Le ragioni a sostegno della riforma Pillon
Visto e messo a disposizione
Questo documento è stato redatto dal prof. Pierluigi Mazzamuto (docente di diritto civile presso l’Università di Palermo), dall’avv. Carlo Piazza (familiarista), dall’avv. Marcello Adriano Mazzola (familiarista) e dal dott. Vittorio Vezzetti (pediatra), con il coordinamento e la supervisione del prof. Arturo Maniaci (docente di Istituzioni di diritto privato e di diritto minorile presso l’Università degli Studi di Milano), contenente osservazioni in replica al documento redatto in data 30 ottobre 2018dagli avv.ti Daniela Bianchini, Margherita Prandi Borgoni e Eva Sala per conto del Centro Studi Livatino.
Il disegno di legge Atto S. 735 (di iniziativa di nove senatori dell’attuale maggioranza parlamentare, fra cui l’on. Simone Pillon, che ne risulta primo firmatario), comunicato alla Presidenza del Senato il 1° agosto 2018, che ha già formato oggetto di ampia e accesa discussione presso gli organi di stampa, si propone come riforma che innova profondamente il diritto di famiglia, segnatamente per quanto concerne la disciplina della crisi di coppie (coniugate o non coniugate o non più coniugate) con figli. Le questioni maggiormente dibattute e i principali contenuti del disegno di legge riguardano gli strumenti di attuazione del principio di bigenitorialità nel contesto della crisi della coppia genitoriale, fra cui i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare (mediazione familiare e coordinazione genitoriale), le modalità e i tempi di frequentazione dei figli, il mantenimento diretto della prole, la sorte della casa familiare, la lotta al fenomeno dell’alienazione parentale, nonché altri istituti, a tutela del minore.
Il presente documento racchiude osservazioni, svolte da esperti qualificati appartenenti a diversi settori del sapere (avvocati, pediatri, docenti universitari), ma accomunati da una consolidata esperienza professionale o da una acclarata competenza scientifica in materia di diritto di famiglia, e che hanno lo scopo di far emergere ed illustrare le ragioni di infondatezza delle criticità e contrarietà evidenziate nella memoria (visibile integralmente qui, ndr) redatta dagli avv.ti Daniela Bianchini, Margherita Prandi Borgoni e Eva Sala per conto del Centro Studi Livatino in data 30 ottobre 2018.
Per comodità espositiva, si seguirà il medesimo ordine logico con cui le questioni sono state ivi poste e trattate.
1. La mediazione familiare e la coordinazione genitoriale
1.1. In generale
È ormai da tempo acclarato, in ambito nazionale, europeo e internazionale, che la mediazione familiare svolge un ruolo di fondamentale importanza nella gestione delle situazioni di crisi della famiglia, con riguardo sia agli aspetti relazionali sia agli aspetti economico-patrimoniali, favorendo una pacifica, condivisa ed equa regolamentazione sia dei rapporti tra coniugi, ex coniugi o conviventi, sia, soprattutto, tra questi e i loro figli.
Il mediatore familiare, infatti, quale professionista terzo e imparziale, assiste e coadiuva i componenti della coppia genitoriale nella ricerca di un accordo per la risoluzione della controversia familiare, aiutandoli a ripristinare i canali di comunicazione interrottisi e responsabilizzandoli a ricercare liberamente un accordo volto alla miglior cura e protezione dei figli, senza mai assumere decisioni in luogo delle parti.
Il disegno di legge Atto S. n. 735 (in seguito, per brevità, “ddl”) si fa apprezzare nel suo lodevole tentativo di introdurre una disciplina organica della mediazione familiare, sia quale professione che necessita (e da lungo tempo si era in attesa) di idonea regolamentazione normativa, sia quale strumento di risoluzione dei conflitti familiari che opera all’esterno e/o all’interno dei procedimenti di separazione e di divorzio, specialmente in presenza di coppie con figli minori. Anzi, il mediatore viene additato dal futuro legislatore come la figura più idonea ad aiutare i genitori nella redazione del “piano genitoriale”, e cioè del progetto relativo alle future scelte educative della prole (cfr. art. 13 ddl).
La tutela dell’interesse del minore e del suo fondamentale diritto alla bigenitorialità è, infatti, uno dei principali obiettivi che l’istituto della mediazione familiare si prefigge nel gestire il conflitto in atto tra i genitori, in linea con i principi consacrati nelle più importanti convenzioni internazionali e sovranazionali, in primis la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 (ratificata dall’Italia nel 1991) e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996 (ratificata dall’Italia nel 2003).
1.2. L’obbligatorietà della mediazione familiare
Il ddl intende colmare un’evidente lacuna del legislatore italiano, che, nonostante le direttive e raccomandazioni dell’Unione europea in materia di mediazione civile, ha fino ad oggi incomprensibilmente omesso di prevedere l’obbligatorietà del primo incontro informativo di mediazione in materia di diritto di famiglia, settore che coinvolge la vita delle persone in modo molto più incisivo che in altri settori e nel quale si rendono necessari strumenti di soluzione del conflitto proprio a tutela dei soggetti più deboli, in primo luogo i minori, i quali per lo più subiscono passivamente le conseguenze pregiudizievoli delle crisi conflittuali tra i propri genitori, con gravi ripercussioni sul loro equilibrio psico-fisico.
Il percorso di mediazione familiare ha pertanto come obiettivo (cfr. art. 3 ddl) il raggiungimento di un accordo tra i genitori che sia il più possibile rispettoso dell’interesse dei figli minori, dei loro bisogni e diritti fondamentali, fra cui, anzitutto, quello alla bigenitorialità, ossia a mantenere una relazione equilibrata e continuativa con il proprio padre e con la propria madre, anche dopo la separazione o il divorzio1: un accordo rispettoso delle esigenze primarie dei minori, giacché il mediatore familiare aiuta le parti a comprendere l’importanza dei propri distinti e complementari ruoli genitoriali, avendo speciale riguardo agli interessi della prole.
