Crocetti: «Sentenze che creano bambini disturbati»
Due strappi nello stesso giorno. Ieri dunque in Germania la Corte Costituzionale di Karlsruhe ha stabilito che in una coppia omosessuale la partner ha diritto di adottare il minore già adottato dalla compagna in una precedente unione eterosessuale: se cioè al padre adottivo subentra una seconda figura femminile, il risultato non cambia. E in Austria una donna lesbica, madre di un bambino avuto in precedenza da un’unione eterosessuale, ha ottenuto dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo che la nuova compagna possa adottare suo figlio.Due casi diversi, ma entrambi basati sul principio che se una cosa è lecita per due conviventi eterosessuali, lo è anche per due conviventi omosessuali. «Come si vede, si parla sempre e solo di “diritti” degli adulti. Mai un riferimento alle esigenze assolute, vitali e imprescindibili dei bambini. Se si considerassero i loro bisogni, le sentenze sarebbero opposte», rileva Guido Crocetti, professore di Psicologia clinica alla Sapienza di Roma e direttore del Centro italiano di Psicoterapia psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza. Si tratta di sentenze che non ci riguardano da vicino, perché si rivolgono ai Paesi in cui l’adozione è aperta anche alle coppie non sposate (imponendo ad essi di estendere lo stesso diritto alle coppie gay), mentre per la legge italiana solo le coppie unite in matrimonio possono adottare… Ma dobbiamo preoccuparci lo stesso? Assolutamente sì, perché oggi viviamo in una cultura che tende ad azzerare sempre più le diversità, persino quelle biologiche, fisiche, incontestabili: l’essere maschio e femmina non è un’invenzione, parte da un dato biologico, e come tale va anzi valorizzato. La nostra cultura da ambivalente – basata sul binomio maschile/femminile – sta diventando ambigua, a tutti i livelli: nelle relazioni uomo/donna, ma anche padre/madre e figli. Questa continua ambiguità confonde i ruoli, le funzioni, i codici comportamentali, gettando nel caos soprattutto i più fragili, quei bambini che invece chiedono, vogliono, esigono un papà e una mamma, ognuno dei due con un suo ruolo e le sue proprie funzioni. Che cosa risponde a chi, compresi i giudici di Strasburgo, dichiara che non è dimostrabile una differenza tra coppie di genitori eterosessuali o gay nell’interesse dei minori? Da trent’anni lavoro sui disagi psichici dei bambini e do voce ai loro bisogni. I bambini vogliono la coppia, la esigono imprescindibilmente, e la vogliono insieme, unita. Imperativo categorico è che sia formata da un padre e una madre: è questa la garanzia di cui hanno bisogno per esistere. Poi i bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti. Posso citare almeno un secolo di studi internazionali che lo dimostrano. Ma occorrono tante dimostrazioni? Non è intuitivo e logico che il meglio per un figlio è avere un padre e una madre? Sono domande che non si pone più nessuno. Gli studi esistono, ma bisognerebbe leggerli e conoscerli, invece tutti parlano senza competenza, sempre e solo nell’ottica dell’adulto. Chi oggi dà una legittimazione legale al bambino? Tutte le combinazioni sono a misura delle esigenze più o meno sane, più o meno perverse, degli adulti, che accomodano la realtà del minore alle proprie aspettative narcisistiche. Guardiamoci attorno: non gli diamo ciò di cui ha naturalmente bisogno per crescere, è lui che deve adattarsi alle condotte degli adulti. Come crescerà ad esempio il bambino austriaco, che avrà due “genitori” dello stesso sesso? Questi sono i paradossi della legge: il bambino ha già un suo padre, che è figura primaria quanto una madre, tutti i processi di orientamento e identificazione psicosessuale prevedono le due figure distinte: la loro assenza dà adito a un disorientamento sull’identità. O recuperiamo regole e limiti strettamente correlati ai valori, o la psicopatologia infantile avrà sempre più piccoli pazienti da curare. Già oggi stanno aumentando in modo esponenziale.
Lucia Bellaspiga
Fonte:www.avvenire.it