Dalla parte dei padri (per una volta)
Basta la scena di un film per rompere un tabù e sovvertire il luogo comune, nelle coppie separate con figli, della madre premurosa e del padre menefreghista.
Ad ogni costo, lungometraggio lowcost ambientato nella marginale periferia romana e presentato all’ultimo Festival di Roma, è un piccolo capolavoro del cinema indipendente italiano, un pugno in piena faccia al fighettismo scamarcesco al quale preferisce il volto consunto e neorealista di Gennaro Romano, spacciatore cacciato di casa dalla moglie, costretto a vivere in una roulotte nel parcheggio di un condominio fatiscente e padre di un bambino di nove anni tolto alla famiglia e rinchiuso in un istituto.
Gennaro si incatena ai cancelli della struttura perché vorrebbe vedere il figlio, almeno un saluto, ma per gli assistenti sociali dovrebbe semplicemente trovare un lavoro onesto – materia rarissima nei quartieri dormitorio di Guidonia. Non si vergogna di piangere per Pasqualino, lo chiama e gli manda baci. Poi ecco la scena: la ex moglie esce dal carcere, vuole ricominciare a fare la capo-zona dello spaccio, e soprattutto rivuole il figlio. Non appena capisce che Gennaro per disperazione sta organizzando di rapire il bambino e ricominciare una vita al nord, lo uccide. Con l’inganno, di sorpresa.
Nella precisa volontà dei registi Davide Alfonsi e Denis Malagnino la pellicola è, anche, una riedizione particolarissima diKramer contro Kramer dove a soccombere, materialmente, è l’amore paterno. Svalutato, vilipeso, messo in second’ordine rispetto a quello materno. E un tabù, dicevamo. Perché se è vero che nella cronaca sono i padri, i mariti, gli ex compagni ad uccidere le donne, è altrettanto vero che in altre famiglie sfasciate sono i padri a soffrire l’allontanamento coatto dei figli, spesso senza possedere gli strumenti per ribaltare il verdetto personale delle ex compagne.
Nei giorni scorsi la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha dato ragione ad un padre divorziato di Rimini che per tre anni non ha potuto vedere il figlio perché la ex moglie semplicemente si sottraeva agli obblighi stabiliti dai giudici ovvero una visita ogni quindici giorni. Una vittoria di Pirro: la Corte ha condannato l’Italia perché il Tribunale per i minorenni di Bologna non ha messo in atto tutti i meccanismi e le sanzioni (esistenti) per consentire all’uomo di vivere accanto al bambino, eppure quel padre ancora non può vederlo. Una storia che si ripete all’infinito, e non sono rari i casi di padri disperati che tentano il suicidio.
Negli anni, sotto l’occhio sospettoso dei gruppi in difesa delle donne, sono nate decine di associazioni che radunano uomini separati (dai figli) con l’obiettivo di fare funzionare correttamente la legge sull’affido condiviso approvata nel 2006 e che stabilisce la bigenitorialità: non più figli affidati quasi esclusivamente alle madri e con giorni prefissati per stare con il padre, ma una responsabilità congiunta nell’educazione. Tuttavia poco o nulla è cambiato.
«Quella legge non viene applicata – avverte Alessio Cardinale della Adantium, rete di associazioni dei padri separati – I giudici per i minorenni, forse ancorati all’antico pregiudizio del padre assente, hanno inventato la formula del collocamento prevalente ossia decidono che il domicilio elettivo dei figli è quello delle madri nel 98% dei casi». In caso di forti conflitti tra ex coniugi, lamenta Cardinale, la prima vendetta è quella di sottrarre i bambini al padre «e le sanzioni previste non vengono mai comminate».