La mediazione familiare, di cui dunque viene reso obbligatorio il primo incontro informativo, diviene pertanto uno strumento necessario e ineludibile nei procedimenti di separazione e divorzio, al fine di prevenire, elidere o attenuare la conflittualità tra le parti, trasformandola in una rinnovata capacità di raggiungere accordi e di collaborare quali genitori responsabili dell’educazione, della crescita equilibrata e della salute psico-fisica dei propri figli.
Rendendo obbligatorio solo ed esclusivamente il primo incontro informativo (peraltro, caratterizzato da gratuità: v. art. 4 ddl), viene così salvaguardata sia la corretta funzionalità dell’istituto sia libertà da condizionamenti, posto che i genitori sono liberi di intraprendere o proseguire tale percorso (il cui limite temporale è fissato dall’art. 3, comma 4, ddl: massimo 6 mesi), avendo ciascuno di essi la facoltà di porvi fine in qualsiasi momento (v. art. 3, comma 3, ddl).
Le critiche mosse nel documento del Centro Studi Livatino sono, quindi, infondate, posto che il ddl in esame non impone affatto di seguire l’intero percorso di mediazione, ma di partecipare al primo incontro informativo e gratuito.
Non è sostenibile neppure la critica in ordine all’aver fatto assurgere il primo incontro di mediazione al rango di condizione di procedibilità, visto che, in mancanza di una sanzione processuale, sarebbe molto semplice per le parti omettere l’adempimento e vanificare il senso della riforma.
In relazione alle situazioni di particolare gravità, poi, come nelle ipotesi di violenza endofamiliare o abusi (che sono comunque residuali, considerato che ogni giorno si registrano in Italia 480 separazioni e divorzi, cui si aggiungono almeno 150 separazioni di coppie di fatto, e che sono comunque contemplate dal ddl come causa di esclusione dell’affidamento condiviso), in cui la mediazione non è praticabile, come previsto dall’art. 48 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, ferme le tutele penali e quelle parapenali rappresentate dagli ordini di protezione della vittima, sarà dovere del mediatore non avviare o interrompere il procedimento di mediazione, certificando la non mediabilità della coppia per la sussistenza di violenze domestiche o abusi in famiglia o comunque assicurando (come avviene, ad esempio, in Austria) che non avvenga un incontro fra la vittima e l’autore della violenza o dell’abuso. Del resto, è significativo che, anche dopo la ratifica ed esecuzione della Convezione di Istanbul da parte dell’Italia (avvenuta con l. n. 77/2013), non sia venuto meno il tentativo di conciliazione che l’art. 708 cod. proc. civ. e l’art. 4 l. n. 898/1970impongono come incombente obbligatorio a carico del giudice nei giudizi di separazione e di divorzio.
In ogni caso, nella grande maggioranza dei casi, destinati ulteriormente ad aumentare per effetto dell’applicazione del principio della pariteticità dei tempi di frequentazione dei figli (che scoraggia episodi di violenza familiare), la previsione del passaggio della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del giudizio costituirà, per un verso, un efficace deterrente all’instaurarsi e/o protrarsi indefinito di conflitti tra i genitori e, per altro verso, l’occasione, ancor oggi pressoché sconosciuta alla maggioranza delle famiglie italiane, per affrontare la controversia in modo riservato e pacifico, con l’ausilio di un esperto dei conflitti, il quale aiuterà i genitori a raggiungere un accordo che realmente soddisfi gli interessi di entrambi e, in special modo, quelli della prole.
È, peraltro, evidente che l’alta conflittualità e le violenze domestiche potrebbero essere spesso prevenute proprio grazie al tempestivo utilizzo della mediazione familiare, quale percorso che educa o rieduca le parti al dialogo e al rispetto reciproco della persona e del ruolo genitoriale (materno o paterno) che le compete2: circostanza di cui i redattori del ddl mostrano consapevolezza (v. art. 1, comma 2, lett. i, punto 2, ddl).
Anzi, nell’ambito della famiglia, l’obbligatorietà del passaggio della mediazione, già prevista in vari ordinamenti stranieri3, si rende più necessaria che nella mediazione dei rapporti civili e commerciali, già disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010, in quanto è coinvolta direttamente la vita e la salute delle persone che in essa esprimono la loro personalità, ed è del tutto evidente come da questo punto di vista l’ordinamento italiano sia rimasto indietro rispetto a molti Paesi europei ed extraeuropei, dove la mediazione familiare è da decenni una prassi consolidata4.
E ciò, in quanto è meglio evitare, finché sia possibile, di intraprendere o proseguire un giudizio, con tutte le conseguenze negative, in termini di costi economici ma soprattutto umani, che questo può comportare per la famiglia e in particolare per i soggetti più deboli, ossia i minori, che troppo spesso finiscono per diventare oggetto di contesa e di continue rivendicazioni tra i genitori in perenne conflitto tra loro per via della consolidata prassi, potenzialmente dannosa per la salute psico-fisica dei figli, di affrontare la controversia a suon di ricorsi e controricorsi giudiziari, che non contribuiscono a quella serena e pacifica riorganizzazione delle relazioni familiari che soltanto un percorso riservato di mediazione familiare può garantire.
Non solo. Ma tutte le volte in cui, grazie alla capacità del mediatore di favorire un clima di dialogo costruttivo e responsabile, la controversia si definisca con un accordo, scelto liberamente dalle parti e soddisfacente per entrambe e per i propri figli, i tempi e i costi complessivi del conflitto genitoriale, lungi dal dilatarsi e rispettivamente aumentare, conosceranno piuttosto una drastica riduzione, portando significativi benefici anche in termini di serenità familiare e di collaborazione proficua tra genitori, nell’interesse preminente dei figli, i quali potranno anche così vedere soddisfatto il loro fondamentale diritto alla bigenitorialità.
