi affidatari, avrebbero dovuto essere entrambi impegnati a fornire personalmente al figlio i beni e i servizi che gli abbisognano, nell’ambito di una normale quotidianità, non delle situazioni eccezionali. Viceversa non si assegnano mai compiti di cura al «genitore non collocatario», ma gli si chiede di dare del denaro all’altro perché gestisca ogni necessità. In questo modo, oltre tutto, sono stati ignorati gli aspetti più importanti della forma diretta del mantenimento, quelli relazionali: come l’occasione per far godere al figlio la gratificante sensazione che entrambi i genitori hanno su di lui uno sguardo attento e premuroso; che nessuno di essi è esonerato dal raccogliere le sue esigenze della vita quotidiana; che non è obbligato a rinunciare al proprio tempo libero del fine settimana, che preferisce ovviamente trascorrere con i coetanei, perché altrimenti perde del tutto di vista uno dei genitori. Insomma il senso del messaggio del legislatore era con tutta evidenza quello di una permanenza del figlio in una condizione il più possibile vicina alla normalità del vissuto precedente. Ma ciò non è stato assolutamente inteso e si è preferito sacrificare i suoi diritti (e ovviamente il suo interesse) privilegiando quello degli adulti (rectius, dei cattivi genitori), i quali sono ben felici di chiudere ogni loro rapporto, guadagnando i padri assenti una pressoché totale indipendenza dalla vita precedente e le madri egocentriche la possibilità di gestire i figli e il relativo contributo economico in totale autonomia. Anche perché comunque, quando al genitore non collocatario viene chiesto di trasferire del denaro – che sa di avere prodotto con la propria fatica e che è destinato alle esigenze dei figli – all’ex partner, magari con altri convivente, senza delega e senza rendiconto, non stupisce che la sua classica reazione sia quella di cercare di sottrarsi al pagamento, con il risultato di un’altissima percentuale di inadempienze e una crescita esponenziale della conflittualità, a danno essenzialmente della prole.
Tutto ciò, dunque, attesta che dei princìpi della riforma del 2006 non si è salvato praticamente nulla.
Né c’e da sperare che le citate «devianze» restino confinate al periodo iniziale di applicazione della legge, che sia una questione di tempo o che si possa sperare in un cambiamento culturale e quindi basti attendere. Purtroppo neppure questo si sta verificando. Ad esempio, per quanto attiene alla conflittualità una sentenza della Corte di cassazione del 2008, la n. 16593, aveva chiarito che non può essere utilizzata per negare l’affidamento condiviso. Ma successivamente, nella sentenza della Suprema Corte n. 11062 del 19 maggio 2011 (I sezione civile), si sostiene che la decisione censurata (ovvero avere negato l’affidamento condiviso) «si fonda (…) sulla verifica di una estrema e tesa conflittualità preclusiva della tendenzialità collaborativa tra le figure genitoriali necessaria ad assicurare le basi minimali di una cogestione responsabile delle scelte inerenti la vita quotidiana dei figli». E non diversamente si argomenta nella sentenza n. 18867 del 15 settembre 2011, sempre della I sezione civile («avuto riguardo al suo superiore e prevalente interesse nonché all’incapacità dei genitori di evitare conflitti tra di loro in funzione di tale interesse, fosse allo stato impensabile dispone l’affidamento condiviso»).
La stessa cosa si è verificata per la forma diretta del mantenimento. Se la sentenza n. 23411 del 2009 ne riconosce la priorità («l’assegno per il figlio» può essere disposto «in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore»), si capovolge il giudizio secondo la sentenza n. 22502 del 2010, ove si sostiene che la differenza nei tempi della frequentazione è sufficiente a determinare la necessità di un assegno. Viceversa, è ovvio che non è la differenza dei tempi della frequentazione a determinare l’esigenza di un assegno, ma al più di essa si tiene conto nel caso in cui per altri motivi l’assegno si sia reso indispensabile. La ragione è evidente: il genitore che passa più tempo con il figlio potrebbe essere il più abbiente, a tacere della possibilità di compensazione mediante l’assegnazione di opportuni capitoli di spesa. Ancora più bizzarro il ragionamento sviluppato dalla sentenza n. 785 del 2012, la quale dopo avere sostenuto erroneamente per l’affidamento condiviso che è «non solo affidamento ad entrambi, ma fondato sul pieno consenso di gestione, sulla condivisione, appunto» (se fosse vero non sarebbe stato previsto l’esercizio separato della potestà) nel caso specifico ad elevata conflittualità e collaborazione zero, anziché concludere, caso mai, che non avrebbe dovuto disporsi l’affidamento condiviso, non lo contesta, ma ne rifiuta uno dei suoi più caratterizzanti aspetti, il mantenimento per capitoli di spesa, proprio la forma che non prevede interazioni tra i genitori.
D’altra parte, che questa forma infedele di applicazione sia di gran lunga quella prevalente è dimostrato dagli stessi prestampati che in numerosi tribunali sono a disposizione delle coppie che affrontano consensualmente la separazione, alcuni dei quali sono riportati a titolo di esempio da seguire sullo stesso sito internet del Ministero della giustizia. Tipicamente prospettano la necessità di indicare «la dimora abituale» dei figli e la cifra dell’«assegno di mantenimento», suggeriscono il calendario dei giorni in cui il genitore non collocatario (spesso si scrive direttamente «il padre») «potrà avere con sé» i figli, «se vuole», «previo accordo» con l’altro genitore (e se non è d’accordo?) non di rado prevedendo fine settimana breve (dal sabato all’uscita della scuola alle ore 20 della domenica) e un pomeriggio infrasettimanale. Recentemente, in seguito a segnalazioni e a proteste, questi imbarazzanti prestampati tendono a scomparire dalle cancellerie, ma non da sentenze e decreti: insomma sparisce la prova, ma non si modifica il comportamento.