Stanchi di ricorsi a vuoto, i padri della Adantium nelle scorse settimane hanno dato il via ad una class action contro il ministero della Giustizia per mancata vigilanza sulla corretta applicazione dell’affido condiviso. Della materia si stanno occupando ormai stabilmente anche i radicali che a settembre hanno rivolto un’interrogazione parlamentare ad Angelino Alfano chiedendo di riequilibrare le sentenze dei giudici, propensi nell’88% dei casi all’affidamento esclusivo (alle madri): «Molti tribunali continuano a sostenere che l’affidamento condiviso può essere concesso solo in un numero limitatissimo di casi, negandolo, in particolare, in presenza di conflittualità, tenera età dei figli, distanza tra le abitazioni dei due genitori». I gruppi dei padri divorziati sono convinti che esiste un pregiudizio di genere visto che la maggior parte dei magistrati per minorenni sono donne e dunque propense a parteggiare per le madri. Attaccano, insomma, la professionalità dei giudici.
A chi sostiene che un marito violento con la moglie sia un ostacolo all’affido condiviso risponde una recente sentenza della Cassazione secondo la quale un cattivo marito non necessariamente è un cattivo genitore. Un’altra sentenza stabilisce che l’affido condiviso deve essere «la regola» e non l’eccezione. Sono pronunciamenti che preoccupano non poco le associazioni contro la violenza sulle donne perché nella realtà una ex moglie vittima. di abusi viene obbligata a continuare il rapporto con l’ex marito.
Tiziana Valpiana era senatrice di Rifondazione comunista quando il parlamento varò l’affido condiviso. e rimane convinta che la legge abbia acuito i conflitti: «Scompare l’assegno di mantenimento ma si moltiplicano i motivi di litigio per ogni spesa dedicata ai figli». Chi compera il quaderno? Chi paga l’iscrizione alla scuola di calcio?
La questione degli alimenti è comunque un altro punto dolente. «Con il domicilio prevalente. spesso presso la madre, ai padri viene imposto di pagare un assegno separativo ed è per questo motivo che molti si ritrovano sul lastrico», continua Cardinale.
La povertà dei padri separati è ormai entrata nelle statistiche. A Milano è stato persino inaugurato un centro-dormitorio per uomini che, a causa del divorzio, non possono nemmeno pagare un affitto. Si chiama Casa del papà separato, il canone mensile 130 curo. E questo perché molti uomini stavano diventando letteralmente dei clochard. Come Gennaro Romano nella sua roulotte a Guidonia.
La lista Bonino Pannella ha presentato, il 5 novembre scorso, una proposta di legge regionale nel Lazio per andare incontro alle difficoltà economiche della separazione, un aiuto materiale anche per trovare un alloggio alternativo poiché molti uomini (sempre loro) spesso si ritrovano a tornare nel- la casa dei genitori oppure a non avere un appartamento adatto per stare con i figli, quando è il loro turno. «Separarsi è diventato un lusso», avvertono i radicali.
Dissente dalle posizioni dei padri separati l’avvocata Laura De Rui, fondatrice della Camera minorile di Milano e della Casa delle donne maltrattate della stessa città: «Affido condiviso non significa collocamento alternato del bambino ora nella casa del papà ora nella casa della mamma. Piuttosto significa responsabilità condivisa nell’educazione dei figli». E se la maggior parte dei giudici decide spesso di privilegiare le madri nella scelta del domicilio prevalente «è perché esiste una letteratura scientifica sull’attaccamento materno del bambino». Certo, esistono casi drammatici ed esistono donne che impediscono la presenza dei padri: «Ma le rivendicazioni dei padri e delle madri perdono di vista l’interesse dei figli. Ogni bambino e ogni famiglia sono diversi e andrebbe trovata ogni volta la soluzione migliore per il minore, non per i suoi genitori». La rivolta dei padri non si placa: in Parlamento è spuntata una proposta di legge che stabilirebbe inderogabilmente ai figli di vivere una settimana dalla mamma e una settimana dal papà. La sindrome dei «figli ping-pong», per i padri separati organizzati, non esiste. Anzi, sarebbe una invenzione per impedire ancora una volta agli uomini di infondere amore paterno ai propri bambini.Kramer contro Kramer è soltanto all’inizio. Chiosa Cardinale: «Dobbiamo cambiare mentalità: gli uomini della nuova generazione non sono assenti come i nostri padri».
È comunque una buona notizia.