Affido condiviso: la Cassazione torna indietro di mezzo secolo
In una recente ordinanza, non discutibile nel merito, la Suprema Corte definisce i criteri dell’affidamento riproducendo i principi del secolo passato
di Marino Maglietta – Di recente il Sommo Pontefice è intervenuto severamente per censurare la tendenza di una parte della magistratura ad avvalersi di “una giurisprudenza, che si autodefinisce “creativa”, che “si inventa un diritto privo di qualsiasi fondamento giuridico”. In effetti, tuttavia, per la giurisprudenza detta creativa può definirsi un campo di esistenza, di tipo anticipatorio, che attiene ad aspetti che il diritto non ha ancora trattato. Minori motivi di giustificazione trovano, invece, quegli interventi, ancora più sorprendenti, che non trovano fondamento nelle norme in vigore, pur esistenti, e che anziché in avanti volgono lo sguardo al passato; anche remoto. Sembra questo il caso dell’ordinanza n. 28244, del 4 novembre 2019.
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Nessuna perplessità, va chiarito subito, sulla conclusione operativa. Realmente sembrano sussistere abbondanti motivi per escludere quel padre dall’affidamento. Ma questi sono aspetti di merito, che interessano la Suprema Corte solo di riflesso. Il problema nasce proprio laddove il giudicante si spinge a teorizzare la propria decisione, dettando regole generali destinate a influire sugli orientamenti al primo e secondo livello. Il che suscita non lievi preoccupazioni.
Dalla bigenitorialità alla ricerca del “genitore più idoneo“
Si leggono, infatti, nell’ordinanza una serie di considerazioni che, per quanto abbiano l’apparenza del buonsenso, fanno immediatamente percepire un sapore di antico. Come spesso avviene, la Cassazione richiama se stessa e i propri precedenti, concludendo che “in materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale (…) rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole” (dove il taglio è della Cassazione). E fin qui, più o meno ci siamo, poiché si resta in un ambito così generico che può contenere di tutto. Purtroppo ciò che si intende viene precisato subito dopo: “privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.”
In altre parole, il minore non ha più il diritto indisponibile alla bigenitorialità, da ricercare prioritariamente salvo residuali eccezioni, ma il suo interesse si realizza attraverso un rapporto non equilibrato, ma particolarmente stretto con il genitore “più idoneo”. Appare, quindi, evidente la distanza epocale di un criterio del genere dalla filosofia di un affidamento che prevede che di regola i due genitori siano investiti degli stessi diritti e doveri, seguendo le chiarissime indicazioni dell’art. 30 della Costituzione. Un affidamento, in aggiunta, che ai sensi delle norme da tempo in vigore, prevede l’esclusione di un genitore – e quindi la discriminazione tra i due – solo se quel genitore sia, comprovatamente, di potenziale pregiudizio per i figli per sue gravi carenze (v. Cass. 16593/2008, secondo cui la scelta del regime di affidamento deve avere una “motivazione non piu’ solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale”.
Altro motivo di distinzione non esiste, così come non esistono – secondo le norme oggi in vigore – differenze operative, di ruolo, tra i genitori in regime condiviso.
Giova precisare subito che proprio su questo aspetto – passaggio dalla ricerca del “genitore più idoneo” anche tra due entrambi idonei alla investitura giuridicamente paritetica di “entrambi i genitori”, salvo dimostrata pericolosità di uno dei due – ci si è a lungo confrontati nell’arco di ben 12 anni e 4 legislature, approdando alla scelta del modello attuale, per cui ripiegare sull’antico non costituisce un dettaglio, ma una violazione delle basi stesse del cambiamento del 2006 e della volontà del Parlamento.
