Chi decide la religione dei figli?
Cosa succede se mamma e papà professano fedi diverse e litigano per il credo da impartire ai loro bambini.
Dire educazione dei figli significa intendere tante sfere diverse. Non solo la scelta della scuola da frequentare o dello sport da praticare. La crescita dei ragazzi è anche spirituale. Ognuno interpreta, naturalmente, a modo suo questa esigenza di credere e di nutrire lo spirito. Spesso, la si collega alla religione e sono quasi sempre i genitori a spingere i ragazzi verso un credo che, nove volte su dieci, per ovvie ragioni, è quello da essi stessi professato.
Ma che succede se mamma e papà sono di fede diversa? E che succede se la conflittualità tra di loro è inasprita da una separazione che porta ognuno a tirare il figlio per la «giacca» del proprio credo? Ne abbiamo visti di bambini/ragazzini contesi. A volte, può accadere che questo non riguardi l’affidamento dei minori in se, ma specifiche scelte che incidono sulla loro vita. Riassumendo, se la tua domanda è genitori separati: chi decide la religione dei figli? Sei capitato nel posto giusto per avere una risposta.
L’affidamento dei figli
Prima di affrontare l’argomento è doverosa una premessa che introduca al tema. Quando parliamo di genitori separati con figli minorenni due sono le situazioni che possono verificarsi:
- l’affidamento condiviso dei figli: disposto dal giudice nella stragrande maggioranza dei casi, all’atto della sentenza di separazione o di divorzio, con un genitore collocatario, cioè quello con il quale il minore convivrà, e uno non collocatario, che potrà vedere il bambino secondo i giorni e gli orari indicati nel provvedimento di separazione. Questo tipo di affidamento prevede di conservare intatto il principio della bigenitorialità: entrambi i genitori devono seguire l’educazione dei figli, anche se quello non collocatario vedrà il minore meno dell’altro per ovvie ragioni di non coabitazione;
- l’affidamento esclusivo dei figli: viene disposto in presenza di particolari circostanze, come il disinteresse di uno dei due genitori per il suo bambino o suoi atteggiamenti violenti nei confronti dei familiari. In tal caso il principio della bigenitorialità è attenuato, nel senso che le decisioni relative all’educazione dei figli minorenni sono prevalentemente a carico del genitore affidatario. L’altro deve comunque esprimersi sulle scelte importanti per il bambino e ha il diritto di vederlo secondo le modalità ordinate dal tribunale, in genere in determinati luoghi o in presenza di assistenti sociali.
In materia di affidamento, non rileva il tipo di religione professata dal genitore. Ciò significa che non si può discriminare una madre o un padre per la fede che professano e ritenerla, in partenza, meno adatta al bambino. Né si può addebitare la separazione a uno dei due ex – cioè ritenerlo responsabile della fine del matrimonio – solo perché ha cambiato religione .
L’interesse del minore
Il faro che orienta tutta la giurisprudenza in materia di figli contesi – e anche di disaccordi sull’educazione religiosa – è l’interesse del minore .Quale che sia il contesto familiare di provenienza o le problematiche tra gli ex, ogni decisione dovrà essere presa ponendosi questo obiettivo, più rilevante di qualunque dissidio tra mamma e papà.
In sostanza, lo scopo di ogni decisione giurisdizionale dev’essere il benessere psicofisico del piccolo e la garanzia di una crescita sana ed equilibrata. Questo nel caso in cui sorgano contrasti tra i genitori separati in materia di educazione religiosa. Se c’è un accordo il problema di portare la questione davanti al giudice, naturalmente, non si pone.
La signora ha chiesto di rivedere gli accordi di separazione per permettere alla figlia di frequentare tanto le riunioni dei testimoni di Geova quanto di andare a messa la domenica o partecipare ad altre funzioni della religione cattolica del padre. Richiesta accolta proprio in nome del superiore interesse della minore che, certamente, sarebbe stato compromesso laddove fossero continuati i contrasti tra mamma e papà su questo tema.
