Cassazione N.6919/16 – Svolta epocale in tema di Alienazione genitoriale
Svolta epocale della Corte di Cassazione in tema di Alienazione genitoriale con la sentenza della prima sezione civile n. 6919 dell’8 aprile 2016.
Con la sentenza n. 6919 /2016 la Cassazione statuisce che non compete alla Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche sulla PAS ( Sindrome di alienazione parentale ), ma spetta ai giudici invece capire e adeguatamente motivare sulle ragioni dell’ostinato rifiuto del padre da parte della figlia, utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia – incluso l’ascolto del minore – e anche le presunzioni , qualora un genitore denunci comportamenti ostativi dell’altro genitore affidatario o collocatario , che provocano l’allontanamento morale e materiale della prole da sé, condotte indicate come significative della presenza di una PAS .
È essenziale infatti secondo la Suprema Corte tenere conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale ricopre una grande importanza la capacità di garantire la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore , onde tutelare in maniera effettiva e concreta il diritto del minore alla bigenitorialità e ad una sana crescita equilibrata ; infatti è fondamentale per la prole poter intrattenere rapporti costanti e significativi con entrambe le figure genitoriali , che sono importanti per un sereno e idoneo sviluppo della personalità in itinere .
Nel caso di specie il tutto trae origine dalla fine di una convivenza : la madre lasciava la residenza comune e portava via con sé la figlioletta nata dalla relazione con l’ex compagno.
Il Tribunale per i Minorenni di Milano , con decreto del 27 marzo 2006 disponeva l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, collocandola presso la madre e affidando ai servizi sociali il monitoraggio della situazione. Con successivo decreto del 18 novembre 2008 il Tribunale per i Minorenni prescriveva alla minore un trattamento psicoterapeutico, rilevato il suo atteggiamento di netto rifiuto della figura paterna. Ma in questa circostanza la definizione concreta del trattamento veniva lasciata alla madre, incurante di rispettarla.
Con successivo decreto del 10 dicembre 2011 il Tribunale per i Minori , rigettando le richieste del padre , che sosteneva che il rifiuto della figlia nei suoi confronti era causato da una PAS posta in essere dalla madre con la sua campagna di denigrazione verso la figura paterna, confermava il precedente decreto, attribuendo il disagio della ragazza nel rapportarsi con il padre a degli imprecisati comportamenti del padre percepiti dalla figlia come invasivi della propria sfera individuale, rigettando pertanto le articolate richieste paterne di nuovi accertamenti peritali.
Il padre proponeva pertanto reclamo presso la sezione Minori della Corte di Appello di Milano, insistendo su nuove indagini peritali che accertassero le ragioni dell’ostilità della figlia nei suoi confronti e aiutassero la ripresa dei rapporti padre-figlia. Ma la Corte di Appello con decreto del 17 dicembre 2013 confermava l’affido condiviso ed il collocamento della minore presso la madre e la situazione purtroppo non mutava, mentre l’ostilità della figlia nei confronti del padre si aggravava.
In una situazione così insopportabile e grave per un genitore rifiutato costantemente dalla propria figlia e che vedeva violato sia il suo diritto ad essere padre ex art. 29 della Costituzione che, soprattutto, il diritto alla bigenitorialità della minore, non rimaneva altro da fare che proporre ricorso per Cassazione, con cui si denunciava, in primis, la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c. – sostituito dopo la riforma con l’art. 337 ter c.c. – la inosservanza pertanto di quel fondamentale ed imprescindibile principio della bigenitorialità , cioè del diritto della figlia di poter crescere avendo accanto costantemente ed in maniera significativa entrambe le figure genitoriali , che si prendano cura di lei, la assistano, la mantengano e la educhino. Inoltre veniva contestato l’omesso esame di fatti decisivi , cioè del non aver preso il giudicante in seria ed adeguata considerazione la condotta della madre, che aveva impedito in tutti i modi il rapporto della figlia con il padre e che, altresì, mai era intervenuta in maniera adeguata quando la minore esternava atteggiamenti ostili nei confronti della figura paterna e, altresì, di non aveva ritenuto la convivenza della figlia con la madre quale insanabile impedimento al suo riavvicinarsi alla figura paterna.
