Ci mancavano le femministe, tra gli avvoltoi del bimbo conteso di Padova
C’è qualcosa di terribile, nella storia senza vincitori del ragazzino padovano di Cittadella. Una piaga nella piaga di dolore che ha solcato quella sciagurata famiglia. Si è scatenato l’inferno, attorno alla vicenda, e non soltanto quello provocato irresponsabilmente dai parenti (zia e nonno) di Leonardo. A peggiorare il dramma umano, a rendere confusa la storia e dunque incomprensibili torti e ragioni (dov’è chiaro che sono i primi a prevalere), abbiamo assistito alla consueta calata degli avvoltoi. Giornalisti superficiali, politici in cerca di visibilità, esperti e superesperti che discettano di teorie, mancando di buona pratica. Per questo, il nucleo essenziale dell’accaduto dev’essere ribadito con forza ancora una volta: non le modalità maldestre del prelievo a scuola del ragazzo (per le quali la polizia s’è già scusata), quanto la complicata scelta del padre. L’atroce crocevia che si è trovato davanti. Sono stati in molti a ricordare la parabola di Re Salomone e il neonato conteso da due madri, con quella vera che fa un passo indietro pur di salvare la vita al piccolo. Ma questa possibilità non c’era, o era molto limitata, per il padre padovano. Ritirarsi in buon ordine ancora una volta, dopo cinque anni di lontananza dal figlio non solo avrebbe peggiorato l’alienazione in atto, ma anche aggravato quella situazione di condizionamento che Leonardo si trovava a vivere. E che gli potrà rovinare la vita. Abbiamo scritto condizionamento, e non altro, perché nello sciocchezzaio ascoltato è ricomparsa una pregiudiziale violenta, che associa mammismo e femminismo in una miscela esplosiva, e contro la quale in Italia si rischia di venire senz’altro linciati sul posto. Nulla di nuovo, rispetto al conformismo degli anni Settanta. Un’alleanza pregiudiziale che contesta l’esistenza della «Sindrome di allontanamento genitoriale» (Pas), scredita la figura dello psichiatra inventore (morto suicida) e la relega pressappoco a uno stratagemma dei maschi stupratori per non perdere le loro vittime predilette. «Una patologia inesistente ma usata nei tribunali», scrive tra l’altro Luisa Betti sul Manifesto ( e magari lo fosse). L’articolista non esita a dare del «pedofilo» all’inventore del metodo di rilevazione medico-scientifica, lo psichiatra Richard Gardner. E a sostenere assunti di gravità indecente, tipo: «in verità la Pas serve spesso per tappare la bocca ai bambini che non vengono presi in considerazione nei loro racconti», avvalorati da dichiarazioni di una sconosciuta docente padovana di Psicologia sociale e di comunità. Ma non importa. Se la sindrome di alienazione è un concetto controverso, si potrà almeno definire «disagio psicologico», quello di un bimbo che si dimena in quel modo per non andare con il padre? È in quella sequenza, la chiave per comprendere. La persona che regge le gambe del ragazzo è, appunto, il padre. Altro che trattamento da «criminale» da parte dei poliziotti: quando il padre si è avvicinato al figlio in classe, prima che si procedesse con la forza, abbracciandolo, Leonardo aveva reagito come al solito in questi anni: strepiti, urla, tentativi di fuga. Forse comportamento «normale», per l’apparato vetero-femminista in servizio permanente effettivo, che in ogni uomo vedono un mostro in agguato. Forse «giustificabile» per l’imperituro mammismo di cui la cultura italiana è intrisa. Invece appare semplicemente aberrante, che un figlio possa rivoltarsi in quel modo, considerato che il padre non era stato certo giudicato – in nessuna delle numerose tappe legali della guerra dei Roses – né pericoloso, né violento, né troppo severo, né stupratore, né padre-padrone. Un padre normale, screditato dalla ex moglie al punto da ingenerare nel bambino reazioni di quel tipo. Al contrario, dagli striscioni visti davanti alla scuola di Cittadella alla folla di blateranti televisivi, il punto fondamentale sembra esser diventato l’«ascolto del bambino». Un bambino «condizionato» in questo modo grave può esserlo certamente, ma soltanto se si fa dell’ascolto una leva per fargli ritrovare poco per volta un equilibrato rapporto con entrambi i genitori. «La madre ha un forte ascendente sul figlio – ha spiegato lo psichiatra di Mestre perito del tribunale, che su qualche giornale sembra esser diventato un criminale al pari del padre – e l’ha usato per la sua guerra contro l’ex marito. Il bambino era per lei, nel rapporto con il padre, come un cane da tenere al guinzaglio, uno di quei guinzagli che si allungano e si accorciano a piacimento. La relazione padre-figlio è uscita dilaniata e Leonardo ha cominciato a soffrire di una sindrome legata al conflitto di fedeltà, tipico del bambino che deve aderire a un comando». Parole dolenti, ma non scomposte come quelle che si sentono. Un caso limite, ma affatto isolato e sconosciuto per chiunque sia passato attraverso una dolorosa separazione coniugale.