CRITERI DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO AL CONIUGE
Con un trittico di sentenze emesse nello stesso giorno (riportate in fine articolo, per esteso), la S.C. ritorna a fissare principi sul mobile tema della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole, ossia del coniuge, che, dopo la separazione od il divorzio non riesce più a mantenere un tenore di vita adeguato, ossia quanto più corrispondente a quello mantenuto in costanza di matrimonio.Le sentenze sono motivate per punti: indice sia del lavoro continuo ed incessante della S.C., che deve farsi carico di uno spropositato numero di ricorsi (riuscendo a motivare sempre in modo adeguato) ed anche della continua riproposizione alla Corte di questioni inerenti al tema dell’assegno.
Difatti, l’ampiezza dei criteri diretti a valutare il “gap” reddituale e la difficoltà di fissare criteri “matematici” (o, anche, l’impossibilità di fissarli) porta a continue liti fra gli ex coniugi che già appartengono, per definizione, fra i soggetti più litigiosi e poco propensi a trovare un accordo bonario.
Ecco che la Corte è sempre chiamata a controllare la ragionevolezza dei criteri assunti da giudice di merito per la determinazione dell’assegno, ponendo sempre lo sbarramento della impossibilità di ripetere qualsiasi giudizio di merito, restando confinata, la valutazione della S.C., nell’ambito della ragionevolezza,adeguatezza, logicità del metro di giudizio utilizzato in concreto.
La riflessione,quindi, porta a sollecitare in capo ai difensori delle parti il più ampio , sistematico ricorso alla prova documentale (regina nel determinare l’effettiva situazione economica dei coniugi) sorretta da appropriate testimonianze su aspetti della concreta vita dei coniugi che incidono sul concreto apporto economico che ciascuno dei coniugi ha recato al sostentamento della famiglia.
Così:
– il presupposto per concedere l’assegno nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio. il tenore di vita cui il giudice deve fare riferimento non è quello che l’altro gli ha consentito durante la convivenza, ma quello che avrebbe dovuto consentirgli in base alle sue possibilità economiche, né quello tollerato o subito dal coniuge beneficiario;
– il tenore di vita non è determinato solo dall’apporto di uno di essi o dal lavoro svolto dal marito o dalla moglie senza alcun rapporto fra le due attività. La vita coniugale è determinata dalla costante attività di entrambi i coniugi, attività sia di produzione di reddito che di aiuto concreto all’andamento della famiglia, per cui i mezzi adeguati a mantenimento del coniuge debole economicamente, in modo necessario, dovranno rifarsi alla situazione globale, unitaria delle condizioni familiari e dei redditi goduti
– per quanto riguarda i cespiti patrimoniali la Cassazione ha stabilito che il giudice del merito deve tener conto del reddito in concreto percepito dal coniuge tenuto all’erogazione e non del valore dei cespiti che sono fonte di tale reddito. Aggiunge, che di tali cespiti non può, infatti, essere imposta l’alienazione, al fine di un diverso e più utile reimpiego per la produzione di un maggior reddito, che sia adeguato a soddisfare ai bisogni di vita dei due soggetti (l’obbligato all’erogazione dello assegno e il destinatario dell’assegno medesimo), non essendo tale ipotesi prevista dalla legge;
– il giudice potrà riferirsi ad un criterio equitativo per la commisurazione alla capacità reddituale dell’obbligato (ad es. con un riconoscimento pari ad una somma compresa fra un terzo ed un quarto del reddito percepito dal coniuge obbligato;
– tenuto conto che l’assegno, anche in sede di separazione, deve essere idoneo a conservare tendenzialmente al coniuge il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, e indice di tale tenore di vita, in mancanza di ulteriori prove, può essere l’attuale divario reddituale tra i coniugi (tra le altre Cass. N., 2156 del 2010, seppur con riferimento all’assegno divorzile).
