Timperi, nel nome dei padri separati
Papà chiama al telefono, ma nessuno risponde. Citofona sotto casa, silenzio. Si presenta alla porta, ma c’è un contrattempo e il pomeriggio con il figlio salta. Succede a diversi padri separati: ne parliamo con uno di loro, il giornalista Tiberio Timperi
Quarantasei anni, ex mezzobusto del tg, Tiberio Timperi è un professionista versatile. Giornalista, conduttore e anche attore, è allenato a controllare e a modulare voce e mimica a seconda delle circostanze.Ma ora che la vita privata gli impone il ruolo più difficile e doloroso da gestire, quello di un padre che soffre una distanza non voluta dal figlio, il tono si fa accorato, l’eloquio serrato e il linguaggio a tratti crudo. Ferito ma comunque lucido e combattivo, Timperi accetta di parlare del dramma di diversi padri separati.
Timperi, alla lettera da lei ha consegnata a Panorama, a testimonianza della sua situazione di padre separato che fatica a incontrare il figlio, ha fatto seguito una replica di sua moglie: si sente di commentare?
No, proprio no: non voglio entrarci per niente. Non voglio assolutamente parlare della mia separazione, non è quello il problema.
Parliamo allora del problema che l’accomuna ad altri genitori, di cui lei s’è fatto carico dandogli risonanza mediatica
Ecco, voglio dire semplicemente questo: c’è una legge, nuova anche se ormai ha qualche anno sul suo groppone, che garantisce la bi-genitorialità e garantisce al minore un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. Si tratta della legge sull’affidamento condiviso. In Italia questa legge viene ormai concessa nel 92% dei casi, ma la domanda è: perché, all’interno del condiviso, viene sempre privilegiato a prescindere il collocamento del minore presso la madre? La legge è uguale per tutti o no? Se è più uguale per le mamme, va bene, prendiamone atto.
Probabilmente la questione della casa , che per un bambino significa punti di riferimento certi e abitudini consolidate, è centrale
Io ne faccio una questione di affetti e non di effetti. Poi certo c’è anche il problema della casa, tanto che in Italia stanno sorgendo come funghi le Case Papà per accogliere i padri separati che perdono contemporaneamente la continuità del rapporto con i figli e l’abitazione. Vorrei aggiungere un’avvertenza, però…
Quale?
Parlo ovviamente dei padri che vogliono fare i padri, chiariamo. Perché poi ci sono anche i padri mascalzoni.
Che non pagano gli alimenti e si dileguano
A proposito di soldi, mi chiedo perché non venga applicato il mantenimento diretto, ossia non più l’assegno dato nelle mani della madre per gestire il figlio, che dà luogo a rendite parassitarie, ma una cosa del tipo: «Che cosa serve? Vado a fare la spesa? Servono le scarpe? C’è bisogno di questo, di quest’altro?».
Altre proposte?
Bisognerebbe istituire un Tribunale della famiglia dove operino giudici che facciano solo ed esclusivamente Diritto di famiglia. Non solo: ho scoperto che in caso di matrimonio concordatario, c’è una sentenza della Cassazione che ha riconosciuto i patti prematrimoniali. Se si prevede tutto a monte, a valle ci saranno meno problemi, meno aule di giustizia intasate, meno discussioni. E ancora: io voglio non il divorzio breve, ma il divorzio immediato. Una firma e via. Il giudice non deve chiedere: avete intenzione di conciliarvi? Perché nel momento in cui vai davanti al giudice hai già maturato la tua scelta. Il disagio deve essere risolto il più presto possibile: prima si risolve, prima si torna a vivere. Nella vita si può anche sbagliare, fallire, cadere, però si deve avere la possibilità di potersi rialzare. E quando una separazione dura mediamente dai cinque ai dieci anni, in caso di giudiziale, se ne va una fetta della tua vita. Chi ti risarcirà di tutto quel tempo legato alla lentezza inevitabile della giustizia?