Il ddl istituisce, poi, l’albo professionale dei mediatori familiari, facendo assurgere al rango di professione protetta (o riservata) un’attività già riconosciuta come professione non regolamentata, ai sensi e per gli effetti di cui alla l. n. 4/2013, dalla norma nazionale UNI 11644, approvata il 30 agosto 2016, cui la suddetta legge (v. artt. 5, comma 2, lett. e e 6, comma 2) rinvia.
Il ddl intende, quindi, valorizzare la formazione, la competenza e le abilità della figura del mediatore familiare (caratterizzata da terzietà e imparzialità rispetto alle parti, e la cui attività è conseguentemente presidiata da autonomia, segreto professionale e obblighi di informazione). L’attribuzione di tale qualifica, di cui si riconosce espressamente la «funzione sociale» (art. 1, comma 1, ddl), anche agli avvocati in possesso di specifici requisiti si giustifica sia in considerazione della funzione sociale riconosciuta espressamente all’attività svolta dagli avvocati (arg. ex artt. 1, comma 2, 3, comma 2 e 8 l. n. 247/2012), sia in virtù dell’esperienza professionale maturata nel campo del diritto di famiglia e minorile (v. art. 1, comma 2, lett. cddl).
1.3. La coordinazione genitoriale
Nel contesto dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare, è da salutare con favore anche l’istituzione della figura del “coordinatore genitoriale”, definito dall’art. 5 ddl come «esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale» (a norma dell’art. 5, comma 2, ddl, possono esercitare la funzione di coordinatore genitoriale psichiatri, neuropsichiatri, psicoterapeuti, psicologi, assistenti sociali, avvocati e mediatori familiari), con il compito di gestire e dirimere in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne in sede di esecuzione del piano genitoriale (eventualmente e auspicabilmente concordato dalle parti in mediazione), e quindi dopo il perfezionamento di un accordo di mediazione ovvero dopo l’emanazione di provvedimenti giudiziali riguardanti la prole minorenne.
Si tratta di una figura (diversa dal mediatore, in quanto il ricorso alla stessa è eventuale, subordinato alla volontà delle parti e a titolo oneroso, e in quanto si tratta di professionista già iscritto in un albo di una delle professioni già regolamentate) che si affianca al giudice e al mediatore familiare a garanzia della tutela dei minori, specialmente nei casi di «alto livello di conflitto» (art. 5, comma 3, lett. a), e che la nostra giurisprudenza ha già avuto occasione di valorizzare5, sottolineando altresì come il suo operato sia sempre subordinato al controllo, preventivo o successivo, del giudice, il cui potere decisorio rimane in ogni caso integro.
I compiti, le modalità di nomina e revoca dell’incarico, nonché le tariffe professionali potranno essere specificati nella futura legge stessa o in un successivo decreto attuativo.
Per le ragioni esposte appaiono, pertanto, prive di pregio le critiche contenute nel documento del Centro Studi Livatino in ordine alla figura del coordinatore genitoriale, il ricorso alla quale, peraltro, è già ampiamente e da tempo collaudato negli Stati Uniti con l’esperienza di Debora Carter, e introdotta in avanzata fase sperimentale presso i Tribunali di Milano, Monza, Mantova, Civitavecchia e altri.
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Filiazione e responsabilità genitorialeGorgoni A., CEDAM, 2018
2. L’equilibrio tra le figure dei genitori
2.1. La condivisione dell’intenzione del ddl di garantire la bigenitorialità
Il cuore pulsante è rappresentato – come suggerisce il titolo del ddl – dal principio di bigenitorialità, la cui effettività il ddl intende garantire e tutelare: il figlio (ogni figlio) ha il diritto di instaurare e soprattutto di mantenere una relazione triadica (e cioè sia con la madre sia con il padre), indipendentemente dalla sussistenza di una relazione o dal tipo di relazione che si instaura fra i genitori (v. art. 11, comma 1, ddl).
In attuazione dell’art. 30 della Costituzione italiana, che attribuisce ad entrambi i genitori il diritto-dovere di istruire, educare e mantenere i figli, in conformità alle indicazioni del Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 2079/2015), in ottemperanza al monito proveniente dalla Corte EDU, che ha in più occasioni condannato l’Italia per violazione del diritto alla bigenitorialità e alla genitorialità, garantiti dall’art. 8 della CEDU, e preso atto della mancata o erronea applicazione della l. n. 54/2006 in materia di affidamento condiviso, il ddl detta regole relative ai tempi di frequentazione tra il figlio e ciascuno dei genitori in caso di crisi della coppia genitoriale.
L’attuale disparità tra le figure genitoriali dopo tale crisi ha, infatti, sinora relegato l’Italia agli ultimi posti fra i Paesi occidentali in tema di bigenitorialità.
Un affidamento paritetico riguarda il 2-3% dei minori e per accordo fra le parti, mentre chi eccezionalmente lo ottiene in giudizio sale spesso agli onori delle cronache6. Un affidamento materialmente condiviso (in un range 35-65%) riguarda circa il 3-4% dei casi, mentre un affidamento materialmente esclusivo (al di fuori di questo range) è la sorte che spetta, di prassi, agli altri minori italiani, con una media teorica di 6 pernottamenti al mese per il genitore non collocatario della prole versus i 24 al mese, di spettanza del genitore collocatario.
Il tasso di affidamento esclusivo della prole al padre è il più basso al mondo (<0,7%), oltre dieci volte meno di quello alla madre (8,9% secondo l’ISTAT), a dimostrazione di una giurisprudenza gender oriented, che infatti non ha remore a teorizzare un criterio presuntivo basato sulla «mother preference»7 o a parlare di un diritto del minore «di avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario»8.