-il giudice potrà basarsi su eventuale CTU espletata per la ricostruzione dei redditi complessi (quando la parte ha apportato al processo almeno un principio di prova in tema, si da evitare che la richiesta di consulenza sia meramente esplorativa);
– in caso di impugnazione sulla parte della sentenza che stabilisce la concessione o la misura dell’assegno, la parte deve rammentare che la rappresentazione di specifici fatti nuovi tali da poter costituire il presupposto per il ripristino di un assegno non impone al giudice di riesaminare l’intera posizione economica dei coniugi in difetto di deduzioni specifiche e relative a fattori modificativi della situazione preesistente;
– l’onere probatorio deve essere adempiuto adeguatamente, poiché il tribunale ha a disposizione, per determinare il quantum dell’assegno (sino anche a ridurne la portata o ad annullarlo), diversi criteri (condizioni di redito dei coniugi, ragioni della decisione, contributo di ognuno dato alla vita familiare, durata del matrimonio), tutti variamente combinabili per giungere alla determinazione il più possibile vicina non solo alle concrete esigenze patrimoniali del coniuge meno forte economicamente, ma, anche, alle esigenze che il matrimonio, per come strutturato, per il modo in cui la concreta vita quotidiana era stata impostata fra i coniugi (art. 143 c.c.), poteva far sperare;
– inoltre i criteri non sono tutti utilizzabili in modo necessario, ma devono essere rapportati a quanto concretamente dedotto dalle parti e quanto oggetto di relativa prova;
– ancora, l’art. 5, l. divorzio, che fa carico al Tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, in caso di contestazioni, non impone un adempimento dettato a pena di nullità ma si traduce in una deroga alle regole generali sull’onere della prova, nel senso che la domanda di corresponsione dell’assegno non può essere respinta per la mancata dimostrazione da parte dell’istante delle condizioni economiche dell’altro coniuge; conseguentemente, il giudice può avvalersi di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti, può far uso di presunzioni e ricorrere a nozioni di comune esperienza per l’accertamento delle condizioni economiche delle parti e non è tenuto ad ammettere o disporre ulteriori mezzi di prova quando ricorrano elementi sufficienti per la formazione del suo convincimento, che si sottrae a censura in sede di legittimità quando sia logicamente e congruamente motivato;
– la determinazione in sede di procedimento di separazione potrà rappresentare un ottimo indicatore di quello che è stato considerato il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, visto che, le considerazioni da effettuare, le valutazioni da ponderare sono le medesime nei due procedimenti.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 ottobre – 6 dicembre 2012, n. 21988
Presidente Fioretti – Relatore Piccininni
Svolgimento del processo
Con ricorso del 4.10.2005 G..F. sollecitava declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato con R..V. .
Pronunciato il divorzio dal Tribunale di Bolzano adito, il giudizio proseguiva con riferimento alla richiesta del riconoscimento di assegno di mantenimento avanzata dalla V. , richiesta che veniva accolta con la condanna del F. a corrispondere alla ex coniuge un assegno di mantenimento quantificato nella misura di Euro 1.200.
La decisione, impugnata dall’originario ricorrente, veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che riduceva l’importo dell’assegno di mantenimento a Euro 800 mensili, stabilendone la decorrenza a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, nonché il conguaglio con quanto la V. aveva ricevuto in più, per effetto dei maggiori versamenti effettuati dal F. , in adempimento degli obblighi originariamente posti a suo carico.
Avverso la detta sentenza V. proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi (di cui il terzo articolato in due profili), cui resisteva F. con controricorso.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 17.10.2012.
Motivi della decisione
Con i motivi di impugnazione V. ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 5 l. 898/70 con riferimento alla misura dell’assegno divorzile, per la cui quantificazione a torto si sarebbe fatto esclusivo riferimento alla capacità reddituale attuale dell’obbligato;
2) vizio di motivazione in ordine alla detta quantificazione;
3) analogo vizio in relazione alla medesima statuizione, rispetto alla quale: a) non si sarebbe tenuto conto del patrimonio, e segnatamente del TFR; b) si era ritenuta non dimostrata la situazione patrimoniale;
4) vizio di motivazione laddove la Corte territoriale aveva assunto come importo di riferimento, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento,- il reddito netto anziché quello lordo;
5) Violazione di legge per aver la Corte di Appello pronunciato secondo equità;
6) vizio di motivazione sul punto relativo alla rivalutazione dell’assegno in questione, erroneamente calcolata sulla base degli indici ISTAT, anziché su quelli della provincia di Bolzano.
Il ricorso è infondato.
Ed infatti, per quanto concerne i primi cinque motivi di impugnazione la doglianza risulta sostanzialmente incentrata sulla pretesa erroneità della decisione, nella parte relativa alla quantificazione dell’assegno divorzile.
Tuttavia al riguardo va osservato che la Corte territoriale ha fornito l’indicazione del parametro adottato (commisurazione alla capacità reddituale dell’obbligato), il detto parametro non contrasta con la normativa vigente (segnatamente art. 570/898, che per l’appunto indica fra gli altri il reddito dei coniugi quale piattaforma di commisurazione per la determinazione dell’assegno in questione), sicché non è configurabile alcuna violazione di legge.
