Botte: quando a prenderle è lui
La violenza non è un problema né femminile né maschile, ma umano. La professoressa Tove Ingebjørg Fjell dell’Università di Bergen, in Norvegia, ha condotto una ricerca sugli uomini che avevano subito abusi dai propri partners.”L’episodio peggiore è accaduto una volta, mentre leggevo il giornale seduto su di una sedia in soggiorno. C’erano anche i bambini. Lei mi disse di lavare i piatti immediatamente. Le risposi che lo avrei fatto appena finito di leggere il giornale. Lei allora venne in soggiorno, mi ha agguantò per i capelli facendomi cadere all’indietro sul pavimento, quindi, seduta sul mio petto, cominciò a colpirmi in faccia. I bambini che stavano vedendo cominciarono a piangere.”
esto è il racconto di uno dei dieci uomini intervistati da Tove Ingebjørg Fjell, che ha partecipato alla conferenza “Historier som ikke finnes” (“Storie che non sono mai avvenute”), tenutasi ad Oslo in novembre. Il tema era la violenza coniugale subita dagli uomini e Tove Ingebjørg Fjell presentò il suo progetto di ricerca “Å gå på nåler hele tiden” (“Camminando sulle uova)”, che intende concludere questa primavera.
La ricercatrice spiega che è stato molto difficile convincere gli uomini vittime delle violenze a parlare e raccontare cosa succedeva loro, perché temevano rappresaglie e vendette da parte delle mogli, magari lasciandoli e portando via i figli.
Quando poi hanno accettato di parlare, lo hanno fatto come fiumi in piena, senza fermarsi più, in senso positivo. Non c’era neanche bisogno di fare delle domanda, le storie fluivano da sole.
La violenza subita dagli uomini rappresenta uno spostamento del punto di vista del problema della violenza familiare: non è più l’uomo ad essere il carnefice ed il problema diventa indipendente dal sesso della vittima, ma legato all’essere umano.
Un altro racconto ci può aiutare a comprendere meglio alcune dinamiche del rapporto carnefice/vittima: “Non ricordo la prima volta, ma è come se tu vivessi in una zona dove passeggiare per le strade era molto pericoloso, ed ogni giorno qualcuno veniva e ti picchiava. Ma eri sopravvissuto e tutto ciò era diventato parte della tua vita quotidiana. Tu fai la spesa e compri la verdura tutti i giorni, ma non ti ricordi quale hai comperato due anni fa. E’ lo stesso con la violenza: semplicemente l’accetti e speri che passi.”
E’ così che una delle vittime ha descritto la la sua esperienza di vittima della violenza, a Tove Ingebjørg Fjell. E’ una descrizione comune, neutra dal punto di vista del genere sessuale dei partecipanti. L’analogia tra le storie di violenza da parte del proprio partner riguardanti maschi e femmine è proprio una delle principali scoperte dello studio di Tove Ingebjørg Fjell.
Le storie di questi uomini ricordano quelle di molte donne di cui si è trattato nella letteratura classica sugli abusi sulle mogli. Anche gli uomini sono picchiati, colpiti in testa con portacenere o minacciati con coltelli dalle persone con cui stanno.
La maggior parte di loro riporta episodi di violenza psicologica, come la moglie che continua a chiamare il marito per telefono per controllare cosa sta facendo, oppure quella che minaccia di divorziare se ha contatti con la propria famiglia di origine. Altre donne minacciano perfino di uccidere i bambini.
Dalle interviste è emerso che alcuni elementi sono comuni, caratteristici dei racconti degli uomini vittime di violenza coniugale.
C’è qualcosa nel modo in cui raccontano le loro storie, quasi sottotono. Gli uomini sono capaci di descrivere concretamente situazioni violente, ma non le chiamano violenza. Spesso dicono che avrebbero potuto gettare la compagna per terra; ma semplicemente non lo hanno fatto.
La Fjell mette questa tendenza in una prospettiva storica sottolineando che il concetto di violenza è in continua evoluzione.
Un uomo che avesse raccontato le stesse storie 60 o 40 anni fa non avrebbe parlato di violenza, ma oggi la riconosce come tale. Semplicemente ci vuole del tempo perché venga acquisito il linguaggio per descrivere la stessa azione nello stesso modo, per gli uomini e per le donne.
E poi gli uomini hanno meno storie di violenza grave rispetto alle donne ed hanno meno paura di essere uccisi dai rispettivi partner, rimane la paura di essere gravemente feriti.
Un’altra caratteristica comune agli uomini vittime è nel fatto di avere la tendenza a non farsi aiutare: nessuno ha contattato un centro di aiuto, anche se non ciò non era escluso a priori per il futuro. Un uomo poi ha posto le cose in questo modo: se avesse potuto rivolgersi a qualcuno di neutrale, che non avesse contatti con nessuno dei due, ci sarebbe andato, e questo avrebbe potuto anche essere di aiuto a delle donne che avrebbero potuto rendersi conto del fatto che la violenza colpisce anche gli uomini. Si sarebbero potuti aiutare a vicenda.
Quando invece la terapista da cui si recava regolarmente ha minimizzato la cosa mettendone in dubbio realtà e portata si è creato un grosso problema, e purtroppo il caso non è isolato. La paura di non essere creduta porta la vittima a rinchiudersi in modo sempre più terribile.
Lo studio e la conferenza su questo tema hanno avuto l’obbiettivo di rompere questo muro di silenzio in modo da fare emergere un problema negato perché poco noto e forse scomodo.
E il problema non è certo solo della Norvegia