Resta da capire il perché di questa ostinata presa di posizione, spinta al punto di consumare vere e proprie violazioni di legge. Ebbene, la ragione di questo favorgiurisprudenziale per il modello esclusivo sembra risiedere essenzialmente in una non corretta comprensione della ratio della riforma, che riposa in una personale lettura del concetto di «interesse del minore». In pratica, si tende a contrapporre e a sostituire al concetto di bigenitorialità, privilegiato dal legislatore quale elemento fondante di tale interesse e garante della «stabilità affettiva», il concetto di «stabilità fisica», che attribuisce la medesima funzione all’unicità della collocazione abitativa, e così facendo si giustificano gli esigui tempi di contatto stabiliti per il genitore «esterno». Rammentiamo cosa scriveva la più antica associazione italiana di avvocati familiaristi prima della riforma del 2006: «L’affidamento esclusivo, regola preferenziale dell’attuale legislazione, offre al minore la stabilità di vita e di riferimenti necessari ad evitare lo smarrimento: il minore deve cioè sapere non solo quale è il genitore cui deve quotidianamente fare riferimento, ma anche che quel genitore ha l’autorità di assumere decisioni per lui, pena una pericolosissima deriva di deresponsabilizzazione». E oggi nulla è cambiato, l’idea è sempre la stessa, anche se realizzata contra legem, anziché nella sua osservanza. Una tesi, però, ampiamente e convincentemente contestata in dottrina. Si veda, ad esempio, la posizione di P. Casula, presidente del tribunale di Rimini (relazione presentata ad Ancona il 4 dicembre 2006 durante il corso di perfezionamento in diritto di famiglia): «In sostanza l’interesse del minore rileva unicamente nell’ambito della regola di bigenitorialità e quindi non esiste un interesse del minore tout court puro e semplice: l’interesse del minore è la bigenitorialità, questo dice il nostro legislatore, questo è l’interesse del minore, nell’ambito di questo codificato e giuridicamente cogente principio legislativo di definizione dell’interesse del minore». E stessi concetti esprimono Ceniccola e Sarracino (in «L’affidamento condiviso», Halley editrice, 2007, pagina 49).
Può giovare, inoltre, osservare come l’Italia va a porsi nel panorama internazionale. L’attuale applicazione dei princìpi della bigenitorialità così parziale e disomogenea pone l’Italia in serio imbarazzo di fronte alla tendenza che si manifesta con sempre maggiore evidenza negli altri Paesi del mondo occidentale, nei quali questi vengono affermati con crescente vigore e incisività. Tralasciando, ex multis, i noti esempi dei Paesi scandinavi, si pensi al caso della Repubblica Ceca, dove la soluzione a settimane alternate è la regola. O quello del Belgio dove, analogamente, è stato introdotto e privilegiato l’affidamento paritetico con la legge 18 luglio 2006, basata sulla doppia residenza, ispirata agli stessi concetti della legge francese n. 2002-305 del 4 marzo 2002, sulla résidence partagée (residenza alternata), ma più avanzata di questa, poiché prevede, in più, che i tempi di permanenza presso i due genitori siano circa uguali. Un’analoga riflessione può essere svolta a favore della mediazione familiare, uno strumento di supporto alla coppia che ovunque nel mondo sta guadagnando consensi, ma che il Parlamento italiano ha virtualmente eliminato dal progetto iniziale nella definitiva stesura, riducendolo a una blanda possibilità di segnalazione, ad ostilità già iniziate. Si pensi, viceversa, ai brillantissimi risultati ottenuti in Argentina rendendo obbligatorio un passaggio preliminare informativo presso un centro di mediazione familiare, modalità che ha fornito un picco di composizioni amichevoli delle liti altrimenti impensabile. In parallelo, d’altra parte, anche l’Unione europea si è mossa in favore della risoluzione alternativa delle controversie con la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che intende facilitare l’accesso ad essa e promuoverla mediante il ricorso alla mediazione, che viene incoraggiato, garantendo anche un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.
Tutto ciò premesso, le numerose audizioni in materia della XVI legislatura hanno visto confermare l’antica contrapposizione: da una parte la società civile, la famiglia separata al completo di ogni sua componente a sostenere i progetti di riforma; dall’altra gli operatori del diritto – per la verità con alcune importanti voci di segno contrario – schierati a difendere la formulazione vigente, anche se tenacemente avversata per dodici anni, ma che ha dato prova in sede di applicazione di essere aggirabile. Riprendendo, dunque, il percorso della precedente legislatura, appare opportuno, se non doveroso, che la presente proposta di legge tenga conto del lavoro già eseguito in precedenza dal Parlamento e soprattutto degli argomenti utilizzati dagli avversari del vero affidamento condiviso, che hanno espresso critiche non coerenti con le proposte di modifica, critiche che sicuramente verranno riproposte. È stata censurata, ad esempio, la doppia residenza dei figli, che determinerebbe l’impossibilità di individuare medici e scuole di riferimento, nonché caos anagrafico (ma è previsto il doppio domicilio); deprecata la «divisione del tempo dei figli minori in misura uguale presso ciascun genitore, senza alcuna distinzione dell’età dei figli stessi e senza alcuna considerazione delle loro esigenze di vita» (ma la pariteticità è prevista nelle responsabilità e nei doveri di cura, non nel 50 per cento dei tempi); giudicato improponibile il mantenimento diretto perché con esso verrebbe «imposta per legge una formale e presunta parità economica dei genitori senza alcun riferimento alla diversità delle loro condizioni reddituali e patrimoniali in concreto, avvantaggiando in tal modo ingiustificatamente il genitore economicamente più forte» (ma di questo non c’è traccia nelle proposte, che mantengono la proporzione tra oneri e risorse individuali); affermato che il passaggio preliminare informativo sulle potenzialità della mediazione familiare comporta la penalizzazione da parte del giudice del genitore che non abbia voluto effettuare il percorso (ma non è prevista alcuna relazione da parte del centro, per cui il giudice non ha alcuna nozione di chi eventualmente non abbia aderito); fino a lamentare reiteratamente «l’eliminazione della possibilità di disporre indagini per individuare la capacità reddituale dei genitori» (una soppressione assolutamente non prevista). Ciò che invece è emerso chiaramente dalle voci contrarie è stata l’ostilità al modello stesso dell’affidamento bigenitoriale – scelto dal legislatore nel 2006 e già approvato dal Parlamento – in nome dell’interesse del minore. Ne fornisce una chiara prova la difesa a oltranza della distinzione dei genitori in «collocatario» e «non collocatario» che la norma non prevede, ma di cui è stata deprecata «l’abolizione». In pratica, una gestione bilanciata e compartecipata e una frequentazione equilibrata, ovvero i diritti riconosciuti al minore dal primo comma dell’articolo 155 del codice civile, è stata respinta definendola «affidamento alternato», che sarebbe stato bocciato «dagli psicologi». Tuttavia nessuno studio longitudinale, scientificamente attendibile, che attesti questi presunti danni è stato citato.