2.2. Interesse del minore o dell’adulto?
Il documento del Centro Studi Livatino accusa la riforma contenuta nel ddl di adultocentrismo, facendo leva su una presunta rigidità delle previsioni ivi contenute.
La critica contro la fissazione di rigidi tempi di frequentazione genitori/figli non è fondata, considerato che oggi si registra una standardizzazione pressoché assoluta, basata su una indimostrata nocività dell’affidamento materialmente condiviso (come dimostrato dalla circolazione in molti tribunali italiani di moduli prestampati, che stabiliscono a priori i tempi di frequentazione, cui basta aggiungere semplicemente i dati delle parti), e considerato che l’analisi dei Paesi esteri depone nel senso che, là dove viene concretamente il principio di affidamento materialmente condiviso, si registra una maggiore diversificazione dei provvedimenti.
V. le seguenti figure:
- figura 1 (numeri dell’affidamento minorile in Europa e nel mondo)
- figura 2 (distribuzione dei pernottamenti in Danimarca)
Figura 1
Figura 2
L’analisi delle ricerche scientifiche internazionali e dei modelli esteri ha poi fatto emergere che tale sperequazione, priva di substrato scientifico, porta a diverse conseguenze, e cioè:
- a un forte rischio di perdita del legame di uno dei genitori con la prole a distanza di pochi anni dalla separazione della coppia genitoriale (anche qui, con il 25-30% di minori che perdono contatto con uno dei genitori siamo agli ultimi posti, ben lontani dal 12,1% della Danimarca e dal 13% della Svezia);
- a un aumento della conflittualità (i Paesi che, come la Svezia, hanno iniziato ad utilizzare una presunzione di affidamento materialmente condiviso hanno registrato un progressivo calo della conflittualità genitoriale)9.
Precisiamo, poi, che sia la perdita genitoriale sia la forte conflittualità rappresentano alcune fra le più gravi “childhood adversity”, con tale espressione intendendosi nella nomenclatura pediatrica quelle situazioni che possono causare gravi danni organici lungolatenti (deficit ormonali, deficit cromosomici, malattie neoplastiche, malattie infiammatorie croniche, malattie cardiovascolari, malattie psichiatriche come la depressione, et cetera).
Alla luce di tali risultati medico-scientifici, e al precipuo scopo di preservare un sano ed equilibrato sviluppo del minore, il ddl ha, quindi, fissato un limite tendenziale minimo di permanenza del figlio con uno dei genitori, pari almeno a 12 giorni in ragione di mese (v. art. 11, comma 2, ddl), che rappresenta una sorta di “soglia di sicurezza” per la salute psico-fisica del minore.
E si tratta di una regola, di carattere eminentemente puerocentrico (o paidocentrico), che rappresenta l’approssimazione maggiormente rispondente agli scopi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata dall’Italia con l. n. 176/199110e al relativo commento generale ONU n. 14 del 29 maggio 2013 (che, con riguardo al “best interest of the child”, recita: «For collective decisions – such as by the legislator –, the best interests of children in general must be assessed and determined in light of the circumstances of the particular group and/or children in general»).
In ogni caso, non è una regola così rigida e automatica, come finora si è voluto indurre a ritenere sulla base di una lettura superficiale del testo del ddl, considerato che è lo stesso ddl a far salvi sia gli eventuali diversi accordi fra i genitori, sia quelle situazioni in cui sussiste un serio pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del minore idoneo a giustificare una deroga a quella regola, come nelle ipotesi di violenza o abuso sessuale (v. art. 11, comma 2, ddl).
2.3. La ripartizione dei tempi di frequentazione dei genitori
È interessante notare che il documento del Centro studi Livatino riconosca la necessità della presenza di entrambi i genitori nella vita del figlio, salvo poi – con un salto logico di difficile comprensione – scindere i tempi dalla genitorialità. È, invece, indispensabile, per una corretta ed equilibrata crescita del minore, garantire che la bigenitorialità possa esprimersi non solo in linea di principio ma anche con tempi congrui ed adeguati, da trascorrere con l’uno e con l’altro genitore.
Una suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso la casa di ciascun genitore (scilicet, presso due diversi habitat domestici) non è, peraltro, destinata a provocare traumi o stress peggiori di quelli provocati dagli spostamenti fisici che sino ad oggi hanno comportato separazioni e divorzi con figli. Anzi, un affidamento condiviso della prole che contempli settimane alterne per ciascun genitore (50%, salvi i periodi delle vacanze, in cui l’alternanza può essere anche per un tempo maggiore, per esempio ogni mese) comporterebbe 49 spostamenti all’anno per il minore, laddove l’attuale prassi, basata su due fine settimana alterni e sei contatti infrasettimanali al mese, comporta spostamenti del minore superiori di circa tre volte (179), come mostra il seguente schema:
D’altronde, la realtà osservata depone nel senso che i figli di hostess, dottoresse, infermiere o assistenti sanitarie, che spesso per ragioni lavorative non pernottano a casa, non subiscono conseguenze peggiori per il fatto di pernottare con il papà. E ciò, a tacer dei bimbi delle popolazioni nomadi (come i beduini, i tuareg o i mongoli), che presentano parametri di salute mentale migliore dei bambini o ragazzini delle società occidentali (le cui notorie “protesi tecnologiche”11 sono destinate ad incidere negativamente sulla loro stabilità mentale in misura ben superiore rispetto a quanto possa incidere il semplice spostamento fisico da una casa ad un’altra).