Inoltre il criterio adottato (un riconoscimento pari ad una somma compresa fra un terzo ed un quarto del reddito percepito dal F. ) è sufficientemente determinato ed è espressione di valutazione di merito (in tal senso, contrariamente a quanto sostenuto, va inteso il contestato riferimento all’equità da parte della Corte di Appello, che all’evidenza intendeva operare un bilanciamento fra le posizioni reddituali dei due coniugi), come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.
Resta infine il sesto motivo di impugnazione, in relazione al quale è sufficiente rilevare che la rivalutazione del credito si determina sulla base degli indici ISTAT, che in quanto tali trovano applicazione su tutto il territorio nazionale (circostanza che rende inconsistente la doglianza prospettata sul punto) e che comunque, anche a voler ipoteticamente accedere alla tesi sostenuta dalla ricorrente, la pretesa residenza della V. nella provincia di Bolzano è semplicemente affermata, mentre un’eventuale delibazione al riguardo presupporrebbe accertamenti in fatto non compatibili con il giudizio di legittimità.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per compenso, oltre agli accessori di legge.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 settembre – 6 dicembre 2012, n. 21979
Presidente Fioretti – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 27 – 30/3/2007, il Tribunale di Vicenza dichiarava la separazione personale dei coniugi Z.A. e G.G. ; dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dalla G. di addebito della separazione al marito e rigettava la sua domanda diretta ad ottenere un contributo per il mantenimento, a carico dello Z. .
La G. proponeva appello, con ricorso notificato in data 03/08/2007. Si costituiva la controparte, chiedendone il rigetto e la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza in data 12/11/ – 25/01/2008, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della impugnata sentenza, condannava Z.A. a corrispondere alla G. assegno mensile di Euro 1.500,00.
Ricorre per cassazione lo Z. , sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso la G. .
Lo Z. ha depositato memoria per l’udienza.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 166, 167, 170 c.p.c., affermando che la domanda della G. era tardiva, non avendo rispettato la relativa memoria il termine di cui all’art. 167 c.p.c. di venti giorni prima dell’udienza.
Con il secondo motivo, egli sostiene la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., in quanto la Corte di merito avrebbe del tutto ignorato l’eccezione proposta di inammissibilità della domanda.
I due motivi, attinenti alla tardività della domanda della G. , possono trattarsi congiuntamente e vanno dichiarati inammissibili.
Non era sufficiente infatti – come invece afferma l’odierno ricorrente – proporre l’eccezione in comparsa di risposta in appello, ma, al contrario, sarebbe stata necessaria una specifica impugnazione da parte dello Z. (sotto forma di appello incidentale), laddove egli si è limitato a chiedere la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 cpc e 2697 c.c., in ordine al reddito delle parti e al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di convivenza. Con il quarto, vizio di motivazione circa le attuali condizioni economiche dei coniugi; con il quinto, vizio di motivazione sul tenore di vita dei coniugi durante la convivenza famigliare; con il sesto, vizio di motivazione circa il criterio con cui è stato determinato l’assegno mensile a carico del ricorrente.
I motivi possono trattarsi congiuntamente, essendo tutti attinenti alla fondatezza della domanda di assegno.
Va osservato a tal proposito che l’assegno, anche in sede di separazione, deve essere idoneo a conservare tendenzialmente al coniuge il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, e indice di tale tenore di vita, in mancanza di ulteriori prove, può essere l’attuale divario reddituale tra i coniugi (tra le altre Cass. N., 2156 del 2010, seppur con riferimento all’assegno divorzile).
Del resto, il ricorrente per gran parte propone profili di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una sentenza dalla motivazione adeguata e non illogica.
Il giudice a quo non ha certo esorbitato dalle sue competenze, richiamando la CTU espletata, nonché le dichiarazione dei redditi, delle quali quelle dello Z. apparivano incomplete, le dichiarazioni delle parti all’udienza presidenziale, gli estratti conto prodotti.
Secondo la Corte di merito, emerge dalle risultanze di causa l’esistenza di un cospicuo patrimonio immobiliare dello Z. (come indicato dal CTU), fonte di un discreto reddito mensile di Euro 5.300,00, ma una ben più notevole disponibilità di denaro (sulla base degli estratti di conto corrente). Assente infine era, nella pronuncia di primo grado – secondo la sentenza impugnata -la valutazione relativa a partecipazione societaria (una quota del 75% – il 50% era stato valutato nell’anno 2000 in lire 719.000.000 da uno studio di commercialisti, come da documentazioni in atti; di tale società lo Z. era amministratore).