Sull’altro fronte, anzitutto le reali aspirazioni dei figli di genitori separati (ovvero il loro «interesse») sono state espresse dall’associazione che li rappresenta («Figli x i figli»), che le ha così riassunte: «Condividiamo tutti i contenuti sostanziali dei disegni di legge in esame e tra questi, in particolare, consideriamo del tutto irrinunciabile che:
a) si permetta ai figli di avere davvero un rapporto «equilibrato e continuativo» con entrambi i genitori, cancellando la stravagante figura (in un sistema che si vuol definire bigenitoriale) del genitore collocatario e ammettendo, di conseguenza, una frequentazione mediamente bilanciata, con pari opportunità per noi figli di rapportarci con l’uno e l’altro genitore, e il doppio riferimento abitativo attraverso la doppia domiciliazione;
b) si attribuiscano compiti di cura a entrambi i genitori, disponendo che entrambi debbano preoccuparsi delle necessità dei figli, ciascuno per la propria parte, e provvedere personalmente ad esse attraverso il mantenimento diretto;
c) si promuova efficacemente la mediazione familiare, per aiutare i genitori a costruire accordi, disponendo l’obbligo di una preventiva informazione su di essa prima di adire le vie legali, quando gli animi sono meno esacerbati ed è massima la probabilità di successo.
Questi sono gli aspetti sui quali nelle aspirazioni dei figli di genitori separati non si possono fare sconti».
Né i figli sono restati soli in questo tipo di richieste. La citata associazione «LaDDeS Family FVG» (Donne Divorziate E Separate) ha dichiarato in un’audizione al Senato della Repubblica: «(…) possiamo elencare con assoluta convinzione ciò che massimamente sarebbe utile alla famiglia separata – e soprattutto ai figli – ovvero che:
non si creino tra i genitori divisioni fittizie di importanza e di ruolo distinguendo il genitore collocatario dal non collocatario, circostanza che spinge in massimo grado al conflitto;
esista una pariteticità tra i genitori da intendersi come pari assunzione di doveri nei confronti dei figli e pari obbligo di sacrificare tempo, risorse e ambizioni
personali per dedicarsi alla loro educazione e cura;
al fine di soddisfare gli obblighi di cui sopra, ci siano tempi di frequentazione non rigidamente basati su una divisione al 50 per cento, ma tali da consentire lo svolgimento delle suddette funzioni, organizzati il più possibile flessibilmente e compatibilmente con più generali e oggettive condizioni, come la distanza tra le abitazioni e l’età dei figli, e ovviamente tali da rispettare il già affermato diritto dei minori ad un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori. In altre parole, non parità nel breve periodo, ma il rispetto di pari opportunità, così da poter constatare che facendo la media su tempi lunghi il principio dell’equilibrio è stato osservato;
i figli possano sentirsi a casa propria sia dalla madre che dal padre, e quindi un doppio domicilio;
entrambi i genitori si occupino concretamente di loro e provvedano ai loro bisogni, e quindi il mantenimento diretto;
la coppia sia portata a conoscenza dell’esistenza di uno strumento altamente efficace nel supportare la ricerca di accordi, e quindi l’obbligatorietà dell’informazione sulla mediazione familiare.
Su questi essenziali punti LaDDeS Family è intenzionata a fornire il massimo sostegno ai progetti in esame» e, a completamento del proprio intervento, ha allegato un comunicato stampa dell’associazione «Donneuropee Federcasalinghe» (del 5 marzo 2011), dove si legge: «La Federcasalinghe, rammentato il diritto della donna, anche se madre, a una «conciliazione» dei tempi di vita che garantisca pari opportunità rispetto all’uomo in qualsiasi tipo di attività lavorativa e sociale, cosa impossibile se si continua ad attribuirle in misura prevalente fatiche e doveri nella cura dei figli;
auspica che i disegni di legge 957 e 2454, che rendono ineludibile il diritto del minore ad avere effettivamente un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, investiti entrambi di identiche responsabilità e gravati in pari misura dei sacrifici necessari all’accudimento dei figli, riceva rapida approvazione».
Resta il fatto che, chiarite le posizioni dei due schieramenti – la famiglia separata, i professionisti della separazione – e specificato che nessuno studio scientifico dimostra la pericolosità di un vero doppio affidamento, è da verificare se esiste la prova contraria. E su questo punto, al di là dell’ampia documentazione (ad esempio, W. V. Fabricius, «Listening to Children of Divorcee», in Family Relations, 2003, 52, 385-396; M. K. Pruett, R. Ebling e G.M. lnsabella, «Critical aspects of parenting plans for young children: Interjecting data into the debate about overnight» in Family Court Review, 42 (1), 2004, pafine 39-59; A. Sarkadi, R. Kristiansson, F. Oberklaid eS5. Bremberg, «Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studie», inActa paediatrica 97, 2008, pagine 152-158 eccetera), un parere terzo indubbiamente autorevole, tanto più in quanto proveniente da un contesto italiano, può considerarsi quello espresso dal Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, secondo il quale: «Data quindi la totale inidoneità al fine della salute dei figli di un modello che preveda che un solo genitore (quello collocatario o prevalente) sia il permanente punto di riferimento dei figli, provvedendo a ogni loro necessità e assumendo ogni decisione e compito di cura, mentre l’altro si limita ad erogargli il denaro avendo con i figli solo sporadici contatti, in linea generale, le modifiche del disegno di legge n. 2454 non fanno altro che promuovere la possibilità che il principio della bigenitorialità (nucleo allevante) non resti mero principio, ma si inserisca nelle trame della vita quotidiana come applicazione rigorosa del principio stesso, tale da mantenere il processo evolutivo quale «processo», appunto, e non «fatto», cioè tale da mantenere sempre aperta al possibilità che su questo processo,
incerto nel suo incedere, si possa inserire non solamente un genitore, ma il nucleo allevante, cioè ciò che mantiene un assetto di terzietà».
