La legge 54 del 2006
Il provvedimento, sulla carta, costituisce un cambiamento molto rilevante in quanto stabilisce il così detto “principio di bigenitorialità“: alla separazione personale dei genitori non consegue, quindi, necessariamente – come nella precedente disciplina – l’affidamento esclusivo ad uno dei due genitori dai figli.
La L. 54/2006, sulla scorta dell’esperienza maturata in molti paesi europei, prevede, infatti, come regola standard e di partenza per tutte le separazioni l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori. Attualmente, tuttavia, la legge non è applicata da tutti i tribunali o è applicata in modo da mantenere molte delle caratteristiche della giurisprudenza precedente.
Esiste quindi un’ampia varietà di interpretazioni sul territorio nazionale. In particolare l’affidamento condiviso era stato disegnato dal legislatore per gestire sia il caso conflittuale che quello non conflittuale, quest’ultimo trattato dalla giurisprudenza precedente tramite l’affidamento congiunto. Molti tribunali, tuttavia, spesso non applicano tale istituto, privilegiando invece, ancora l’istituto dell’affido esclusivo del minore.
A tal proposito Marino Maglietta, promotore della normativa in oggetto, ha dichiarato:
« Quella sull’affido condiviso dei minori in caso di separazione dei genitori […] è una legge ancora troppo poco applicata, per via delle tante distorsioni o errate interpretazioni in sede giudiziaria che ne ritardano l’attuazione. Di fatto si spaccia come affido condiviso l’affidamento esclusivo presso la madre, appellandosi al principio di residenza privilegiata, non presente nella legge»
Le statistiche, relative all’agosto 2008, riferiscono in effetti che l’affido condiviso è applicato solo nel 18,9% dei divorzi; nel rimanente 81,1% l’affidamento è invece esclusivo (nel 14% dei casi con affido al padre e nel 67,1% alla madre). A volte viene applicato l’affido esclusivo presso la madre stabilendo però sulla carta che la potestà genitoriale debba essere esercitata in maniera congiunta, in pratica garantendo al padre di stare con i propri figli in particolari giorni della settimana a determinate ore, oppure in prestabiliti periodi dell’anno.
L’affidamento congiunto ha, innanzitutto, un significato più propriamente giuridico inteso come esercizio congiunto della potestà genitoriale (precedentemente il termine usato era il tradizionale patria potestà). Con l’affidamento condiviso, quindi, i genitori conservano entrambi l’esercizio di detta potestà genitoriale sul figlio.
Anche se le norme in materia di affidamento condiviso non lo prevedono, molte sentenze hanno introdotto la prassi della collocazione del figlio presso uno dei genitori come dimora prevalente (precedentemente l’espressione usata era casa familiare), che comporta altre disposizioni tipiche dell’affidamento esclusivo (assegnazione della casa familiare al genitore cosiddetto collocatario dei figli, cui spetterebbe la corresponsione dell’assegno di mantenimento dei figli), prassi contestata tra l’altro dalle associazioni di padri, in quanto contradirebbe il primo comma dell’articolo 155 del codice civile: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” . Dovrebbe comunque essere stabilito il progetto comune di cura e di educazione in cui i genitori devono suddividersi i compiti di amministrazione ordinaria gestendoli anche in modo disgiunto.
Tale riforma legislativa, però, non è idonea a creare da sola le premesse per il cambiamento radicale che si pone come obiettivo; il legislatore, quindi, ha pensato di introdurre la figura del mediatore che dovrebbe aiutare i genitori a costruire un canale di comunicazione per realizzare insieme tale progetto, ma in concreto ben poche sono le esperienze positive in tal senso.
Non mancano elementi di criticità specialmente nel caso di genitori di nazionalità diversa, quando non solo l’ordinamento giuridico, ma soprattutto la cultura sociale è profondamente diversa.