“VIOLAZIONE DEI DOVERI DEL FIGLIO E CONSEGUENZE” – Marcello Adriano MAZZOLA
L’evoluzione dei contenuti del Titolo IX del codice civile con l’enunciazione dei doveri dei figli verso i genitori, dalla precedente formulazione dell’art. 315 c.c. sino a quella contenuta nell’art. 315 bis c.c. (L. 10 dicembre 2012, n. 219) ha accentuato la responsabilità dei figli verso i genitori. Responsabilità che può essere tradotta in conseguenze giuridiche.SOMMARIO: 1. Il figlio al centro del mondo? – 2. I doveri del figlio. – 3. Conseguenze della violazione dei doveri del figlio. 1. Il figlio al centro del mondo? E’ tutto un fiorir di riflessioni sui doveri dei genitori verso i figli, sulla nuova “responsabilità genitoriale”, sull’interesse del minore. Una fioritura necessaria ma che non può certo ritenersi riempitiva dello spazio genitori-figli. Intendiamoci, è un dibattito questo che rispecchia perfettamente il periodo socio-culturale che stiamo vivendo, caratterizzato da una filiazione ben minore rispetto al passato e in Italia con una famiglia formata mediamente da un solo figlio. Dunque il figlio è divenuto oramai il catalizzatore di ogni attenzione.1 E al primo vagito tutti gli sguardi amorevoli, compassionevoli, premurosi si spostano verso tale figura, ammantata di un’aurea preziosa. Quasi divina, sacra. Dunque intoccabile. La cesellatura diamantifera di una tale figura ha prodotto nell’arco di qualche decennio dei cambiamenti tanto straordinari quanto a ben vedere anche bizzarri. Fino agli anni ’70 lo jus corrigendi si spingeva legittimamente sino alla previsione di almeno un “sonoro ceffone” pedagogico, mentre oggi un tale atto potrebbe giustificare l’intervento del Telefono Azzurro, degli assistenti sociali e pur anche di un procedimento penale per abuso dei mezzi di correzione. Un ceffone dato oggi da un genitore al figlio può essere avvertito dai più come un atto ripugnante, violento. Dunque deprecabile e censurabile. Ciò che appare ingiustificato oggi, era ben giustificato ieri. Quel che accadeva ieri la cui importanza attuale viene però ancora ribadita da tanti psicologi dell’età evolutiva e da tanti pedagoghi. Perché l’educazione è un fatto complesso ma che pretende pure un suo rigore, autorevolezza, a volte inflessibilità. Rigore oramai venuto meno, da tempo. E basta guardarsi intorno per capire quali siano stati i danni irreparabili causati da tanti genitori “assenti”. Assenza assoluta del senso del limite, permissivismo propalato come cibo, hanno prodotto migliaia di giovani adulti o di giovani prossimi adulti, privi di freni inibitori, privi di riferimenti. Privi. E spesso infelici. Infelici di non avere avuto genitori che li abbiano saputo guidare lungo la strada, rispettando la loro crescita ma senza abdicare dal loro ruolo fondamentale. Un ruolo, quello genitoriale, che impone anche svariati no e a volte interventi duri e dolorosi. Un ruolo quello genitoriale ben marcato e distinto rispetto a quello dei figli. Mentre invece i genitori tendono ramai a fare gli amiconi, a dar di gomito con i figli, a tollerare, a giustificare, a legittimare. Ma non è questo il loro ruolo. Anzi così facendo, abdicano al loro ruolo. In tale percorso la severità diviene un valore prezioso, certamente ben dosata ed equilibrata con ingredienti quali il gioco, il sorriso, l’accudimento, le coccole, il dialogo, l’empatia. 1 Così come ci ricorda ancora di recente ROSSI CARLEO, La famiglia dei figli, Giur. It., 2014, 5: “La famiglia dei figli, espressione felicemente adottata ben prima della riforma, vuole indicare, essenzialmente, la centralità che assume la figura del figlio: intorno ai figli ruota la responsabilità dei genitori che rappresenta l’aspetto relazionale sul quale si fonda, appunto, la famiglia dei figli.”. 1 Dunque in questa deriva socio-culturale che ha prodotto un baricentro assoluto nella figura del figlio, la figura dei genitori è presto divenuta marginale e scolorita, sullo sfondo. L’”interesse del minore”2 è così divenuto il mantra recitato ossessivamente dalle corti italiane, completamente sorde invece ai diritti dei genitori, ai quali fan da contrappeso ovviamente i doveri dei figli. Il legame genitore-figlio è qualcosa di talmente straordinario che va ben al di là di ogni descrizione sostanziale e formale. E’ come dover descrivere la “vita”. Si riassume nello stesso termine. Eppure potenza ed energia riposte in tale legame non sono unidirezionali. Il legame non libera energia solo dal genitore verso il figlio – ancorchè di tale energia sia forse più consapevole il primo (ma forse solo razionalmente) -, ma anche all’opposto. Il legame genitore-figlio è dunque bidirezionale, creando diritti e doveri reciproci. E ciò impone riflessioni non certo parziali. 