Assegno di mantenimento: vi è l’obbligo di dichiarazione ai fini IRPEF?
Grava sull’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare, anche avvalendosi di presunzioni, l’esistenza del maggior reddito non dichiarato derivante dalla percezione dell’assegno di mantenimento
Il principio è stato affermato dai giudici tributari della Cassazione all’esito di un giudizio nel merito, instaurato tra l’Agenzia delle Entrate e un contribuente, volto a recuperare i maggiori redditi non dichiarati, derivanti dall’assegno di mantenimento periodicamente versato dall’ex coniuge.
La vicenda
Con due distinti avvisi di accertamento, uno relativo all’anno di imposta 2003, l’altro relativo al 2004, l’Agenzia delle Entrate intendeva recuperare a tassazione, ai fini IRPEF, i maggiori redditi non dichiarati dalla ricorrente derivanti dagli assegni di mantenimento cui era tenuto, nei suoi confronti, il coniuge separato.
La contribuente impugnò entrambi gli atti impositivi sostenendo di non avere percepito il mantenimento.
Ma il giudice di primo grado rigettò la domanda.
Anche in secondo grado la Commissione Tributaria della Regione Toscana confermò tale sentenza di condanna.
Era stato accertato, con particolare riguardo all’anno 2003 che la donna aveva percepito circa 36.000 euro dal marito, a titolo di mantenimento.
A tal proposito, ricordano i giudici tributari che, in diritto tributario, i crediti per redditi d’impresa, di lavoro dipendente e di lavoro autonomo, si possono portare in deduzione solo se si fornisce la prova che essi non sono più recuperabili.
La ricorrente si è invece, limitata ad affermare che era onere dell’Ufficio dimostrare l’avvenuta riscossione, da pare della stessa contribuente degli assegni di mantenimento a carico del coniuge separato.
Ma è legittima questa pretesa inversione dell’onere della prova? Non erano d’accordo i giudici di secondo grado.
Cosicché, la vicenda portata dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. Con ricorso articolato in due motivi, la ricorrente lamentava, innanzitutto, il fatto che i giudici di merito avessero impropriamente esteso alla determinazione dei redditi delle persone fisiche il principio valido per le società e gli enti commerciali, secondo cui le perite sui crediti sono deducibili soltanto se risultano da elementi certi e precisi.
Ebbene, siffatto primo motivo è stato accolto.
Ma non è tutto. Anche il secondo motivo di gravame è stato ritenuto fondato.
Il giudizio di legittimità
L’errore di diritto che i giudici della CTR avrebbero commesso è stato quello di aver attribuito alla contribuente l’onere di dimostrare la mancata percezione degli assegni di mantenimento, anziché affermare che grava sulla Amministrazione finanziaria dimostrare i fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggior reddito; al contrario, è onere del contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, dimostrare a sua volta gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano” (Cass. n. 13509/2009).
In altri termini, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare (anche avvalendosi di presunzioni) l’esistenza del maggior reddito non dichiarato; solo in un secondo momento, ossia dopo che l’ufficio ha dimostrato il maggior reddito, il contribuente, che intenda neutralizzare l’altrui pretesa creditoria, è tenuto a fornire la prova dell’esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del petitum.
Nella specie la CTR non aveva fatto corretta applicazione di tale principio di diritto, poiché essa ha illegittimamente posto a carico della contribuente l’onere di provare la mancata percezione del maggior reddito, pur in difetto della preventiva dimostrazione, da parte dell’Ufficio, della sussistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria.
FONTE www.responsabilecivile.it