D’altra parte, se le istanze devono essere ascoltate e le conclusioni accolte, certamente rappresentative dell’interesse dei minori, non possono essere che quelle espresse dall’associazione «Figli x i figli». «È chiaro che noi figli desideriamo equilibrio e armonia nei rapporti tra noi e i nostri genitori e quindi siamo favorevoli a un modello autenticamente bigenitoriale. Ed è altrettanto chiaro che la discriminazione, la subordinazione di un genitore all’altro, creano il malcontento e la lite e quindi ad altri soggetti può piacere e convenire il modello monogenitoriale. Ma tra queste due incompatibili posizioni e aspirazioni chiediamo che il Senato scelga, evitando di prendere un pezzetto dell’una e dell’altra».
Pertanto, la presente proposta di legge prende atto della totale incompatibilità tra i modelli mono e bigenitoriale e allo stesso tempo dell’inopportunità di mantenere l’attuale ambiguo e contraddittorio assetto, che opta per la soluzione bigenitoriale nella forma e per quella monogenitoriale nella sostanza, creando così le premesse per un contenzioso infinito fra chi vuole farsi forte di un aspetto e chi conta sull’altro.
Constatata, dunque, l’impossibilità di una mediazione tecnica o politica e nella convinzione che sarebbe comunque controproducente tentare soluzioni ibride, si opta per una soluzione concretamente e integralmente bigenitoriale, quella richiesta dai figli di genitori separati, la vera parte debole delle separazioni e la meglio informata sulle vie da prendere.
Passando a un’analisi puntuale dell’articolato, osserviamo che la lettera a) del comma 1 dell’articolo 1 intende mettere fine alla non circoscritta tendenza, già accennata, a concedere l’affidamento condiviso svuotandolo al contempo dei suoi essenziali requisiti, come il diritto del minore a un rapporto effettivamente equilibrato con entrambi i genitori, in modo che ciascuno di essi si impegni quanto l’altro nel fornirgli «cura» oltre che educazione e istruzione: condizioni che evidentemente non si realizzano se il figlio trascorre con uno di essi poco più di due fine settimana al mese o se nella sentenza si omette di stabilire per entrambi equivalenti compiti di accudimento. E si faccia ben attenzione: si tratta di una pariteticità che non è affermata per i tempi, fiscalmente e rigidamente, (sarebbe del resto assurdo prendere lo stesso numero di pernottamenti avendo il doppio dei pomeriggi, e viceversa), ma che invoca pari responsabilità e paritetica assunzione di concreti doveri. L’attenuazione «per quanto possibile» va intesa, ovviamente, come dovuta alla necessità di considerare quei casi in cui condizioni di salute, allattamento o particolari impegni lavorativi dei genitori rendano materialmente impossibile una gestione paritaria; ma ciò non toglie che ovunque realizzabile questa debba essere assicurata al figlio. Inoltre, si è inteso dare maggiore evidenza e più corretta collocazione al riferimento all’«interesse del minore». In realtà tutta la legge n. 54 del 2006 è mirata alla tutela di tale interesse; anzi, in un modo talmente pregnante da elevarne i contenuti principali a diritto. Il malvezzo interpretativo, che come visto ne è seguito, ha inteso legittimare la negazione di tali diritti, al di fuori delle previsioni dell’articolo 155-bis del codice civile, in nome del suo «interesse», valutato dal giudice con potere discrezionale assoluto. Adesso il riferimento all’interesse del minore si colloca al primo comma, dove del resto stava prima della riforma del 2006, eliminando l’ambiguità derivante dalla collocazione al secondo comma. Viene, inoltre, risolto il problema di come far valere il diritto dei minori ad avere contatti con i due ambiti parentali completi e in particolare con i nonni, in linea con la legge n. 219 del 2012. Lungi dal voler attribuire agli ascendenti la titolarità di tale diritto, il testo si preoccupa di renderlo effettivo, ovviando al problema di una lettura dell’articolato che sembrava voler riservare ai nipoti la possibilità di tutelare il rapporto con i nonni a condizione di essere loro stessi ad attivarsi, cosa a dir poco problematica, visto che manca loro la capacità di agire, nonché le risorse economiche per farlo. È per questo che è affermata la legittimazione degli ascendenti ad attivarsi affinché il giudice si pronunci su un diritto che resta in capo ai minori.
La lettera b) sostituisce il secondo comma dell’articolo 155 del codice civile. I primi due periodi del comma così novellato esprimono più efficacemente la priorità dell’opzione bigenitoriale, quale mantenimento il più possibile inalterato delle condizioni antecedenti la separazione, e rende più evidenti e inderogabili i limitati ambiti di applicazione dell’affidamento esclusivo (articolo 155-bis). Ciò avviene anche attraverso l’eliminazione del generico riferimento all’interesse del minore, del tutto fuori posto e fuorviante laddove una norma direttamente prescrittiva si propone di assicurare al figlio l’affidamento a entrambi i genitori, visto come aspetto prioritario della realizzazione del suo diritto e del suo interesse («Per realizzare la finalità di cui al primo comma (…)». La modifica – o meglio, il ripristino sul punto della vecchia formulazione del codice civile – assume particolare rilievo, tanto da apparire indispensabile, ove si osservi che tale illogica collocazione dell’interesse del minore costituisce attualmente in giurisprudenza la prevalente giustificazione formale della non applicazione dell’affidamento condiviso in favore dell’esclusivo: ossia della mancata attuazione della riforma. Allo stesso modo e nel medesimo spirito è precisata l’irrilevanza di circostanze estranee alle caratteristiche dei genitori singolarmente considerati e si elimina la possibilità di negare ai figli la tutela di uno dei genitori quale coaffidatario, utilizzando circostanze che non possono porsi a suo carico.
