Il trascorrere del tempo nell’attuazione del diritto di visita porta a una sicura condanna da Strasburgo
Il carattere adeguato di una misura volta ad assicurare l’effettiva realizzazione del diritto al rispetto della vita familiare, quando è in gioco il rapporto con il minore, va valutato tenendo conto della rapidità nell’attuazione concreta.
Se, malgrado una pronuncia interna che riconosce il diritto di visita di un padre, passano più di otto anni senza che i contatti si stabilizzino è certa la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
E’ senza equivoci il verdetto di Strasburgo nella sentenza di condanna all’Italia depositata il 23 giugno (ricorso n. 53377/13, CASE OF STRUMIA v. ITALY). A rivolgersi a Strasburgo il padre di una bambina che, dopo il divorzio, non aveva più potuto avere contatti con la figlia. Denunciato dalla ex moglie per abusi sulla minore era stato assolto da tutte le accuse, ma la donna aveva frapposto continui ostacoli alle visite del padre. Malgrado le sentenze che hanno dato ragione al padre e le richieste ai servizi sociali per organizzare gli incontri, il diritto di visita non è stato realizzato in modo effettivo.
La Corte europea riconosce che, in via generale, l’articolo 8 serve ad evitare ingerenze arbitrarie nella vita privata e familiare, ma esso impone anche l’adozione di misure positive per favorire l’effettiva realizzazione del diritto.
Di conseguenza, gli Stati devono predisporre un arsenale giuridico adeguato e sufficiente ad assicurare la piena realizzazione dei diritti degli interessati. Nel caso in esame, secondo la Corte europea, le misure decise dai tribunali sono state automatiche e stereotipate. Con la conseguenza che le autorità nazionali, con la loro inerzia, hanno lasciato consolidare la grave situazione. Eppure, scrive la Corte, nell’ambito dei legami familiari, il trascorrere del tempo senza contatti produce conseguenze irrimediabili in particolare quando è in gioco l’interesse superiore del minore. Pertanto, nel non garantire l’applicazione effettiva di misure adeguate volte a superare l’ostilità della madre della bambina e assicurare le visite del padre, l’Italia ha violato la Convenzione e, in particolare gli obblighi positivi che derivano dall’articolo 8, incluse le misure preparatorie che servono ad assicurare i diritti. Tenendo conto, inoltre, che la mancata cooperazione di uno dei genitori non dispensa le autorità competenti dall’adozione di tutte le misure suscettibili di assicurare il mantenimento del legame familiare. Lo Stato è stato condannato anche a pagare 15mila euro per i danni morali subiti dal ricorrente.