Cosa fare in di richiesta di addebito e false denunce
In una causa di separazione, esistono due modi per difendersi da una richiesta di addebito avanzata dall’altro coniuge (sia questi il marito o la moglie).
Il primo è contestare il fatto in sé, fornendo prove contrarie a quelle prodotte dalla controparte, se la ragione dell’addebito è un presunto tradimento, e la prova viene fornita con testimoni, bisognerà tentare di dimostrare che:
– i testi non sono attendibili
– i testi non possono essere informati dei fatti tanto da affermare, con assoluta certezza, il fatto in sé
– che le dichiarazioni dei testi sono generiche e vaghe, frutto di supposizioni o di fatti riportati da terze persone. Proprio riguardo a questo punto, bisogna chiarire che la testimonianza indiretta (o anche detta “de relato”), cioè quella che attiene a fatti non conosciuti in prima persona, ma solo “per sentito dire” da altri, non ha valore all’interno del processo.
Qualora la prova dell’addebito sia costituita da una fotografia, bisogna contestare la produzione della stessa. Difatti, recita il codice, le riproduzioni meccaniche (fotocopie, fotografie, ecc.) fanno prova solo se non contestate dalla controparte. Attenzione però: non si può trattare di una contestazione generica e non fondata su un motivo specifico. Bisogna dare una motivazione concreta: per esempio, che la foto si riferisce a una data diversa da quella dichiarata dalla controparte, ecc. Insomma, bisogna insinuare il dubbio sull’autenticità dello scatto.
Nel caso in cui la prova sia il report di un investigatore, esso non ha valore di prova documentale all’interno del processo civile. Quindi, a meno che l’ex coniuge, a supporto della relazione del detective ha chiamato quest’ultimo a deporre come testimone (nel qual caso, vedi quanto appena detto), allora detta documentazione non potrà essere utilizzata a sostegno delle accuse.
Lo stesso discorso può farsi con qualsiasi altro tipo di accusa. La legge che regola il nostro processo civile, infatti, stabilisce il principio del cosiddetto “onere della prova”, che funziona pressappoco così (salvo alcune eccezioni):
– chi vuol far valere un proprio diritto deve dimostrare i fatti a fondamento dello stesso: così, nel caso di specie, chi vuol chiedere l’addebito nei confronti del marito o della moglie, deve anche fornire la prova della verità di ciò che assumere essere avvenuto e che determinerebbe la responsabilità in capo all’ex coniuge;
– una volta fornita tale dimostrazione, spetta alla controparte dimostrare il contrario, per vincere le accuse mossegli.
Se i fatti sono veri e incontestabili
Se, però, è impossibile contestare i fatti dedotti dall’ex coniuge perché inequivocabilmente veri e dimostrabili, l’unica difesa è dimostrare che il tradimento, l’abbandono del tetto coniugale o le manifestazioni di disprezzo sono avvenute in un clima familiare già definitivamente compromesso.
Infatti, è causa di addebito solo quel comportamento che dà luogo alla crisi della coppia, rendendola irreversibile. Se, invece, il matrimonio era già stato spezzato da altri fatti altrettanto gravi, tanto da aver rotto la comunione morale e materiale dei coniugi, il tradimento, l’abbandono della casa familiare e ogni altra condotta non può essere causa di addebito.
Si pensi, tanto per fare un esempio, al caso di Tizio, colto da Caia a tradirla. Tuttavia, se Caia aveva già lasciato il marito, andando a vivere dai propri genitori, perché tra i due non vi era più l’amore e la solidarietà di un tempo, il tradimento di Tizio non può essere ritenuto dal giudice “causa di addebito”.
Ovviamente, sempre per il predetto principio dell’onere della prova, Tizio dovrà dimostrare quanto da questi affermato: ossia che la crisi della coppia è da ascrivere a un momento antecedente alla sua condotta.
Che comporta l’addebito?
Detto ciò, bisogna comunque comprendere quali sono le conseguenze dell’addebito. Spesso, infatti, si consumano in giudizio feroci battaglie per ottenere la dichiarazione di addebito a carico dell’altro coniuge, ma le conseguenze, in realtà, non sono così drammatiche come potrebbero sembrare.
Innanzitutto diciamo che l’addebito non comporta (come spesso erroneamente si crede):
– l’obbligo di corrispondere gli alimenti all’ex coniuge: tale valutazione, rimessa al giudice, consegue ad altre valutazioni, ossia la sproporzione del reddito tra i due coniugi. Così, ben potrebbero verificarsi situazioni in cui il coniuge senza addebito sia comunque condannato al pagamento del mantenimento dell’ex, per il fatto di possedere un reddito più elevato di quest’ultimo; e situazioni in cui chi ha subìto l’addebito, invece, non debba pagare il mantenimento (si pensi alla moglie che ha tradito il marito, ma che tuttavia è disoccupata). È vero però il contrario: chi subisce l’addebito perde il diritto al mantenimento (nell’esempio di poc’anzi, se è vero che la moglie non dovrà pagare il mantenimento, non potrà neanche chiederlo;
– la perdita dell’affidamento dei figli: anche questa è una valutazione che viene rimessa al giudice sulla base dell’interesse dei minori e valutata l’idoneità del coniuge a prendersi cura della prole. Così un marito o una moglie che ha tradito può ben essere un ottimo padre o madre.
Ma allora, quali conseguenze comporta l’addebito? Eccole qui:
– il coniuge cui è addebitata la separazione perde i diritti successori, sempre che, al momento dell’apertura della successione, egli fosse titolare dell’assegno alimentare: per cui, per esempio, se tra la separazione e il divorzio muore l’altro coniuge, chi ha ottenuto l’addebito non è suo erede (diritto che altrimenti gli spetterebbe);
– il coniuge cui è addebita la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento, ma non agli alimenti, qualora ne ricorrano i presupposti, ossia versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (ad esempio per impossibilità di svolgere un’attività lavorativa remunerativa).
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/