Al quarto periodo, alla pari del primo comma, il testo sviluppa e rende effettiva la doppia tutela genitoriale a vantaggio dei figli. Poiché gli inconvenienti attuali sono conseguenza diretta dell’attribuzione ai figli di un’unica appartenenza domiciliare, la nuova formulazione evidenzia la scelta in favore di due case, purché ciò permetta di continuare ad avere due genitori. Il quinto periodo disincentiva la conflittualità all’interno della coppia, stabilendo che il giudice nel decidere le modalità della frequentazione (ad esempio, chi si sposta per accompagnare i figli dall’altro) e nell’assegnare i compiti di cura a ciascun genitore deve tenere conto della propensione di ciascuno a rispettare l’altro, dando la preferenza, in nome dell’interesse della prole, a quel «fair parent», genitore corretto e leale, nel quale la giurisprudenza anglosassone già da tempo individua quello meglio in grado di allevare i figli. Tutto questo dovrebbe scoraggiare quella aggressività, soprattutto processuale, quella tendenza a denigrare gratuitamente l’altro che i precedenti orientamenti viceversa premiavano allorché il giudice, di fronte a memorie vivacemente polemiche presentate ad arte da chi non gradiva l’affidamento a entrambi i genitori, concludeva che il livello di conflittualità registrato non permetteva formule bigenitoriali e affidava i figli esclusivamente all’aggressore. In sostanza, si chiede al giudice di entrare nel merito delle cause del conflitto, rammentando che la formula di rito «a causa dell’elevata conflittualità è impossibile applicare l’affidamento condiviso e quindi i figli vengono affidati esclusivamente a (…)» non consente di per sé di individuare un genitore più idoneo dell’altro poiché il criterio manca. Distinguere tra i genitori è corretto solo in presenza di un aggredito e di un aggressore e quindi occorre indagare; in situazioni diverse, ovvero nel caso di mutua intolleranza e uguale inciviltà o si utilizza al massimo la separazione delle competenze (esercizio separato della potestà), ovvero, se ciò non è sufficiente, si procede con l’affidamento a terzi. Inoltre, si fa chiarezza sul malinteso doppio domicilio, da molti commentatori confuso con la doppia residenza. Infine, si separa il concetto di interesse da quello, più forte, di diritto, prevenendo la tentazione di una impropria utilizzazione.
L’ultimo periodo del comma novellato riposiziona il riferimento all’interesse del minore, collocandolo correttamente nell’ambito delle scelte non prevedibili, per le quali è logico che il giudice sia guidato da un principio aspecifico. Questa, del resto, era esattamente la formulazione precedente alla riforma del 2006, che prima prescriveva tassativamente l’affidamento esclusivo e poi, per le decisioni secondarie e particolari, dava al giudice un criterio generale e generico, invitandolo ad adottare «ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa».
La lettera c) è destinata a mettere dei limiti al frequente abuso di potere da parte del genitore collocatario (che non dovrebbe esistere), che si trasferisce con i figli dove meglio crede senza prendere accordi con l’altro e senza autorizzazione del giudice.
La lettera d), a sua volta, rende del tutto inequivoca, e quindi ineludibile, la prescrizione in favore del mantenimento diretto, che dovrà essere stabilito ogniqualvolta sia chiesto, anche da un genitore solo, rimettendo al giudice la divisione degli oneri economici, ove non concordata. Inoltre, mette ordine nell’elenco dei parametri di cui il giudice deve tenere conto per fissare un eventuale assegno. La norma attuale, infatti, mescola ciò che serve a stabilire il costo totale del figlio con quanto serve a scalare dall’assegno perequativo, se stabilito, forme dirette di contribuzione (come il lavoro di cura). Viene anche eliminato il parametro relativo al tenore di vita antecedente la separazione poiché tale evento ha, ovviamente, sconvolto il sistema economico familiare; a prescindere dal fatto che nel corso del tempo le spese a vantaggio del figlio, soggetto in età velocemente evolutiva, hanno continui cambiamenti, per cui quel riferimento risultava in pratica fonte di grande incertezza e pertanto forte litigiosità. Si stabilisce, inoltre, con la lettera e), che in caso di trascuratezza da parte di uno dei genitori questi perda la possibilità del mantenimento diretto e sia obbligato a versare un assegno all’altro.
L’articolo 2, sia nella rubrica che nel primo comma novellato dell’articolo 155-bis del codice civile, afferma in termini prescrittivi che solo ove si verifichino determinate condizioni, l’onere della cui prova spetta all’accusa, si può escludere un genitore dall’affidamento. Pertanto resta fuori discussione che al giudice non è data facoltà di scegliere a sua discrezione tra due istituti, l’affidamento condiviso e quello esclusivo, ma solo di proteggere il minore da uno dei genitori, ove essere a lui affidato possa arrecargli pregiudizio.
Con la lettera a) del comma 1, inoltre, e stata introdotta una sottolineatura, una specificazione che tiene conto dei sempre più frequenti e pesanti episodi di maltrattamenti in famiglia. Si è ritenuto opportuno sanzionare con l’esclusione dall’affidamento chi si sia reso colpevole di ripetute violenze fisiche e psichiche. Ciò soprattutto a tutela della donna, sempre più spesso sottoposta ad aggressioni, sovente tollerate solo per un inevitabile legame con l’altro genitore, anch’esso affidatario. Allo stesso modo si interviene a punire chi con sottili manovre e quotidiana opera di denigrazione induca un figlio a rifiutare i contatti con l’altro genitore, nonché chi si prefigge di raggiungere il medesimo risultato, ovvero di eliminare del tutto l’altro genitore dalla vita del figlio, denunciandolo per reati infamanti mai commessi. È pacifico che la norma sarà applicabile solo previa dimostrazione della sussistenza dell’azione da censurare, ovvero dopo accurate indagini. È di particolare interesse, in merito al problema del rifiuto, analizzare brevemente le varie posizioni assunte e la corrispondente giurisprudenza. Una corrente di pensiero sostiene che al minore va riconosciuta facoltà di rifiutare, ad libitum, i contatti con un genitore. Qualcuno aggiunge una giustificazione di ciò, ma è una tesi minoritaria: perché da quel genitore potrebbe avere subìto abusi e negargli tale diritto lo esporrebbe a continuare a subirli. Ma quanto spesso il figlio viene manipolato e quanto spesso è stato abusato? A prescindere dal fatto che non esistono automatismi, ma che tutto deve essere seriamente indagato.