I contenuti antichi del provvedimento di oggi
Insiste, infatti, Cass. 28244, che incrementa, proseguendo, la distanza concreta oltre che di principio dall’istituto introdotto nel 2006: “L’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore.” Ovvero, addirittura a ben guardare il genitore è chiamato a rispondere in negativo sia di una sua eventuale precedente scarsa presenza materiale in famiglia (anche giustificatissima: pensiamo al camionista o alla assistente di volo), sorvolando sulla drastica discontinuità che la separazione introduce, per cui il più presente può diventare il meno presente e viceversa, sia del basso grado di benessere che potrà offrire al figlio, magari in conseguenza della penalizzazione economica frutto della medesima decisione del giudice. E così facendo in sostanza si capovolge l’onere della prova: anziché doversi dimostrare il potenziale pregiudizio che il figlio può subire da un genitore se affidatario è quel genitore che deve giustificarsi e fare promesse per il futuro…
In definitiva, alla configurazione, alla investitura di pari dignità prevista dalla riforma del 2006, con residuali situazioni di inapplicabilità dell’affidamento condiviso, la Suprema Corte contrappone la ricerca, sempre e comunque, di un genitore “più idoneo”, da “privilegiare”. Inevitabilmente a questo punto viene un dubbio: forse si stanno riproponendo i criteri antichi, seguiti al tempo in cui era soluzione ordinaria l’affidamento esclusivo…
Le prove del ritorno al passato
E se ne trova puntuale conferma risalendo alla versione completa del precedente citato – virgolettandolo – dall’ordinanza stessa, che già di per sé desta sospetto, essendo stato redatto in data 29 maggio 2006, ossia appena un mese circa dopo l’introduzione della legge 54/2006 (Cass. 14840/2006, rel. Bonomi, pres. Luccioli). Si rispondeva in tal caso all’istanza di un padre che chiedeva “l’affidamento esclusivo della figlia ovvero, in subordine, l’affidamento congiunto“, nei termini seguenti: “Questa Corte ha affermato che in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio posto, per la separazione, dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, nell’art. 155 comma primo cod.civ. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da un evento comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze morali, materiali e psicologiche (Cass. 19 aprile 2002, n. 5714). ” Con il resto anch’esso identico a Cass. 28244/2019. Viene dunque qui riempita l’omissione della più recente ordinanza laddove si cita la fonte, aspetto quanto mai interessante per comprendere se si sia tenuto conto del mutamento legislativo del 2006 oppure lo si sia ignorato, e radicalmente. Fonte che a sua volta rimanda al 2002, permettendo di fugare il dubbio residuo che poteva rimanere grazie all’intervallo – sia pure brevissimo – tra il 16 marzo (entrata in vigore della L. 54/2006) e il 29 maggio 2006 (redazione di Cass. 14840), che poteva teoricamente consentire di identificare il “legislatore della riforma del diritto di famiglia” nella pronuncia a favore dell’affidamento condiviso.
Ulteriori e definitive prove
Dubbio rapidamente superato dall’ulteriore passo indietro, a Cass. civile sez. I – 19/04/2002 n. 5714 (Dott. Maria Gabriella Luccioli rel. Consigliere).
La fattispecie riguardava un padre che censurava un precedente provvedimento “per aver disciplinato il suo diritto di visita nei fine settimana in termini contrastanti con l’interesse della minore ad un valido e continuativo rapporto con la figura paterna e tali da impedire, con l’esclusione di ogni possibilità di pernottamento, qualsiasi quotidianità, confidenza e familiarità tra padre e figlia“. Nel respingere la richiesta venivano utilizzati ancora le medesime, pressoché identiche, espressioni: “Come è noto, in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale – posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell’art. 155 comma 1 c.c. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche (v. per tutte Cass. 1999 n. 6312; 1997 n. 10791) “. E’, quindi, indubbio, per la proprietà transitiva dell’uguaglianza, che il legislatore che ispira il giudicante del 2019 è lo stesso cui si riferisce quello del 2002, ovvero il redattore delle freschissime norme del 1975.
Mezzo secolo fa, con nel mezzo, tuttavia, una riforma definita “Rivoluzione copernicana“. Come nel Gattopardo: “Cambiare perché nulla cambi“.
Se, poi, la curiosità spingerà qualcuno a verificare i contenuti di Cass. 6312/1999 (rel. Luccioli) vi troverà ancora le fatidiche frasi: “È noto che in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale – posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell’art. 155 comma 1 c.c. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche“.
Naturalmente, la notevole rilevanza dell’ordinanza in esame discende dalla sua perfetta aderenza a una prassi consolidata. Non si tratta di un distratto, isolato provvedimento, ma della involontaria ufficializzazione di ciò che sta nei contenuti di quella ancora prevalente giurisprudenza che in inizio si è detta “creativa” e della incontestabile dimostrazione della sua appartenenza ad altra cultura e ad altro secolo rispetto al nostro. Ad essa appartengono, ad es., la sistematica introduzione di un “genitore collocatario”, il permanere del “diritto di visita” e l’altrettanto dominante rifiuto del mantenimento diretto a favore dell’assegno.
Il lettore vorrà perdonare l’estensore di questa nota se sono state ripetute fino alla noia le medesime formulazioni, ma ciò era necessario per mettere inconfutabilmente sotto gli occhi le relative prove: era “la pistola fumante”.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/36656-affido-condiviso-la-cassazione-torna-indietro-di-mezzo-secolo.asp