Inoltre, la partecipazione dei figli alla elaborazione del piano genitoriale non viene esclusa, perché, nel caso dei figli maggiorenni non economicamente indipendente, tale partecipazione è addirittura edittale (v. art. 15 ddl); con riguardo, invece, ai figli minori, entrambi i genitori – anche mercé l’eventuale e auspicabile aiuto di un esperto qualificato, quale è il mediatore familiare – redigono il rispettivo piano genitoriale (suscettibile per sua natura di revisione), tenendo conto, anzitutto (v. art. 11, comma, 7, ddl), delle esigenze del minore, il cui interesse campeggia sempre prima dell’adozione dei provvedimenti del giudice, sotto forma di diritto all’ascolto, riconosciuto a tutti i minori ultradodicenni, ovvero, se infradodicenni, ai minori che abbiano capacità di discernimento (v. art. 16 ddl).
Va soggiunto che la mancata redazione del piano genitoriale da parte di uno dei genitori12, sebbene causa di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di separazione o di divorzio (ricorso o memoria difensiva), “si converte” automaticamente nell’accoglimento del piano genitoriale dell’altro genitore, il cui contenuto verrà a sua volta sottoposto al vaglio del giudice, che è sempre tenuto a valutarne la congruità e la rispondenza all’interesse della prole (v. art. 18 ddl).
Il ddl non si astiene, ovviamente, dal considerare e contemplare ipotesi di spostamento fisico del minore che sarebbero fonte di pregiudizio psico-fisico a carico del minore ovvero accentuerebbero il trauma della separazione: lo sradicamento dal luogo in cui era abituato a vivere (ad es. trasferimento in altra città e quindi in altro istituto scolastico), infatti, richiede il consenso di entrambi i genitori o, in mancanza, l’autorizzazione del giudice tutelare (v. art. 14 ddl).
Infine, il ddl valorizza, oltre che la relazione tra il figlio ed entrambe le figure genitoriali, anche un’altra relazione “verticale”, e cioè quella fra il minore e i nonni di entrambi i rami genitoriali: recependo un orientamento diffuso presso la dottrina e presso una parte della giurisprudenza di merito13, il ddl consente l’intervento (sia principale, sia adesivo) degli ascendenti nei giudizi di separazione e di divorzio (in ciò, il ddl intende probabilmente operare un’abrogazione tacita parziale dell’art. 38, 1° comma, disp. att. cod. civ., che prevede sul punto una competenza funzionale del tribunale dei minorenni e che sotto tale profilo è stato già sospettato di illegittimità costituzionale, anche per eccesso di delega).
Si tratta, però, di una mera facoltà processuale, destinata non già ad acuire la conflittualità, ma a rendere effettivo il diritto iure propriodegli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, già attribuito dall’attuale art. 317-bis cod. civ. e, soprattutto, a consentire la piena attuazione del piano genitoriale, attesa la riconosciuta e spesso insostituibile presenza dei nonni nella vita dei nipoti.
Va da sé che l’eventuale intervento processuale degli ascendenti nei giudizi di separazione o divorzio promossi dai genitori non soggiacerebbe all’onere di attivazione del procedimento di mediazione familiare, sia perché l’intervento si esplicherebbe in un giudizio già in corso, sia perché, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, si deve escludere la sussistenza di una condizione di procedibilità, quale sarebbe, secondo il ddl, la mediazione familiare14.
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3. Il mantenimento dei figli in forma diretta
Il ddl prevede, come forma privilegiata di mantenimento (conseguenziale alla suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di cura e accudimento della prole), il mantenimento diretto dei figli di genitori separati o divorziati, che si contrappone alla modalità di mantenimento in forma indiretta, e cioè attraverso la corresponsione di una somma periodica di denaro da un genitore in favore dell’altro (c.d. assegno di mantenimento), che nel testo del ddl assume carattere residuale ed eccezionale (v. art. 11, comma 7 e 9, ddl).
Va ricordato che la forma diretta di mantenimento della prole è già prevista dall’attuale legislatore come quella prioritaria: il quarto comma dell’attuale art. 337-ter cod. civ. prevede, infatti, che ciascuno dei genitori «provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito» e che il giudice stabilisce, ma soltanto «ove necessario», la corresponsione di «un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità». La disposizione si salda con quella del primo comma del medesimo articolo, secondo cui ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura, educazione, istruzione e assistenza morale dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni.
Le osservazioni del Centro Studi Livatino in ordine a un presunto deficit di solidarietà del ddl sono certamente da approfondire; tuttavia, va ricordato che il testo del ddl non abdica, affatto, a una prospettiva solidaristica, che anzi viene valorizzata.
Il ddl si propone di rendere effettiva la regola del mantenimento diretto, stabilendo che ciascun genitore provvede direttamente al pagamento delle spese necessarie ai bisogni del figlio, per capitoli di spesa: soluzione, quest’ultima, che responsabilizza maggiormente i genitori, sia perché il mantenimento diretto esplica una funzione educativa, relazionale e psicologicamente gratificante (per non fare che un esempio: altro è acquistare un vestito per il figlio, con la sua partecipazione alla scelta dell’acquisto e con una percezione diretta di attenzione alle sue reali esigenze da parte del genitore accudente; altro è delegare “in bianco” l’altro genitore, erogando la provvista destinata a soddisfare genericamente esigenze del figlio), sia perché favorisce una più corretta osservanza degli obblighi di mantenimento, diminuendo conseguente il tasso di potenziale conflittualità (ogni genitore è più propenso a soddisfare direttamente i bisogni del figlio che a versare all’altro, da cui è separato, una somma di denaro della cui effettiva destinazione non ha né può avere alcuna contezza, attesa l’insussistenza di qualsivoglia obbligo od onere di rendiconto a carico del genitore percettore dell’assegno).