Comunque, sulla questione del riconoscimento ai figli di separati di questa opzione la Suprema Corte si è pronunciata (sentenza n. 317 del 1998) riconoscendo a un ragazzo di tredici anni il diritto di abolire ogni contatto con il genitore non affidatario, benché assolutamente idoneo e al di sopra di qualsiasi critica. In sostanza, per pura antipatia. La tesi è apparsa quanto meno bizzarra per una quantità di ragioni. Anzitutto è risultato incomprensibile perché la possibilità di rifiuto non potesse comprendere il genitore affidatario. In secondo luogo, sviluppando il ragionamento degli Ermellini, perché non potesse comprenderli entrambi, ad esempio in favore di un affidamento a terzi. Inoltre, sotto il profilo del diritto, la tesi è apparsa in contraddizione con il principio di uguaglianza. Perché ai figli di genitori non separati dovrebbe essere negata tale facoltà? Ovvero anche, ai sensi dell’articolo 30 della Costituzione, l’educazione e l’istruzione dei figli sono certamente un dovere dei genitori (di entrambi) anche se separati, ma sono anche un loro diritto (di entrambi). Quindi la previsione di un intervento sanzionatorio ove sia dimostrata una manipolazione appare opportuna e legittima. Infine, una concreta ed esplicita censura del dilagante malvezzo di avanzare gratuite denunce per eliminare il partner è apparsa assolutamente indispensabile, e forse ancora troppo blanda.
La lettera b), d’altra parte, determina le modalità di attuazione dell’affidamento esclusivo e chiarisce definitivamente che il mantenimento diretto è la forma da privilegiare anche in caso di affidamento esclusivo e che i genitori hanno diritto, qualitativamente, al medesimo trattamento in termini di detrazioni, assegni familiari e agevolazioni fiscali di ogni genere, a prescindere dal tipo di affidamento e dalla qualifica di genitore affidatario o no.
L’articolo 3, modificando l’articolo 155-quater del codice civile, con il comma 1, lettera a), precisa che il problema dell’assegnazione della casa familiare deve porsi solo in via eccezionale, ovvero quando non si è potuto rispettare – per ragioni oggettive come la distanza tra le abitazioni – il diritto indisponibile dei figli a essere presenti in misura simile presso ciascuno dei genitori. In tal caso, infatti, la casa non può che restare al proprietario. Limitatamente, dunque, a situazioni che devono essere residuali, se si rispetta le legge, ci si deve comunque chiedere se ai figli convenga abitare prevalentemente nella casa familiare oppure no. E solo in caso di assegnazione dell’abitazione al non proprietario, coerentemente con l’orientamento della Corte di cassazione (sentenza n. 26574 del 17 dicembre 2007), il cessato uso della casa familiare come abitazione, o l’introduzione in essa di un soggetto estraneo al nucleo originario, fa venire meno quei requisiti di «nido», dihabitat consueto dei figli che in via del tutto eccezionale permette di superare le normali regole di godimento dei beni immobili. Pertanto, a domanda dell’interessato, il giudice accerterà le nuove circostanze e assumerà le varie decisioni che competono alle diverse situazioni di locazione, comodato o proprietà del genitore non assegnatario. La proposta di legge non ignora, ovviamente, la pronuncia n. 308 del 2008 della Corte costituzionale, ma ritiene che, una volta riaffermato e rispettato l’equilibrio anche abitativo nel rapporto del figlio con ciascun genitore cadano automaticamente pure le preoccupazioni per la presunta «sottrazione della casa al minore» su cui ruota tutto il ragionamento della pronuncia suddetta. Se il figlio frequenterà più o meno simmetricamente i due genitori sarà per lui indifferente se nella casa familiare abiterà il genitore proprietario o l’altro. Anzi, nei casi ordinari non ci sarà più motivo, fino dalla prima decisione, per assegnare l’abitazione al genitore non proprietario. Con enorme alleggerimento dei motivi di contenzioso, piaccia o dispiaccia.
Infine con la lettera b) si corregge un’evidente svista del precedente legislatore concedendo a entrambi i genitori facoltà di chiedere la ridefinizione delle regole dell’affidamento condiviso nel caso di significativi cambiamenti di residenza di uno dei due e non solo a quello che non si sposta.
L’articolo 4, che interviene sull’articolo 155-quinquies del codice civile, risolve, con il comma 1, lettera a), un’altra questione oggetto di intenso dibattito: l’attribuzione al figlio maggiorenne della titolarità dell’eventuale assegno che fosse stato stabilito per il suo mantenimento, quale che ne sia la modalità, ossia considerando anche l’ipotesi che esso non sia perequativo, ma risulti dall’obbligo gravante su entrambi i genitori di versare una certa somma in un conto corrente comune. La formulazione proposta permette di tutelare gli eventuali danni subiti dal genitore prevalentemente convivente, ove esista, legittimando anche lui, in concorrenza con il figlio, ad attivarsi in caso di inadempienza dell’altro. Al tempo stesso lo tutela disciplinando anche i rapporti con il figlio, prevedendo che questi debba concordare con il genitore il proprio eventuale contributo alle spese e alle cure domestiche, ancora una volta in accordo con le modifiche introdotte dalla citata legge n. 219 del 2012 (articolo 315-bis del codice civile). Con la lettera b) è evidenziato il diritto a provvedere agli obblighi economici con un rapporto diretto genitore-figlio anche quando quest’ultimo non è più in affidamento.