Al contrario per la moglie, il reddito mensile, sulla base delle dichiarazione dei redditi (lavoro e affitti di fabbricati di sua proprietà) – continua il giudice a quo – è di Euro 3.000,00, da cui dovrebbe sottrarsi la somma di Euro 786,84 per mutuo per acquisto di abitazione, risultante da piano di ammortamento bancario. (Aggiunge la sentenza impugnata con, motivazione adeguata e non contraddittoria, che pur non essendo prodotto il contratto di mutuo, può presumersi la conclusione di tale contratto, che non richiede prova scritta).
Quanto alla determinazione dell’importo dell’assegno, chiarisce la sentenza impugnata che l’importo di Euro 1.500,00 mensile è “cifra minima”, in relazione alla notevole sproporzione delle condizioni economiche dei coniugi.
Conclusivamente va rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.200,00 per compenso ex D.M. n. 140/2012, oltre accessori di legge.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 giugno – 6 dicembre 2012, n. 21977
Presidente Fioretti – Relatore Bisogni
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Belluno con sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio intercorso fra B.G. e C..D.V. poneva a carico del primo un assegno divorzile per l’ammontare di 220 Euro ma la Corte di appello di Venezia, accogliendo l’appello del B. , dichiarava non dovuto alcun assegno.
2. Con ricorso del 28 maggio 2007 C..D.V. ha chiesto il ripristino dell’assegno adducendo il peggioramento delle sue condizioni economiche (condizioni di salute, accresciuta difficoltà di reperire un’occupazione lavorativa, necessità di interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria nel fabbricato condominiale in cui è ubicata la sua abitazione cui aveva fatto fronte con un mutuo) e il miglioramento di quelle del B. (entrato finalmente in possesso di alcune proprietà ereditate in precedenza che aveva potuto cedere in locazione).
3. Il Tribunale di Belluno ha accolto parzialmente il ricorso e ha imposto al B. l’obbligo di versare un assegno mensile di 100 Euro a decorrere dall’agosto 2008 e con rivalutazione a partire dall’anno successivo.
4. La Corte di appello di Venezia ha respinto il reclamo del B. e quello della D.V. .
5. Ricorre per cassazione G..B. affidandosi a tre motivi di ricorso.
6. Si difende con controricorso C..D.V. .
Motivi della decisione
7. Con il primo motivo di ricorso si deduce error in procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte di appello fatto malgoverno dei principi in materia di giudicato sostanziale e di preclusione del dedotto e del deducibile. Il ricorrente imputa alla Corte di appello di aver qualificato erroneamente come sopravvenienza fattuale un evento già verificato al momento della precedente statuizione della stessa Corte di appello che aveva negato l’assegno divorzile riferendosi all’acquisito possesso di un immobile già ereditato in precedenza. Rileva infatti che tale acquisizione del possesso era già intervenuta nel 2004 e cioè precedentemente alla citata sentenza del 29.11.2004/22.2.2005.
8. Il motivo è infondato perché la circostanza che costituisce una variazione della posizione reddituale degli ex coniugi consiste nella percezione del reddito da tale immobile e non dalla sua semplice acquisizione.
9. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la contraddittorietà della motivazione quanto al collegamento fra un aggravio una tantum delle condizioni economiche della ex moglie e l’imposizione a tempo indefinito di un assegno divorzile a carico del ricorrente.
10. Anche questo motivo è infondato perché è stato preso in considerazione non l’esborso costituito dall’importo complessivo della quota dei lavori condominiali ma l’esposizione debitoria contratta a tal fine dalla D.V. con l’acquisizione di un finanziamento bancario.
11. Con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa e insufficiente motivazione, per aver la Corte di appello ricollegato ai riscontrati fatti nuovi l’imposizione a tempo indefinito di un assegno in assenza di rinnovata valutazione comparativa circa le situazioni economiche degli ex coniugi.
12. Il motivo appare formulato in modo del tutto generico ed erroneo perché la rappresentazione di specifici fatti nuovi tali da poter costituire il presupposto per il ripristino di un assegno non impone al giudice di riesaminare l’intera posizione economica dei coniugi in difetto di deduzioni specifiche e relative a fattori modificativi della situazione presistente.
13. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 2.500 Euro di cui 200 per spese.
Fonte: http://www.personaedanno.it/