Cassazione N.25531/16 – Dovere di mantenimento dei figli: no a tetti massimi definitivi
Cass. Civ., Sez. VI – 1, ordinanza 13 dicembre 2016 n. 25531 (Pres. Dogliotti, rel. Genovese)
Mantenimento dei figli – Elementi da valutare – Fissazione di un tetto massimo definitivo – Esclusione (art. 337-ter c.c.)
Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all’art. 147 cod. civ., impone ai genitori, anche in caso di separazione (o di divorzio), di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma…..… inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 cod. civ.,non solo dalle “rispettive sostanze”, ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali.». Con la conseguenza che non può porsi e risolversi una volta e per tutte, in astratto, quale sia la misura massima di quantificazione dell’assegno da corrispondere per il mantenimento del figlio, dovendo esso commisurarsi alle risorse e alle capacità reddituali dei genitori nonché alle esigenze di vita estese agli aspetti appena menzionati, proporzionati all’età del figlio non autosufficiente che ancora abbisogna dell’ausilio genitoriale.
Fatto e diritto
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Con sentenza in data 12 gennaio 2015, la Corte d’Appello di Napoli, ha parzialmente accolto l’appello principale proposto dal signor F.L., dichiarando cessata la materia del contendere in ordine all’addebitabilità della separazione e all’assegno di mantenimento del coniuge, revocato nella statuizione relativa all’assegno mensile in favore di quest’ultimo, ed ha rigettato nella parte restante il detto appello, oltre che quello incidentale proposto dal coniuge, signora M.L., con compensazione delle spese giudiziali.
La Corte territoriale ha, quindi, confermato – per quello che ancora interessa e rileva – la decisione di prime cure relativa all’assegno di mantenimento del figlio L. ed al sequestro conservativo ex art. 156 c.c. dei beni mobili ed immobili del signor L., sino alla concorrenza del valore di € 700.000,00.
Avverso la decisione della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione il sig. L., con atto notificato il 29-30 giugno 2015, sulla base di tre motivi (violazione e falsa applicazione dell’art. 132n. 4 c.p.c. e omesso esame di un fatto storico decisivo, mancanza insufficiente e illogicità della motivazione).
La signora M. ha resistito con controricorso.
Il ricorso, che merita una congiunta trattazione del primo e secondo mezzo di doglianza, relativi alla statuizione del sequestro conservativo, ex art. 156 C.C., appare, in parte qua, manifestamente inammissibile giacché il ricorso è in palese contrasto con il principio di diritto enunciato da questa Corte
(Sez. 1, Sentenza n. 1518 del 2012) e secondo cui «È inammissibile il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. avverso l’ordinanza della corte d’appello di rigetto del gravame proposto avverso il decreto di sequestro ex art.156 cod. civ., trattandosi di provvedimento di natura cautelare, non decisorio, né definitivo. ».
La terza doglianza è altresì inammissibile in quanto essa non censura neppure la (pervero doppia) ratio decidendi in essa contenuta.
Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto al limite dell’ammissibilità l’appello in quanto in esso nulla si sarebbe dedotto in ordine al principio di proporzione dell’adempimento degli obblighi genitoriali verso il figlio (ex art. 316-bis c.c.) ed alla mancata contestazione delle «rilevantissime capacità patrimoniali e ai notevoli redditi dal medesimo
[genitore] conseguiti» (p. V della sent.), sicché il fatto che il ricorrente, con l’odierno ricorso, torni a reiterare circostanze di fatto e ad invocare criteri di proporzione, a suo dire non osservati, nella quantificazione dell’assegno, senza che sia censurata la riportata motivazione, e in modo autosufficiente, indicando cioè il «se, come, dove e quando» le contrarie deduzioni siano state svolte nel giudizio di gravame, rende il mezzo non esaminabile. In ogni caso, questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 6197 del 2005) ha indicato al giudice di merito la necessità di conformarsi al principio di diritto secondo cui «Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all’art. 147 cod. civ., impone ai genitori, anche in caso di separazione (o di divorzio), di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale,alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 cod. civ.,non solo dalle “rispettive sostanze”, ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali.». Con la conseguenza che non può porsi e risolversi – come sembra sostanzialmente chiedere il ricorrente – una volta e per tutte, in astratto, quale sia la misura massima di quantificazione dell’assegno da corrispondere per il mantenimento del figlio, dovendo esso commisurarsi alle risorse e alle capacità reddituali dei genitori nonché alle esigenze di vita estese agli aspetti appena menzionati, proporzionati all’età del figlio non autosufficiente che ancora abbisogna dell’ausilio genitoriale.
Tutte questioni che non risultano essere state poste nella fase di merito (secondo la sentenza impugnata ed in assenza di idonee ed autosufficienti deduzioni, da parte del ricorrente) e che, pertanto, non possono essere qui esaminate, per la prima volta, al pari della questione della suddivisione in sé dell’assegno, eseguita dal giudice di merito (di prime e seconde cure), tra la parte corrisposta direttamente al figlio e la parte pagata al coniuge convivente. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale, ai sensi degli artt. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c., apparendo il ricorso – con riferimento ai mezzi sopra precisati – manifestamente infondato.».
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale risultano essere state mosse osservazioni: critiche, da parte del ricorrente, e adesive, da parte della resistente; che con riguardo alla richiesta di riesame della proposta di inammissibilità dei primi due mezzi dì ricorso, in un caso, come questo, in cui si afferma la pressoché totale mancanza della motivazione del provvedimento cautelare, deve affermarsi che la questione è astratta e comunque suscettibile di trovare soluzione nell’ambito dei doveri giudiziali e delle sue varie forme di responsabilità; che, in ordine agli altri due mezzi ed alla mancata censura della ratio decidendi contenuta nel provvedimento impugnato, la memoria equivoca ulteriormente, riportando i passi del ricorso per cassazione in cui le necessarie argomentazioni sono state (ma solo ora) riportate, anziché indicare – come era rilevante e decisivo – gli atti del giudizio di appello in cui quelle dovevano ed erano state svolte, nell’ipotetico contrasto con quanto invece affermato dal giudice di merito; che, perciò, il ricorso, permane nella sua condizione di manifesta infondatezza, e deve essere respinto, in ossequio al principio di diritto sopra richiamato; che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, senza che sia dia luogo al raddoppio del contributo unificato, trattandosi di procedimento esente in ordine all’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma diciassettesimo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (statuizioni relative ai figli); che, ai sensi dell’art.52 D. Lgs. n.198 del 2003, deve disporsi che siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.
La Corte,
Respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 8.100,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
Dispone che, ai sensi dell’art.52 D. Lgs. n.198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.