Il problema è la legge o l’applicazione della stessa?
Questa è una legge dello Stato che non viene applicata o lo è solo pro forma. Il giudice non deve interpretare: se c’è scritto «equilibrato e continuativo», per me vuol dire un giorno uno, un giorno l’altro. Lo so, è un disagio. Ma quando uno arriva al divorzio è perché prende atto di un fallimento e lo Stato non deve permettersi di entrare dentro quel fallimento.
Ma questa “cattiva volontà” che lei ravvisa da cosa dipende?
Credo sia frutto di un irrigidimento culturale maturato negli anni ’60-’70: all’epoca la donna era sfruttata, vilipesa, non aveva le stesse opportunità, ma oggi le cose sono cambiate. Non possiamo più ipertutelare la donna o comunque lavarci la coscienza nel momento del divorzio. Quello è il momento in cui non esiste più il femminismo! Perché non ci si rende conto che c’è parità di doveri ma anche di diritti? Perché un uomo deve continuare a mantenere l’ex moglie ad libitum fino a che non trovi un altro matrimonio? Stiamo parlando di matrimoni o di rendite vitalizie? E comunque il concetto di fondo è: perché se io chiedo a un avvocato «Voglio l’affidamento del bambino», lui mi risponde «Scordatelo perché è impossibile»? Sul motto che vedo scritto in tribunale ci metterei un bel punto interrogativo: la legge è uguale per tutti? Poi vorrei dire un’altra cosa che mi sta a cuore.
Dica
Sarebbe bello che gli avvocati che avallano strategie processuali con false denunce nei confronti dell’altro genitore venissero radiati d’ufficio dall’albo e non potessero più esercitare. Io mi auguro che il Consiglio nazionale forense, che è un organismo di una serietà unica, prenda una netta posizione su quei pochi avvocati che vanno ben oltre i limiti imposti dalla deontologia professionale e che si prestano al gioco al massacro. Se vale per l’Ordine professionale di noi giornalisti, perché non deve valere per l’Ordine professionale degli avvocati?
In tutto questo, il figlio ha diritto di parola?
Fino a dodici anni, fintanto che non abbia capacità di discernimento, il figlio esiste poco o niente. E oggettivamente è uno stress. A volte inevitabile, purtroppo. Del resto cosa è meglio? Un genitore inadeguato o la sofferenza di un incontro con lo psicologo che però può aprire nuovi scenari a un bambino che soffre? Dei due mali bisogna scegliere il minore.
Lei darebbe al figlio la possibilità di esprimere i suoi sentimenti, quindi
Non parlo della mia situazione, sia chiaro. In generale dico che sì, se c’è un disagio, va fotografato e non messo sotto il tappeto.
Concorda con chi definisce questa come «una società senza padri»?
Sì, ma chi contribuisce a scriverla questa società senza padri? Le leggi.
Più giudici uomini, nella sua esperienza, o più donne?
Io ho sempre incontrato giudici donne. Ma devo dire che del provvedimento che mi riguarda posso solo dire bene, anche se il collocamento del bambino non è presso di me. Però noto una tendenza: se qualcuno insiste a chiedere l’affidamento del figlio, si paventa l’affidamento presso un istituto. C’è qualcosa che non va, allora, se a un genitore che vuol fare il genitore si preferisce un istituto. Ma dico, stiamo scherzando?
Lei ha contribuito all’istituzione di una casa d’accoglienza per padri separati a Roma
Sì, ho fatto da pungolo all’assessore alle Politiche sociali. Devo dire la verità: l’avevo fatto anche con la precedente giunta ma nessuno mi ha ascoltato. In questo caso da una donna, Sveva Belviso, ho ricevuto attenzione. E a proposito di donne, vorrei citare Rita Bernardini del Pd che l’8 settembre scorso ha fatto un’interrogazione parlamentare al ministro Alfano perché, secondo i dati che lei ha raccolto, i giudici non applicano la legge sul condiviso.