Un altro esempio, per far capire cosa si intende per superiore interesse del minore e come proteggerlo, riguarda l’integrazione sociale del bambino. Secondo il diritto europeo, ad esempio, non si può vietare a un bambino di frequentare un corso obbligatorio solo perché questo contrasta con la sua religione. Il caso era quello di due genitori musulmani che non volevano che le loro figlie frequentassero un corso di nuoto misto, maschi e femmine . Si è seguito ancora una volta il preminente interesse del minore, sotto forma di necessaria integrazione nell’ambiente che frequenta, scolastico e sportivo.
Infine, bisogna monitorare le reazioni dei bambini a questo tentativo dei genitori di guidarli verso una fede religiosa, nel contesto educativo. In presenza di qualunque disagio è bene, sempre nell’interesse del bimbo, eliminarne la fonte. Saremo più chiari nel paragrafo sottostante.
Se un genitore vieta a prescindere al figlio di abbracciare la fede del suo ex o di partecipare ad alcune cerimonie, siamo in presenza di un divieto illegittimo. Il tribunale di Pesaro, nel provvedimento di cui abbiamo parlato sopra, ha scelto la linea della mediazione e dell’equilibrio, proteggendo la bambina da pressioni incrociate che potevano aumentare all’acuirsi dei contrasti tra mamma e papà. Quindi la bimba dovrà «sperimentare» funzioni e celebrazioni diverse, nel rispetto delle fedi di entrambi i genitori e nell’ottica di sviluppare una mentalità aperta e tollerante.
È a questo punto che scatterà il «monitoraggio» di cui sopra. Può accadere, infatti, che il bambino si trovi a disagio nel sentirsi spinto ad abbracciare un determinato credo e ne preferisca un altro, ad esempio perché è quello condiviso dai suoi compagni e questo lo fa sentire più a suo agio. Alcuni divieti, quindi, nell’impartire un insegnamento religioso ai bambini, sono legittimi, purché si sia sperimentato che una certa cosa non fa bene al minore.
Prendiamo sempre l’esempio degli ex di cui sopra, madre testimone di Geova e padre cattolico, e immaginiamo uno scenario futuro. Se la bambina, dopo un po’, rifiuta di partecipare alle funzioni di una delle due religioni, manifestando disagio, di questo si dovrà tener conto, eliminandone la causa. In pratica, alla bambina potrà essere permesso di partecipare alle funzioni del credo che sembra preferire, vietandole l’altro laddove un’imposizione sia pregiudizievole per lei.
Quando decide il bambino
Madri e padri hanno un diritto-dovere all’educazione dei figli, in cui la religione rientra. Devono, però, anche tenere conto delle inclinazioni naturali dei loro bambini . E c’è, poi, un diritto dell’individuo a professare liberamente il proprio credo . Ci si potrebbe chiedere: che succede se il bambino vuole professare una religione diversa da quella dei genitori?
Finora, la giurisprudenza ha sempre analizzato la questione nel contesto delle separazioni e dei contrasti tra ex coniugi con un credo differente. Per intenderci: sono sempre i genitori che litigano a porre il problema e mai il punto di partenza è il bambino che vuole scegliere quale religione professare, in contrasto con loro. Il fatto, però, che i minori siano il fulcro delle decisioni dei giudici, tenuti a rispettare anzitutto i loro interessi, implica di tenere in alta considerazione i loro bisogni e, quindi, in qualche modo, anche la loro volontà, rendendoli soggetti attivi nel processo educativo.
Gli studenti della scuola secondaria superiore possono scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica a scuola. In caso di disaccordo tra i genitori, non possono essere imposti ai bambini i sacramenti, soltanto perché uno dei due lo vuole: sarà il figlio a scegliere, una volta compiuti i diciott’anni.
Fonte: https://www.laleggepertutti.it/422605_genitori-separati-chi-decide-la-religione-dei-figli