In ogni caso, il ddl si preoccupa dell’esigenza per cui, nel mantenimento diretto dei figli, che realizza “in natura” le effettive esigenze di questi, venga sempre osservato il principio di proporzionalità alla situazione reddituale ed economica complessiva di ciascuno dei genitori, di cui anche il piano genitoriale è espressione; tant’è che, nelle situazioni di più forte squilibrio reddituale ed economico fra genitori, trova ancora ingresso lo strumento (residuale) dell’assegno periodico a carico di uno dei genitori in favore dell’altro (v. art. 11, comma 9, ddl), salvo sempre il diritto del genitore economicamente più debole di chiedere all’altro il mantenimento per sé (aspetto su cui il ddl non incide).
Ciò non toglie, ovviamente, che sia tuttora sentita l’esigenza di garantire una pari opportunità lavorativa effettiva fra uomini e donne: ma tale obiettivo non può essere perseguito e realizzato attraverso un disegno di legge in materia di diritto di famiglia.
4. L’alienazione genitoriale
L’ultimo pilastro su cui regge l’impalcatura del ddl è rappresentato dalla lotta all’alienazione genitoriale.
Al di là della terminologia utilizzabile e della questione dell’inquadramento di tale inquietante fenomeno15, il contrasto di esso è corollario dell’esigenza di tutelare in via prioritaria l’interesse del minore, che non deve essere escluso dalla relazione affettiva con una delle figure genitoriali sol perché l’altra o altri abbiano posto in essere una condotta volta ad allontanare il minore dalla vita di un genitore.
Il ddl valorizza a tal fine sia l’istituto dell’ascolto del minore, prevedendo modalità idonee a garantire l’autenticità e la genuinità della volontà manifestata (art. 16 ddl), sia l’istituto degli ordini di protezione previsti dagli artt. 342-bis e 342-ter cod. civ., volto a interdire condotte genitoriali che, sia nel corso del giudizio di separazione sia successivamente, si rivelino lesive dei “diritti relazionali” del minore, ostacolando rapporti familiari, parentali e affettivi (v. artt. 17 e 18 ddl).
E ciò, allo scopo di sopperire alla mancata efficacia o effettività dello strumento sanzionatorio previsto dall’art. 709-ter cod. proc. civ., che è stato finora scarsamente utilizzato dai giudici per contrastare inadempimenti o comportamenti pregiudizievoli per il minore e che dal ddl esce comunque rinforzato (v. art. 9 ddl).
Preme sottolineare che le condotte ostacolanti o dirette ad ostacolare, allontanare o rimuovere la figura dell’altro genitore (ovvero di parenti di quest’ultimo, come i nonni) dal rapporto con il figlio sono numerose, poiché corrispondono a migliaia di casi registrati ogni anno16.
Va, peraltro, precisato che l’alienazione genitoriale, che viene integrata da fatti illeciti ovvero da inadempimenti di accordi genitoriali o di provvedimenti giudiziali, non può e non deve essere confusa con la c.d. PAS (acronimo, che sciolto diventa “Sindrome da Alienazione Parentale”, ovverossia un disturbo, e quindi una patologia), ancorché la c.d. PAS (tuttora oggetto di discussione nella comunità medico-scientifica) possa essere una conseguenza di condotte alienanti17.
L’alienazione genitoriale rimane ancora oggi un serio e grave problema di salute pubblica, che compromette l’equilibrio psico-fisico della persona del minore, con gravi disagi interpersonali e verso l’intera collettività.
Come detto, il ddl si propone di contrastarla, in modo efficace.
In particolare, l’art. 17 del ddl prevede che si possa intervenire quando «la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», consentendo al giudice, «su istanza di parte», di «adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli artt. 342-ter e 342-quater (…) nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi».
Dalla piana lettura del testo della disposizione de qua si desume che non sussiste alcun automatismo, posto che: (i) la lotta al fenomeno dell’alienazione genitoriale presuppone l’esercizio di un potere discrezionale del giudice; (ii) l’esercizio di tale potere è subordinato ad una istanza di parte; (iii) devono essere accertate almeno due condizioni (un grave pregiudizio per i diritti relazionali del figlio; una condotta ostacolante un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore o rapporti significativi con gli ascendenti); (iv) per la fattispecie che contempla la «assenza di evidenti condotte di uno dei genitori», si richiede comunque una forma manifesta di alienazione passiva.
Non è, quindi, sufficiente lamentare un’asserita condotta di alienazione genitoriale per ottenere un intervento da parte del Giudice, ma è necessario allegare e documentare una situazione rappresentata da condotte che siano fonte di alienazione genitoriale.
Il ddl si preoccupa, poi, di contrastare l’alienazione genitoriale con la previsione di ulteriori strumenti, e cioè attraverso un ordine, rivolto al genitore che abbia tenuto una condotta pregiudizievole per il minore, di cessazione della condotta medesima, un provvedimento d’urgenza con cui si dispone la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, ovvero «l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore», oppure la limitazione dei «tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente», ovvero, in via del tutto residuale, «il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata previa redazione da parte dei Servizi Sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore» (art. 18 ddl).
La previsione è da salutare con favore, attesa l’impunità che ancora oggi fomenta il fenomeno dell’alienazione genitoriale, con conseguente violazione sia del diritto alla bigenitorialità (del figlio alienato) sia del diritto alla genitorialità (di uno dei genitori e/o degli ascendenti).
Infatti, la giurisprudenza (tanto i tribunali ordinari quanto i tribunali per i minorenni) fa per solito trascorrere un lungo periodo di tempo (in termini di anni) prima di decidere casi del genere, in tal modo consolidando e rafforzando le gravi condotte alienanti, ascrivibili quasi sempre al genitore c.d. collocatario (figura che dopo l’approvazione del ddl è destinata a dissolversi), sino alla rimozione definitiva della relazione figlio/genitore, il cui best interest rischia di essere irreversibilmente compromesso.