L’articolo 5, comma 1), lettera a), rafforza la posizione del figlio minore, esaltando il peso delle sue parole ogni volta che è disposto l’ascolto. Stabilisce anche le modalità consigliabili per procedere all’ascolto del medesimo. La lettera b) permette di spostare le norme sulla mediazione dal codice civile a quello di procedura civile (articolo 8).
L’articolo 6 completa l’introduzione del doppio domicilio, modificando l’articolo 45 del codice civile. In effetti si tratta di una precisazione che avrebbe dovuto essere ultronea, se nell’applicazione il messaggio della legge n. 54 del 2006 fosse stato correttamente inteso e se ne fossero rispettate le prescrizioni: infatti nell’affidamento condiviso il figlio frequenta equilibratamente i due genitori e «vive» con entrambi.
L’articolo 7 aggiorna alle nuove disposizioni la formulazione dell’articolo 317-bis, secondo comma, del codice civile relativo all’esercizio della potestà su figli di genitori non coniugati, curando che non esistano vuoti di disposizioni alle quali attenersi neppure nei periodi intermedi, come quando la convivenza è cessata (o non è mai esistita), ma non sono stati ancora emessi provvedimenti del giudice.
L’articolo 8 restituisce alla mediazione familiare il riconoscimento pieno che aveva ricevuto nella penultima stesura della legge n. 54 del 2006 da parte Commissione Giustizia della Camera dei deputati.
L’impoverimento di tale strumento è stato concordemente biasimato da tutti gli operatori del settore, che hanno reiteratamente segnalato i vantaggi di prevedere una informazione obbligatoria sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione prima di qualsiasi contatto con la via giudiziale. L’articolo, formulato in modo da prevenire la possibilità di false dichiarazioni per evitare il passaggio informativo, colloca, inoltre, più appropriatamente la norma all’interno della fase pregiudiziale, dopo l’articolo 706 del codice di procedura civile, lasciando, tuttavia, intatta la piena salvaguardia degli interessi di parte attraverso l’obbligatorietà della presenza dei difensori nella presentazione degli accordi al tribunale.
Gli articoli 9 e 10 rendono possibile il reclamo avverso i provvedimenti sia presidenziali che del giudice istruttore, unificando le relative procedure mediante il ricorso all’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile. La scelta del reclamo al collegio tiene conto anche delle difficoltà logistiche che si potrebbero incontrare in talune zone optando per il reclamo in corte d’appello.
L’articolo 11, integrando la precedente previsione dell’articolo 709-ter del codice di procedura civile, interviene, alla lettera a) del comma 1, in tutte quelle situazioni in cui un genitore compie unilateralmente atti che richiedono l’accordo con l’altro (ad esempio, cambiando residenza e portando il figlio con sé, oppure iscrivendo il figlio a istituti scolastici di propria esclusiva scelta), azzerando tali iniziative, ovvero nel caso in cui abbia costruito ad arte situazioni ostative al contatto del figlio con l’altro genitore. In questo caso si è ritenuto che non sia sufficiente la previsione di un meccanismo punitivo o risarcitorio del danno, ma che andasse prioritariamente disposto, ove possibile, il ripristino dello stato antecedente, ovvero interventi mirati alla restituzione o alla compensazione di quanto indebitamente sottratto o negato (si pensi, ad esempio, a giorni di frequentazione saltati). Infine è soppressa, con la lettera b), la possibilità di semplice ammonizione: poiché si tratta di infrazioni gravi, se la segnalazione è falsa è da perseguire il denunciante e se è corretta limitarsi ad ammonire non può essere sufficiente.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. All’articolo 155 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità per i figli, fatti salvi i casi di impossibilità materiale, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, ai quali è data facoltà di chiedere al giudice ordinario, con procedimento al di fuori del processo di separazione, di disciplinare il diritto dei minori al rapporto con essi»;
b) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Per realizzare la finalità di cui al primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi dispone che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori, fatto salvo quanto stabilito all’articolo 155-bis. L’età dei figli, la distanza tra le abitazioni dei genitori e il tenore dei loro rapporti non rilevano ai fini del rispetto del diritto dei minori all’affidamento condiviso, ma influiscono solo sulle relative modalità di attuazione. Il giudice valuta la natura del conflitto, distinguendo l’unilaterale aggressività da quella reciproca. Determina le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, tenendo conto della capacità di ciascuno di essi di rispettare la figura e il
ruolo dell’altro, stabilendo dove avranno la residenza anagrafica e fissandone il domicilio presso entrambi. Fissa altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse e ai diritti dei figli di cui al primo comma, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa»;
c) al terzo comma:
1) al primo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 155-bis»;
2) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Il cambiamento di residenza dei figli costituisce decisione di maggior interesse e richiede l’accordo dei genitori»;
d) il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Fatti salvi accordi diversi delle parti, ciascuno dei genitori provvede in forma diretta e per capitoli di spesa al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie risorse economiche. Le modalità e i capitoli di spesa sono concordati direttamente dai genitori; in caso di disaccordo sono stabiliti dal giudice. Il costo dei figli è valutato tenendo conto:
1) delle attuali esigenze del figlio;
2) delle attuali risorse economiche complessive dei genitori»;
e) dopo il quarto comma sono inseriti i seguenti:
«Quale contributo diretto il giudice valuta anche la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Ove necessario al fine di realizzare il principio di proporzionalità di cui al quinto comma, il giudice può stabilire la
corresponsione di un assegno perequativo periodico.
Qualora un genitore venga meno, comprovatamente, al dovere di provvedere alle necessità del figlio nella forma diretta per la parte di sua spettanza, il giudice stabilisce, a domanda, che provveda mediante assegno da versare all’altro genitore»;
f) al quinto comma, le parole: «L’assegno è automaticamente» sono sostituite dalle seguenti: «L’eventuale assegno perequativo è automaticamente».
Art. 2.