2. I doveri del figlio. La declamazione generale del diritto genitoriale è costituita compiutamente dall’art. 30 Cost., ove è sancito che “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.” (in tal senso pure Trib. Messina, sez. I, 31 agosto 2009, Giud. un. Russo, in Fam. Dir., 2010, 150-153, il quale però richiama anche l’art. 29 Cost.)3. Il diritto (inviolabile) dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, mira a proteggere il rapporto affettivo ed educativo tra genitore e figlio, con una profonda valenza esistenziale perché connaturato alla realizzazione personale. Un diritto che non può e non deve essere condizionato – tranne nei casi in cui ciò avvenga a seguito di un provvedimento giurisdizionale legittimo – dalla condotta di un genitore o di terzi. In tal caso è giusto che venga risarcito e monetizzato, preminentemente sul versante non patrimoniale ma certo senza trascurare anche quello patrimoniale ove vi sia il giusto supporto probatorio. Prestiamo dunque ora attenzione ai doveri del figlio verso il genitore, al di là dei doveri di mantenimento che possono originarsi quando il genitore sia incapace di curare se stesso. Prestiamo attenzione ai doveri del figlio, come si delineano in un rapporto di normalità, senza che si realizzino situazioni tali da creare uno stato di bisogno. Varie norme si occupano di porre l’accento su tali doveri che dunque non devono essere trascurati. Invero, occorre ricordare come sia cambiato nel tempo il Titolo IX del codice civile con l’enunciazione dei doveri dei figli verso i genitori, sino alla precedente formulazione dell’art. 315 c.c. (alla L. 10 dicembre 2012, n. 219)4, già mutata a sua volta a seguito della riforma del 1975.5 2 Cfr. VERCELLONE, La filiazione, in Tratt. Vassalli, III, 2 Torino, 1987, 362; RONFANI, L’interesse del minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Sociol. dir., 1997, 1; DOGLIOTTI, Che cosa è l’interesse del minore, in Dir. fam. pers., 1992, 1093 il quale notava che la nozione utilizzata dall’ordinamento “rischia di diventare vuota tautologia, mero abbellimento esteriore dell’argomento. Ha contribuito, per la sua parte, ad ampliare notevolmente (e talora assai pericolosamente) la sfera di discrezionalità dell’organo giudiziario minorile”; DOSI, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, 1604 il quale invece notava che “‘l’interesse del minore’ ha finito per perdere qualunque capacità d’orientamento e si è rivelata una categoria ad altissimo rischio di approssimazione, utilizzata sostanzialmente al posto di quella di diritto soggettivo; così che interessi e diritti del minore si sono sovrapposti confusamente l’uno all’altro non solo nel dibattito dei giuristi ma anche nelle sentenze dei giudici”; GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, in Comm., Cian, Oppo, Trabucchi, Padova, 1992, IV, 316 ss.; FERRI, Della potestà dei genitori, in Comm., Scialoja Branca, Bologna, 1988, 23). 3 Si rimanda per un maggior approfondimento a MAZZOLA, Il risarcimento del danno, in La tutela del padre nell’affidamento condiviso, (a cura di) Cassano, Maggioli, 2014, 531-577. 5 Nella formulazione precedente la riforma del 1975, la norma così recitava: “il figlio, di qualunque età sia, deve onorare e rispettare i genitori”. Il significato della norma evidenziava, da un lato, la visione della 2 Infine così recita l’art. 315-bis c.c. (come aggiunto dall’art. 1, L. 10 dicembre 2012, n. 219), non a caso intitolato “Diritti e doveri del figlio”: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.”. Emergono dunque diritti e doveri6 in seno allo stesso fiume, nel quale è però difficile distinguere gli affluenti per l’importanza della capacità contributiva. La violazione di tali diritti (tanto dei figli quanto dei genitori), oltre ai rimedi propri del diritto di famiglia, potrebbe legittimare a richiedere la riparazione del danno non patrimoniale (nelle sue varie componenti, biologico, morale, esistenziale), nel caso in cui alla violazione di un diritto si accompagni la decisa compromissione del rilievo costituzionale del diritto medesimo (in tal senso Cass. 5652/2012, la quale ha riconosciuto la riparazione ex art. 2059 al figlio rispetto al quale il genitore «biologico», seppur consapevole della sua esistenza, persisteva nel non voler procedere al relativo riconoscimento). Il codificatore ribadisce (primi due commi) il diritto dei figli di sviluppare la propria personalità in un ambiente familiare idoneo, mantenendo «rapporti significativi con i parenti». Rapporti che però pretendono una reciprocità e dunque il