5. Varie
5.1. L’eliminazione dell’ammonimento
Fra le sanzioni che l’art. 709-ter, 2° comma, cod. proc. civ.contempla come conseguenza di gravi inadempienze o violazioni di doveri familiari è annoverata l’ammonimento, di cui il ddl propone l’abrogazione.
Come anche chiarito nella Relazione illustrativa del ddl, l’abolizione di tale sanzione è giustificata dal fatto di essersi rivelata nella prassi totalmente inefficace e inidonea a scongiurare condotte pregiudizievoli per il minore18, le quali, lungi dal cessare, si perpetuavano, consolidando in modo ancor più deleterio il pregiudizio, sicché il ddl intende porre fine a questa paradossale eterogenesi dei fini.
5.2. La riduzione dei termini processuali
Nell’ottica della celerità del giudizio di separazione o di divorzio, il ddl prevede la riduzione del termine entro cui deve essere fissata l’udienza presidenziale di comparizione delle parti per l’assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti: da 90 giorni a 40 giorni dalla data di deposito del ricorso per separazione o per divorzio (v. artt. 7 e 22 ddl).
Certamente, tale modifica influisce sul termine di difesa per la parte resistente, la quale avrà però avuto già il tempo sufficiente per predisporre la documentazione necessaria e di elaborare la propria difesa durante la fase della mediazione familiare, benché quest’ultima si possa esaurire anche in un solo incontro informativo.
5.3. Le disposizioni sui figli maggiorenni
Il ddl modifica il regime del mantenimento dei figli maggiorenni, contemplando la possibilità di concordare un piano genitoriale fra genitori e figlio maggiorenne che non sia economicamente indipendente e portatore di grave disabilità, fermo il potere del giudice di disporre in favore di quest’ultimo, su sua richiesta, il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori, da versare direttamente al figlio, e prevedendo un limite all’obbligo di mantenimento del maggiorenne non portatore di grave disabilità, che in ogni caso si estingue al compimento del venticinquesimo anno di età da parte del figlio (v. art. 15 ddl).
La disposizione intende responsabilizzare sia il figlio maggiorenne sia i genitori, da un lato prevenendo il rischio di una rendita parassitaria del figlio ai danni dei genitori, che si è di frequente verificato nei casi in cui il figlio prolungasse sine die l’ingresso nel mondo del lavoro, anche rifiutando offerte di lavoro vantaggiose; dall’altro lato, evitando condotte speculative del genitore coabitante stabilmente con il figlio maggiorenne, che, essendo munito (per pacifica giurisprudenza) della legittimazione a richiedere in via autonoma all’altro genitore l’assegno di mantenimento del figlio, disincentivi quest’ultimo ad intraprendere un percorso lavorativo o, nei casi peggiori, occulti (o induca il figlio ad occultare) all’altro genitore la situazione lavorativa del figlio medesimo.
La predeterminazione di un limite di età, superato il quale cessa automaticamente l’obbligo giuridico di mantenimento del figlio maggiorenne, che comunque risponde all’esigenza di porre un argine alla discrezionalità dei giudici italiani (che in alcuni casi è tralignata nella condanna dei genitori o di uno di essi a mantenere figli ultratrentacinquenni o financo quarantenni), non preclude, tuttavia, ai genitori o a uno di essi di continuare a fornire un sostegno economico per la prosecuzione degli studi o della formazione post universitaria, configurandosi in questo caso l’adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale, salva, ovviamente, sussistendone i presupposti, la facoltà del figlio ultraventicinquenne di richiedere ai genitori gli alimenti.
5.4. L’eliminazione dell’addebito e di sanzioni penali
Al fine di sottrarre al giudizio di separazione la trattazione e istruzione della questione dell’addebito, in chiave non solo di celerità del giudizio, ma di diminuzione della conflittualità nell’interesse della prole, l’art. 19 del ddl propone l’eliminazione dell’istituto dell’addebito, di cui già la dottrina più autorevole proponeva da tempo l’abrogazione.
Come noto, infatti, la domanda di addebito: (i) richiede accertamenti lunghi e complessi, nonché il coinvolgimento nei giudizi di separazione di terzi soggetti (soprattutto familiari e amici di uno dei coniugi) nella veste di testimoni; (ii) ha statisticamente scarsissime chance di accoglimento (perché la giurisprudenza richiede presupposti sempre più rigorosi e stringenti); (iii) il suo eventuale accoglimento presenta comunque vantaggi assai limitati se a proporla è il coniuge economicamente più debole, consistenti sostanzialmente nella perdita dei principali diritti successori da parte del coniuge economicamente più forte.
L’art. 21 del ddl, infine, propone l’abrogazione dell’art. 570-bis cod. pen., introdotto nel 2018, semplicemente perché il presupposto della condotta ivi incriminata è rappresentata dall’assegno di mantenimento, che come visto il ddl intende circoscrivere ad ipotesi eccezionali.
In ogni caso, per la violazione degli obblighi familiari, rimangono in vigore tutte le altre misure e tutele (penali, parapenali, risarcitorie) già previste dall’ordinamento giuridico, che il ddl fa implicitamente salve.
Per approfondimenti:
I provvedimenti di natura patrimoniale nella crisi della famiglia2 incontri, 10 ore in aula, Altalex Formazione
(Altalex, 15 gennaio 2019. Articolo di Arturo Maniaci, Pierluigi Mazzamuto, Marcello Adriano Mazzola, Carlo Piazza e Vittorio Vezzetti)
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1 In giurisprudenza, è ormai nutrito il numero di decisioni di condanna al risarcimento del danno a carico di uno dei genitori che con il suo comportamento renda difficoltosa (o frapponga ostacoli al)la frequentazione del figlio da parte dell’altro genitore (cfr. ad es. Cass. 7 aprile 2016, n. 6790; Trib. Roma, 11 ottobre 2016, n. 18799; Trib. Roma, 18 settembre 2015, n. 18475; Trib. Milano, Sez. IX, decr. 7 gennaio 2018). Sul fenomeno dell’alienazione genitoriale, v. comunque infra (§ 4).
