Carta dei diritti del figlio
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nel settembre del 2018 ha realizzato la Carta dei diritti.
L’Autorità, nella parte di introduzione e premessa, ha evidenziato come questa iniziativa trovi spunto ed ispirazione nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la quale sottolinea, fin dal preambolo, l’importanza della famiglia nella vita di ogni bambino e adolescente, quale «unità fondamentale della società e di un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli».
Il ruolo fondamentale della famiglia come formazione sociale in cui il minore cresce e sviluppa la sua personalità emerge chiaramente dal fatto che molti dei diritti che spettano al minore sono riconosciuti allo stesso nella sua qualità di figlio e ruotano intorno alle sue relazioni familiari ed, in particolare, a quella con i genitori: il diritto di preservare le relazioni familiari (art. 8), il diritto di non essere separato dai genitori (art. 9) e di mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi, anche se risiedono in Stati diversi (art. 10), il diritto di esprimere liberamente la propria opinione nelle questioni che lo riguardano e di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa (art. 12).
Pari centralità è data alla famiglia, intesa come luogo in cui il minore nasce e cresce, nella Costituzione italiana agli articoli 29, 30 e 31.
La Carta dei diritti dei figli nella separazione è un documento in cui l’Autorità garante fornisce un vero e proprio vademecum per i genitori, che affrontano la crisi della loro unione, un monito agli stessi a non coinvolgere i figli, che necessariamente subiscono la dolorosa scelta della separazione, nel conflitto che si protrae, sovente, anche dopo la fine del rapporto di coppia.
Devo dire che sin dalla prima lettura della Carta ho apprezzato il fatto che l’Autorità garante abbia centrato l’attenzione sul figlio, sul bambino di oggi.
I bambini che vivono la contemporaneità, infatti, non solo sono chiamati a far fronte al già difficile compito di crescere e trovare la propria identità personale, ma anche, sempre più spesso, devono affrontare questo compito all’interno di un clima di conflitto e in una situazione ambientale in cui il principale punto di certezza e sicurezza, qual è la famiglia, si disgrega o, quantomeno, va in crisi.
Per questa ragione, dunque, l’Autorità garante, per il tramite della Carta, ritengo abbia voluto sottolineare l’importanza di proteggere i bambini dai conflitti dei grandi e la necessità di rassicurarli rispetto al futuro e all’amore che i genitori hanno per loro, anche durante e dopo la crisi della coppia (artt. 1, 2, 5-10).
Questo pare il contenuto e il significato essenziale della Carta.
Questo elenco di diritti del minore serve anche a ricordare a noi “operatori” del settore che ogni decisione che prendiamo, ogni intervento che viene attuato, deve essere preceduto dalla comprensione dei desideri e delle paure dei bambini coinvolti nella separazione e dal loro ascolto.
Solo attraverso l’ascolto dei figli, non solo da parte dei genitori, come prescritto agli artt. 3, 4 e 10 della Carta, ma anche da parte del giudice, nell’ambito dei processi che riguardano la famiglia, è possibile perseguire il superiore interesse dei minori; l’ascolto, invero, è capace di rendere i bambini partecipi di ciò che sta avvenendo e dare loro l’occasione di comunicare con un soggetto terzo e disinteressato rispetto al dissidio in cui i genitori li confinano.
Se queste sono le riflessioni positive che la Carta mi ha stimolato e che mi hanno fatto sorgere un senso di apprezzamento per il lavoro che ha portato alla sua redazione, non posso evitare, però, di rappresentare un’altra riflessione che la lettura del documento mi ha suscitato.
È possibile parlare veramente di diritti? E soprattutto, rispetto a tali diritti − o meglio legittime aspettative dei figli costretti a subire la separazione dei genitori − è possibile parlare di doveri, di obblighi giuridici coercibili in capo agli adulti?
Tutti quelli che operano nelle aule di tribunale nell’ambito delle controversie della famiglia sanno che nulla è più impossibile che costringere qualcuno, anche un genitore, ad amare qualcun altro, anche un figlio.
I genitori che rimangono stritolati nella crisi della coppia, tanto da essere sordi rispetto al dolore e al disagio che ciò provoca nei figli, spesso vivono una situazione psicologica di forte inadeguatezza e incapacità, che non permette loro di percepire il disvalore del comportamento tenuto.
Per esperienza professionale come giudice della famiglia posso, persino, dire che i genitori che si separano e non riescono a superare il clima di conflitto con l’ex partner neppure si rendono conto del fatto che i figli effettivamente soffrono, al più pensano che la colpa sia dell’altro genitore, e, comunque, sono assolutamente convinti di non violare le regole oggi sintetizzate nella Carta.
E allora mi sono anche chiesta a cosa serve una Carta che contiene regole di comportamento che non sono coercibili e che, spessissimo, sono violate da persone che non sono consapevoli di violarle.
La risposta che mi sono data, anzi l’auspicio, è che essa sia l’espressione di una diversa consapevolezza da parte delle istituzioni della condizione di vita di molti bambini e del fatto che per garantire il loro sereno sviluppo e il loro benessere è necessario investire, non solo culturalmente, ma anche economicamente, garantendo maggiori servizi di aiuto e supporto alla famiglia in crisi.
Se è vero che nessuno può essere costretto ad amare i propri figli, ma al massimo essere “punito” sul piano delle decisioni che riguardano l’affidamento dei minori, è altrettanto vero che le persone possono essere aiutate a superare i loro limiti, anche come genitori.
Un intervento tempestivo e adeguato, anche sotto il profilo delle risorse professionali messe in campo durante la separazione, da parte dei Servizi sociali territoriali, degli organi di mediazione o anche delle unità sanitarie che si occupano della salute mentale della infanzia e degli adulti, è infatti spesso quello che fa la differenza all’interno di un processo di famiglia.
Quando questo intervento è possibile e i servizi hanno le risorse per metterlo in atto in tempi brevi, allora si apre la possibilità che le dinamiche disfunzionali che la famiglia in crisi vive vengano superate e che i diritti individuati nella Carta dei diritti dei fanciulli nella separazione vengano attuati e, soprattutto, “rispettati” dai genitori.
In sintesi, la Carta dei diritti di cui parliamo è sicuramente un decalogo di regole che il genitore deve tenere sempre a mente nella separazione e, come scritto sulla prima pagina della Carta stessa, deve portare con sé, tenerle persino in tasca, ma ancora di più deve essere uno sprone e un monito verso tutte le istituzioni, affinché i servizi sociali che si occupano di minori abbiano, in questa epoca in cui la crisi della famiglia è un fenomeno sociale assolutamente diffuso, le risorse necessarie per poter intervenire.
Dove le capacità dei genitori non sono adeguate ad affrontare la crisi in modo sano e rispettoso dei figli, non basta un decalogo di regole comportamentali di buon senso e d’amore, ma serve la messa in campo di risorse organizzative ed economiche adeguate rispetto alla esigenza di dover garantire ai bambini dei nostri tempi una crescita sana e non soffocata dal conflitto degli adulti.
Fonte:http://questionegiustizia.it/