rispetto tra genitori e figli senza distinzioni, così come si può ricavare dall’intera lettura della norma ed ancor prima dalla sua intitolazione “Diritti e doveri del figlio”. Il figlio dunque ha al contempo diritti e doveri, al pari dei genitori. La famiglia trova dunque ora la sua essenza non più in «norme diverse disseminate nel codice civile, ma in un’unica norma che fotografa un rapporto di interscambio fondato sull’amore e sulla responsabilità. Sono queste le due parole-chiave che valgono a connotare nella sua essenza il rapporto tra genitore e figlio» (BELLELLI, I doveri del figlio, in La riforma del diritto della filiazione, Commentario sistematico a cura di C.M. Bianca, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2013, 551). Pertanto, si osserva che famiglia autoritaria e gerarchica che caratterizzava i rapporti familiari (in particolare, i rapporti genitori- figli) e dall’altro, la volontà del legislatore di non limitare il dovere di “onorare e rispettare i genitori” al minore di età, che doveva permanere in capo al figlio anche dopo il raggiungimento della maggiore età. Nella successiva formulazione è stato eliminato sia l’obbligo di onorare (lasciando quello di rispettare) che il riferimento all’età del figlio. Tale formulazione voleva prestare maggiore attenzione alla sfera personale del soggetto, inserendosi in un contesto nuovo nel quale si è ravvisata l’inopportunità che la norma enunciasse esclusivamente doveri di tipo patrimoniale in capo al figlio e, dall’altro, rifletteva il mutamento della concezione dei rapporti genitori – figli. La posizione di questi ultimi rispetto ai genitori, infatti, non doveva più considerarsi in termini di soggezione ed obbedienza ma di semplice rispetto nei confronti di soggetti esercenti una potestà intesa come potere-dovere. I figli avrebbero dovuto apprestare ai genitori l’aiuto necessario per il soddisfacimento dei bisogni essenziali della persona, sia di ordine materiale che di ordine spirituale. 6 La dottrina ha osservato come la norma faccia riferimento a «diritti della personalità in quanto tutelano interessi essenziali della persona nel tempo della sua crescita e della sua formazione» (BIANCA, Diritto civile. La famiglia. Le successioni, II.1, Milano, 5a ed., 2014, 331). 3 “Proprio nell’ottica dello status, i diritti del minore non possono essere considerati nel loro carattere di relazione “singolare” e “individuale”, perché tali diritti non vanno intesi in maniera frazionata, posto che tutti concorrono allo sviluppo della persona, né in una visione rigidamente patrimonialistica in ragione dell’intima connessione che si determina tra gli aspetti esistenziali e i profili patrimoniali, funzionali alla realizzazione dei diritti della persona. Essi, difatti, non si possono ridurre al meccanico adempimento di un obbligo che tiene in conto esclusivamente la relazione immediata e diretta con il genitore o i genitori, ciò anche in quanto la relazione, dovendo tener conto che lo status contraddistingue l’appartenenza del soggetto ad una comunità, pur nel caso di famiglia monoparentale, va sempre e comunque considerata nell’ambito di un rapporto familiare e, soprattutto, di un contesto affettivo aperto alla effettività dei rapporti significativi.” (ROSSI CARLEO, La famiglia dei figli, Giur. It., 2014, 5). recepisce il «diritto» degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti. La norma di cui all’art. 315-bis c.c. impone a carico del figlio due obblighi ben precisi, l’uno di rilievo personale, l’altro di carattere patrimoniale. Il primo è l’obbligo del rispetto nei confronti dei genitori, inducendo tuttavia a chiedersi quale sia il significato da attribuire alla prescrizione, alla luce del generale dovere che grava su tutti i consociati del fondamentale rispetto della persona umana (art. 2 Cost.). Il secondo è di carattere patrimoniale laddove il figlio (minore o maggiore d’età), convivente con i proprî familiari e percipiente un reddito, deve essere chiamato acontribuire al mantenimento della famiglia.7 Se il figlio non convive coi familiari, il dovere in esame viene meno, residuando, esclusivamente, l’eventuale obbligo alimentare (artt. 433 ss.). L’inciso introdotto dall’art. 1, co. 8, L. 219/2012, all’art. 315 bis, 4° co., per cui il figlio deve contribuire ai bisogni della famiglia «in relazione alle proprie capacità» recepisce la tesi per cui al figlio non potrebbe essere imposta la ricerca di una occupazione non in linea con le proprie aspirazioni e le proprie capacità personali, al solo fine di contribuire al mantenimento della famiglia (Cass. 4765/2002). 3. Conseguenze della violazione dei doveri del figlio.