2 Più in generale, sulla mediazione come percorso che educa alla non violenza, al dialogo e alla pace, cfr., per tutti, J. MORINEAU, La mediazione umanistica. Un altro sguardo sull’avvenire: dalla violenza alla pace, Trento, 2018, passim, spec. 49 ss.
3 Fra i quali spiccano: Australia e Norvegia, in cui, in presenza di un figlio di età fino a 16 anni, è obbligatorio un percorso di mediazione; Croazia, Regno Unito e Ungheria, in cui è obbligatoria almeno una sessione informativa sulla mediazione.
4 Per una disamina della legislazione e della prassi dei principali ordinamenti stranieri in materia di mediazione familiare, cfr. P. MAZZAMUTO, La mediazione nella tutela della famiglia, Torino, 2013, p. 11 ss.
5 Sulle origini di tale figura, cfr. C. PICCINELLI-S. MAZZONI-D.K. CARTER, La coordinazione genitoriale, dagli USA un nuovo intervento di supporto per le coppie in separazione/divorzio ad elevata conflittualità cronica, in www.ilcaso.it. Sui relativi poteri, alla luce della giurisprudenza sinora formatasi, cfr. F. NOVELLO, Il coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano?, in Familia, 2018, p. 361 ss.
6 È ad esempio il caso (recentissimo) di Trib. Firenze, 2 novembre 2018, n. 2945, che significativamente è stato additato come il precedente giurisprudenziale che “anticipa” quanto previsto dal ddl 735.
8 Cass. 17 dicembre 2016, n. 25418.
9 Sul punto, cfr. amplius V. VEZZETTI, New approaches to divorce with children: a problem of public health, (2016).
10 L’art. 24 di tale Convezione prevede: «The child’s right to health and his or her health condition are central in assessing the child’s best interest».
11 Siamo debitori di questa immagine verso A. BAJANI, La scuola non serve a niente, Laterza, 2014, p. 11.
12 Di cui è prevista l’obbligatorietà in molti Paesi, come il Canada, l’Olanda, la Catalogna, l’Australia.
13 In dottrina, v. F. TOMMASEO, L’interesse dei minori e la nuova legge sull’affidamento condiviso, in Fam. e dir., 2006, p. 298 ss.; F. DANOVI, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam. e pers., 2007, p. 1913 ss.; A. FIGONE, Profili processuali, in AA.VV., Affidamento condiviso e diritti dei minori, a cura di M. Dogliotti, Torino, 2008, p. 228; ID., La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, p. 112; G. SAVI, L’esercizio dell’azione degli ascendenti nel nuovo art. 317-bis c.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, p. 557 ss.; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. III, Torino, 2017, pp. 92-93, nota 33; in giurisprudenza, v. ad es. Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Fam. e dir., 2006, 291 ss.; App. Perugia, 27 settembre 2007, in www.minoriefamiglia.it.
14 Per la tassatività delle ipotesi in cui si prevedono condizioni di procedibilità della domanda, cfr. per tutti S. LA CHINA, voce Procedibilità (condizioni di), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, p. 802.
15 Segnaliamo in proposito che l’Alienazione Parentale è stata recentemente inclusa nella bozza ufficiale del nuovo ICD-11, come sinonimo del “Caregiver-child relationship problem (QE52.0)” [Parental alienation is not a separate diagnosis in ICD-11, but is considered a synonym or an index term for a specific diagnosis, that is, caregiver-child relationship problem (QE52.0): Description:Substantial and sustained dissatisfaction within a caregiver-child relationship associated with significant disturbance in functioning]. La International Classification of Diseases (ICD-11) è curata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (v. link).
16 Si rinvia per ogni approfondimento scientifico sul punto a: M. CASONATO-M.A. MAZZOLA, Alienazione genitoriale e sindrome da alienazione genitoriale, Key, 2016; M.A. MAZZOLA, Il danno da deprivazione genitoriale, Key, 2018.
17 Si contano sempre di più decisioni territoriali che accertano in modo netto e chiaro fattispecie di grave alienazione genitoriale (da ultimo, v. Trib. Castrovillari, 27 luglio 18; Trib. min. Brescia, decr. 26 luglio 2018; Trib. Cosenza, 18 ottobre 2017; App. Catanzaro, decr. 18 dicembre 2015, n. 3405; Trib. Treviso, 13 novembre 2015; Trib. Cosenza, decr. 29 luglio 2015, n. 778; Trib. Roma, 27 giugno 2014; Trib. min. Trieste, 21 agosto 2013; Trib. Roma, 13 settembre 2011, n. 17546; App. Firenze, sez. fer., decr. 29 agosto 2007). Ma v. anche Cass. 8 aprile 2016, n. 6919, secondo cui tali condotte incidono comunque sulla valutazione della idoneità e responsabilità genitoriale.
18 Per una conferma in sede giurisprudenziale, v. Cass. 25 febbraio 2015, n. 3810, che ha peraltro precisato che tale provvedimento non è impugnabile (in cassazione), in quanto sarebbe privo dei caratteri della decisorietà e della definitività.
FONTE: https://www.altalex.com/documents/news/2019/01/15/affido-condiviso-ragioni-a-sostegno-della-riforma-pillon?fbclid=IwAR0hDrcklWYT2AZUXdRF4UdRrnxmfOqPXflXlzjlPcGt3G6qMsE6lThUW7I