1. All’articolo 155-bis del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il giudice può escludere un genitore dall’affidamento, con provvedimento motivato, qualora ritenga che da quel genitore, se affidatario, possa venire pregiudizio al minore. La documentata e perdurante violenza intrafamiliare, sia fisica che psicologica e, in particolare, la violenza di genere, la violenza assistita dai figli, nonché la loro manipolazione mirata al rifiuto dell’altro genitore o al suo allontanamento, comporta l’esclusione dall’affidamento. Le denunce comprovatamente false mosse al medesimo scopo comportano altresì l’esclusione dall’affidamento, ove non ricorrano gli estremi per una sanzione più grave. In ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare»;
b) dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti:
«Il genitore cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate congiuntamente da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha il
diritto e il dovere di vigilare sulle loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
Le norme sul mantenimento dei figli di cui ai commi quarto e quinto dell’articolo 155 si applicano indipendentemente dal tipo di affidamento e la posizione fiscale dei genitori è la stessa»;
c) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Esclusione di un genitore dall’affidamento e disciplina dell’affidamento esclusivo».
Art. 3.
1. All’articolo 155-quater del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma:
1) il primo periodo è sostituito dal seguente: «Nel caso in cui non sia possibile ai figli frequentare equilibratamente i due genitori, il godimento della casa familiare è attribuito tenendo esclusivamente conto dell’interesse dei figli»;
2) il terzo periodo è sostituito dai seguenti: «Nel caso in cui l’assegnatario della casa familiare, che non ne sia l’esclusivo proprietario, contragga nuovo matrimonio o conviva more uxorio, la sua assegnazione in godimento è revocata, a tutela dell’interesse dei figli a conservare intatto il luogo di crescita, e il giudice dispone, a domanda, secondo i criteri ordinari. Se l’assegnatario non proprietario non abita o cessa di abitare stabilmente nella casa familiare il diritto al suo godimento viene meno in ogni caso e la casa torna nella disponibilità del proprietario»;
b) al secondo comma, le parole: «l’altro coniuge» sono sostituite dalle seguenti: «ciascuno di essi».
Art. 4.
1. All’articolo 155-quinquies del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Dell’assegno perequativo eventualmente stabilito per il mantenimento del figlio, o delle somme eventualmente versate dai genitori in favore del figlio quale contribuzione per il suo mantenimento, è titolare quest’ultimo quando diventa maggiorenne; il figlio maggiorenne è altresì tenuto a collaborare con i genitori e a contribuire alle spese familiari finché convivente. Ove il genitore obbligato si renda inadempiente, in caso di inerzia del figlio è legittimato ad agire anche l’altro genitore»;
b) dopo il primo comma è inserito il seguente:
Nel caso in cui un figlio sia già maggiorenne al momento della separazione personale dei genitori, ma non ancora autosufficiente economicamente, può essere chiesta l’applicazione del sesto comma dell’articolo 155 da uno qualsiasi dei genitori o dal figlio».
Art. 5.
1. All’articolo 155-sexies del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e prende in considerazione la sua opinione, tenendo conto dell’età e del grado di maturità. Il giudice può disporre che il minore sia sentito con audizione protetta, in locali a ciò idonei, anche fuori dell’ufficio giudiziario, e che la medesima, oltre che verbalizzata, sia registrata con mezzi audiovisivi»;
b) il secondo comma è abrogato.
Art. 6.
1. All’articolo 45, secondo comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ovvero di entrambi se l’affidamento è condiviso».
Art. 7.
1. All’articolo 317-bis del codice civile, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà è regolato secondo quanto disposto dagli articoli da 155 a 155-sexies, anche in assenza di provvedimenti del giudice».
Art. 8.
1. Dopo l’articolo 706 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«Art. 706-bis. – (Mediazione familiare) – In tutti i casi di disaccordo nella fase di elaborazione di un affidamento condiviso le parti hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e fatti salvi i casi di assoluta urgenza o di grave imminente pregiudizio per i minori, di rivolgersi a un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, o a un mediatore familiare libero professionista ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4, per acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione familiare, di durata contenuta entro sessanta giorni, e se vi è interesse per avviarlo.
L’intervento di mediazione familiare può essere interrotto in qualsiasi momento da una o da entrambe le parti. Ove la mediazione familiare si concluda positivamente le parti, assistite dai loro legali, presentano al giudice il testo dell’accordo raggiunto. In caso di insuccesso il presidente adotta i provvedimenti di cui all’articolo 708, terzo comma, previa acquisizione di un attestato dell’organismo di mediazione familiare o del mediatore familiare
comprovante l’effettuazione del tentativo di mediazione. In caso di contrasti insorti successivamente in ogni stato e grado del giudizio di separazione o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti l’opportunità di rivolgersi a un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, ovvero a un mediatore familiare libero professionista. Qualora le parti acconsentano il giudice rinvia la causa ad altra data in attesa dell’espletamento dell’attività di mediazione.
Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato. Nessun atto o documento, prodotto da una parte durante le diverse fasi della mediazione, può essere acquisito dalle parti in un eventuale giudizio. Il mediatore familiare e le parti, nonché gli eventuali soggetti che li hanno assistiti durante il procedimento, non possono essere chiamati a testimoniare in giudizio su circostanze relative al procedimento di mediazione svolto».
Art. 9.
1. Il quarto comma dell’articolo 708 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo davanti al tribunale, in composizione collegiale, nel termine e nelle forme di cui all’articolo 669-terdecies».
Art. 10.
1. All’articolo 709 del codice di procedura civile è aggiunto, infine, il seguente comma:
«Avverso i provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi emessi dal giudice istruttore è ammissibile il reclamo davanti al tribunale, in composizione collegiale, ai sensi dell’articolo 669-terdecies».
Art. 11.
1. All’articolo 709-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’alinea è sostituito dal seguente: «A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, il giudice emette prioritariamente provvedimenti di ripristino, restituzione o compensazione. In particolare, nel caso in cui uno dei genitori, anche se affidatario esclusivo, trasferisca la prole senza il consenso scritto dell’altro genitore in luogo tale da interferire con le regole dell’affidamento, il giudice dispone il rientro immediato dei figli e il risarcimento di ogni conseguente danno, valutando tale comportamento ai fini dell’affidamento e delle sue modalità di attuazione. Il giudice, inoltre, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:»;
b) il numero 1) è abrogato.