Il perché di tanti casi di accanimento delle ex mogli nei confronti dei padri dei loro figli?
Se gli avvocati sapessero di rischiare la radiazione dall’albo, non avrebbero più il malcostume di fabbricare false accuse.
Strategie a tavolino, quindi
Sì, esatto. E’ una prassi abbastanza consolidata.
Ma il movente della madre?
Ostacolare il condiviso per avere il controllo totale del figlio.
Coinvolti col padre in situazioni di questo genere, ci sono in genere i nonni paterni e altri familiari: anche loro subiscono un danno morale
E’ una violenza, uno stupro dei sentimenti. Su Facebook ho ricevuto tante mail di nonne e di nuove compagne di separati che testimoniano la propria sofferenza, così come di tante altre donne che si spezzano la schiena tutti i giorni al lavoro e che vedono la disonestà mentale di queste donne che usano il matrimonio per spolpare gli uomini. Ripeto: c’è disagio da una parte e dall’altra e c’è una legge che è riuscita a scontentare tutti, tranne gli avvocati.
Qual è il nocciolo della questione, dunque?
La legge sul condiviso dà per scontato che ci sia buon senso da entrambe le parti. Ma la legge non può obbligare un individuo al buon senso. Ci devono essere sanzioni pesantissime. Nei Paesi Bassi c’è l’arresto per il genitore che ostacola il rapporto con il figlio. Qui un genitore, quasi sempre la mamma, che fa altrettanto rischia, qualora un Pm non chieda l’archiviazione della denuncia, 103 euro di multa. Viceversa un genitore che, vittima di una crisi che c’è davvero anche se ci dicono che c’è la ripresa, non riesca a versare il mantenimento, va incontro doppo 15 giorni al pignoramento esecutivo. Due pesi e due misure.
La politica se ne occupa a sufficienza, secondo lei?
C’è bisogno di una politica vicina alle necessità della gente. I problemi sono altri: la disoccupazione, i nuovi poveri, queste emergenze. La disegna il futuro del Paese, perché i nostri figli sono il futuro. Se non ci mettiamo una pezza adesso, da qui a vent’anni che Paese avremo? Vogliamo avere un po’ di lungimiranza? La priorità è: fateci vedere i nostri figli, fateci ricominciare a vivere. E invece oggi in Italia divorziare significa tagliarsi i coglioni. Poi non tutti hanno la testa sulle spalle: io vorrei non leggere sui giornali che un padre uccide la figlia e poi si suicida. Stava male? E allora non doveva proprio vedere la figlia. Non stava male? E allora perché la vedeva solo un giorno a settimana?
Una deriva culturale di matrice cattolica?
Ma di quale famiglia stiamo parlando? Putroppo non più di quella mia d’origine, con un padre e una madre che sono rimasti insieme fino alla morte di lei, assistita al capezzale da tutti noi. Quella famiglia degli anni ’60, nella quale la donna rimaneva a casa, non c’è più. Oggi lavorano tutte e due. Credo che anche la Chiesa debba prendere una posizione su questo mare di dolore che c’è. Io ho cercato di riproporre quel modello di famiglia, ma evidentemente oggi non è più così facile. Non so se per colpa di un femminismo esasperato o di una presunta falsa parità dei diritti ma non dei doveri. Dico, pragmaticamente: c’è un problema, lo vogliamo affrontare in sede istituzionale, sì o no?
All’orizzonte c’è un impegno politico su questo fronte, per lei?
Non so, io amo molto il mio lavoro. ma se dovessi trovarmi nelle condizioni di allargare il mio impegno, per una questione di coerenza e di impegno sociale, probabilmente direi di sì. A patto che ci sia davvero la possibilità di portare avanti questa battaglia. Lo farei per coerenza, ripeto, e rispetto nei confronti di tutti quelli che mi scrivono, che mi fermano per strada e che ripongono fiducia in me. Ma fosse per me, vorrei continuare il mio lavoro, fare il padre e tornare a vivere.
Lorenza Provenzano