7 Cfr. FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in RDC, 1977, 609 ss. Sicché il concetto fondamentale verrebbe dunque rappresentato dalla solidarietà familiare, in cui si ritrovano tanto le posizioni dei figli quanto quelle dei genitori in rapporto di reciprocità e non di subordinazione assoluta. Nel rapporto genitori-figli deve pertanto sussistere quello spirito di collaborazione che si concreta anche nel dovere di rispetto dei figli nei confronti dei genitori, al fine di consentire a questi ultimi di poter realizzare il loro diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare la prole nel rispetto delle loro esigenze allo scopo di garantire il corretto ed armonico sviluppo della loro personalità.
Invero, il diritto del minore a mantenere rapporti significativi con i parenti è strettamente correlato con il pieno riconoscimento del medesimo diritto per gli ascendenti (art. 317- bis c.c.), peraltro contraddistinto pure da doveri che possono divenire assai pregnanti. Quanto alle modalità di esercizio di tale loro diritto, va rilevato come la norma (introdotta con d.lgs. 154/2013), si sia limitata a prendere atto di un orientamento consolidato in giurisprudenza (Cass. 28902/2011), che legittima i nonni a sollecitare il controllo giurisdizionale “affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore”. Pertanto l’ascendente, al quale viene negata la possibilità di frequentare il nipote, può agire ai sensi dell’art. 317-bis, 2° co., per far sì che venga valutato il comportamento di coloro che hanno la responsabilità genitoriale (art. 336 c.c.) in quanto, limitando il rapporto con i nipoti, li priverebbe del fondamentale rapporto con la famiglia allargata. Conclusivamente si può ben sostenere come, a fronte della violazione dell’art. 315-bis c.c. da parte del figlio, con riferimento agli obblighi di rilievo personale (rispetto) e di quello di di carattere patrimoniale (contribuire al mantenimento della famiglia), nonché quello che si può ricavare pure dalla lettura dell’art. 317-bis (rapporto nonni-nipoti), questi sia chiamato a risponderne anche in termini risarcitori, nel solco della c.d. patrimonializzazione del diritto di famiglia. Gli esempi che derivano dalla casistica possono essere i più svariati, investendo certamente il diritto del genitore di mantenere rapporti significativi con il figlio ove questi tenga alcune condotte, senza che vi siano motivi di particolare gravità che le giustifichino: (a) si sottragga costantemente alla relazione col genitore (negandosi telefonicamente, di persona, interrompendo ogni canale di comunicazione); b) gli impedisca di partecipare ai suoi momenti più significativi (laurea, matrimonio, nascita di nipoti, battesimi, comunioni, cresime etc.); (c) decida di cadere nell’oblio (facendo perdere ogni traccia di sé); (d) mantenga un atteggiamento offensivo e denigratorio verso il/i genitore/i; (e) viva in costanza della famiglia sottraendosi all’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia, con atteggiamento parassitario. Gli strumenti per procedere verso tali responsabilità (tanto in termini di accertamento quanto di condanna) sono certamente quelli forniti dal Codice Civile dal Titolo IX in quanto compatibili al rapporto genitori-figli, quanto quelli forniti dalle azioni tradizionali della responsabilità civile. Con ciò, non si intende in questa sede stimolare azioni dei genitori verso i figli, ma ricordare ad entrambi come vi siano strumenti idonei d’intervento, atti a riequilibrare un rapporto genitoriale incrinato o compromesso in modo significativo, rapporto che non può e non deve più essere visto esclusivamente con le lenti dell’interesse del figlio. Fonte:http://www.personaedanno.it/ |