Tale gravissima situazione pertanto andava a ledere il diritto alla vita familiare tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché in una situazione così delicata l’ omesso l’espletamento di accertamenti specifici volti ad individuare l’esistenza di una PAS era sintomatico nel giudice di merito di una ingiustificata ed aprioristica posizione negazionista dell’alienazione genitoriale, che aveva l’ effetto preclusivo di tutelare in primis il diritto alla bigenitorialità della minore ed il diritto-dovere del padre in quanto tale. Denunciava lo stesso che in conseguenza di ciò la Corte di merito non aveva effettuato quelle opportune e doverose indagini sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia nei suoi confronti , attribuito , senza alcun fondamento e in mancanza anche di una prova indiziaria, ad ipotetici “comportamenti inadeguati ” tenuti dal padre nei confronti della figlia e, pertanto, non aveva adottato le idonee misure finalizzate a ristabilire i contatti della stessa con la figura genitoriale paterna, disponendo sic et simpliciter l’interruzione dei rapporti con il padre adducendo che la minore era ” a rischio evolutivo”
La Corte di Cassazione con la decisione in esame ha accolto il ricorso del genitore, osservando, in particolare che la Corte di Appello , nell’ ordinare l’interruzione della frequentazione padre-figlia , in ragione dell’avversione professata dalla stessa nei confronti del genitore , lo aveva in sostanza escluso dalla vita della minore solamente in base ad una acritica adesione del giudicante alla conclusioni finali del c.t.u. trascurando le specifiche censure avanzate dal padre. Ed infatti – sostiene la Corte di Cassazione – il giudice può aderire alle conclusioni del ctu senza essere onerato di una specifica motivazione ad eccezione che queste non formino oggetto di specifica censura, come nel caso di specie.
E sostiene ancora la Corte di Cassazione che in tema di affidamento di figli minori il giudizio prognostico deve essere effettuato nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, esaminando la capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione creatasi a seguito della disgregazione dell’unione , tenendo nel dovuto conto , in base ad elementi oggettivi, il modo in cui i genitori in precedenza hanno svolto i propri compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, la loro personalità , l’ambiente sociale e familiare che ciascuno di loro può offrire alla prole, fermo restando in ogni caso il rispetto del principio della bigenitorialità, che deve essere inteso come presenza affettivo – relazionale di entrambi i genitori nella vita dei figli, in modo da garantire loro una stabile e salda relazione emotiva con entrambi i genitori, che hanno il dovere di collaborare per la loro cura, assistenza, educazione e istruzione ( in conformità Cassazione n. 18811/2015). Pertanto afferma la Suprema Corte che trai requisiti di idoneità genitoriale , ai fini dell’affidamento o collocamento della prole, è rilevante accertare la capacità dei genitori di individuare i bisogni dei figli, tra i quali , in primis si evidenzia la capacità di riconoscere le loro esigenze affettive, che si identificano anche nella capacità di “preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare , al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore”.
Pertanto – conclude la Cassazione – non è compito del Giudice emettere giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche della PAS, mentre compete ai giudici di merito motivare sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia e verificare in concreto l’esistenza dei comportamenti , denunciati da parte paterna , finalizzati all’allontanamento fisico e morale della figlia minore posti in essere dall’altro genitore: il giudice di merito, a tal fine,” è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti“, utilizzando i comuni mezzi di prova e anche le presunzioni ed a motivare adeguatamente , tenendo nel dovuto conto pertanto l’importanza rivestita tra i requisiti dell’idoneità genitoriale della capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto della figlia alla bigenitorialità e, di conseguenza, alla sua crescita equilibrata e serena. Quindi la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata dal padre con rinvio alla Corte di Appello di Milano, sez. Minorenni, in diversa composizione .
È una sentenza molto importante, perché evidenzia come finalità fondamentale delle pronunce sull’affidamento della prole è preservare il diritto alla bigenitorialità, inteso come esigenza primaria e fondamentale del minore di ricevere affetto, cura, attenzione, educazione e istruzione da entrambi i genitori, che, anche in situazioni altamente conflittuali, devono deporre le armi di belligeranza e attenzionare gli interessi primari dei loro figli, avendo costantemente la consapevolezza che genitori responsabili si dovrà essere per tutta la vita e, soprattutto , negli anni nei quali i figli , essendo minori, ancora di più avranno bisogno di rapporti affettivo-relazionali equilibrati e sereni con i loro genitori per una loro sana e armoniosa crescita psicofisica .
Avv. Margherita Corriere
Presidente AMI Sez. Distrettuale di Catanzaro
Fonte://www.ami-avvocati.it