DDL 3390 (violenza alle donne): ….
DDL 3390 (violenza alle donne): un sano principio che degenera in delirio di massa. Parlando con franchezza. Senza tanti giri di parole: il DDL 3390 è basato su presupposti falsi.Promosso dalla senatrice Anna Serafini e firmato da altri 45 Senatori, il DDL nelle note introduttive insiste su un postulato particolarmente caro a chi sostiene la tesi della discriminazione femminile, anche se ampiamente dimostratosi falso già negli anni precedenti: la violenza domestica come prima causa di morte per le donne italiane. Già otto anni addietro (2004) la prestigiosa ONG Amnesty International ,dopo aver lanciato una campagna contro la “violenza domestica come prima causa di morte per le donne”, fece una poco dignitosa retromarcia ammettendo pubblicamente che i dati erano falsi.
Tale affermazione non corrispondeva al vero, pertanto sarebbe stata ritirata dal materiale informativo Amnesty[1]. “La campagna globale di Amnesty International contro la violenza sulle donne ha fatto uso dell’affermazione, attribuita al Consiglio Europeo, secondo cui la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne, genera più decessi del cancro e degli incidenti stradali. Questa affermazione non corrisponde ai dati cui si riferisce, viene quindi cancellata dal materiale di Amnesty International”.
Infatti secondo l’ISTAT, nel 2002, le donne decedute in Italia per “omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri” (codice descrittivo dell’Indagine: BE77) furono 159, pari allo 0,06% del totale.
159 decessi su un totale annuo di 281.094 (0,06%).
Nessuna intenzione di sottovalutare l’importanza dei 159 decessi, massimo rispetto per le vittime, grande partecipazione per il dolore delle famiglie, ferma condanna nei confronti degli autori di gesti criminali.
Ma il focus è un altro, da individuare nelle rilevazioni statistiche: lo 0.06% sarebbe ciò che la narrazione dominante tentava di imporre come prima causa di morte delle donne in Italia.
Chiarita la mistificazione?
Niente affatto; Amnesty ritratta, ma la menzogna non viene rimossa dall’immaginario collettivo che continua ad esserne condizionato. Nel 2012 lo stesso identico postulato continua ad orientare l’agenda politica: infatti la relazione introduttiva del DDL 3390 recita:
“(…) la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne in tutta Europa e nel mondo e in Italia più che altrove (…)”
“(…) nel 2011 sono state 137 le donne uccise in Italia, 10 in più dell’anno precedente (…)”.
Forse è cambiato qualcosa negli equilibri statistici, forse ciò che non era affatto “prima causa di morte” nel 2002 lo è effettivamente diventato negli anni successivi?
Proviamo a verificare, confrontando i bilanci demografici pubblicati dall’ISTAT[1]. Negli anni a seguire, fortunatamente, non è stato più toccato il picco del 2002 (159 vittime). L’allarme rimane comunque alto, oltre 100 donne uccise ogni anno è un dato gravissimo: la relazione del DDL 3390 parla di 137 vittime nel 2010, 127 nel 2009.
Come si collocano questi dati nel bilancio demografico italiano?
2010: 137 decessi su un totale annuo di 301.394 rappresentano lo 0,046 2009: 127 decessi su un totale annuo di 303.808 rappresentano lo 0,045 Con percentuali inferiori a quelle rilevate nel 2002, quindi, anche negli anni successivi la teoria “prima causa di morte” risulta essere una vistosa mistificazione.
Nel 2010 l’ISTAT rileva un totale di 301.394 decessi femminili; sottraendo le 137 vittime di violenza maschile il residuo è comunque altissimo: 301.257
Se 137 è la prima causa, da cosa dipendono gli altri 301.257 decessi? Se fosse vera la teoria del DDL 3390, nessun fattore di rischio dovrebbe aver causato più di 137 vittime.
135 per tumore? 130 per infarto? 125 per diabete? 120 per incidenti stradali? E poi …?
È dura, a fronte di centinaia di migliaia di decessi, considerare il valore di 137 unità come indicatore del più alto fattore di rischio in assoluto.
Perché questo imbroglio?
Chiariamo: anche una sola donna uccisa dal partner non può essere tollerata come “normale”. Anche una sola vittima deve rappresentare un allarme sociale per la collettività, ma allora perché non è sufficiente parlare di una violenza che causa 137 vittime, punto?
Perché Serafini & Co. si accaniscono a definirla “prima causa” contro ogni evidenza statistica? Perché gonfiare il fenomeno? Perché alzare artificialmente la soglia di gravità? Perché non dire la verità pura e semplice?
Il fenomeno esiste, nessuno lo nega; la gravità è immensa, nessuno lo nega; sarebbe immensa anche se le vittime fossero “solo” (tra virgolette) la metà, nessuno nega neanche questo.
Ma allora le domande sono sempre le stesse: perché ci si ostina da anni ad alimentare una propaganda mistificatoria? Che bisogno c’è di alzare l’allarme diffondendo teorie false? Da cosa nasce la necessità di negare l’evidenza, pur di far lievitare artificialmente la soglia di attenzione?
In sostanza: che bisogno c’è di mortificare un giusto principio, trasformandolo in un delirio collettivo?
Si tratta di una precisa scelta politica, il timore è che si tenda al varo di norme incostituzionali oltre la soglia del razzismo, sdoganate dall’alone dell’emergenza.
Norme forse ingiuste ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, forse discriminatorie rispetto alla metà della cittadinanza, ma necessarie per stroncare la fantomatica “prima causa di morte”.
È lecito temere che non sia il solo motivo
Nel DDL 3390 si legge, tra l’altro:
Capo IV, art. 16 – “(…) la gestione delle case e dei centri per le donne è assicurata attraverso convenzioni tra gli enti locali (…) ed una o più associazioni o cooperative di donne (…) nelle convenzioni può essere previsto l’apporto di idoneo soggetto bancario (…) al fine di garantire la regolarità delle erogazioni (…)”
Ah, ecco, ci sono di mezzo i finanziamenti pubblici …
Capo VIII, art. 35, Fondo per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne.
comma 1 – “è istituito presso la Presidenza del Consiglio (…) un apposito fondo destinato al cofinanziamento degli interventi di cui alla presente legge, con le seguenti finalità: (…) finanziamento degli interventi in corso (…) per l’attività delle case e dei centri delle donne (…)”.
Stesso articolo, comma 2 -“(…) al fondo affluiscono (…) il 5% delle disponibilità del Fondo Unico Giustizia (…)”
Stesso articolo, comma 3 – “(…) a favore delle regioni (…) che redigono un programma triennale per favorire l’attività delle case e dei centri per le donne che preveda finanziamenti o trasferimenti di beni e strutture, possono essere disposti trasferimenti ai sensi del comma 1 (…)”.
Stesso articolo, comma 4 – “(…) alle province, comuni e consorzi che stipulano convenzioni (…) è riservato (…) almeno il 50% delle disponibilità del fondo di cui al comma 1 (…)”.
Stesso articolo, comma 5 – “(…) i presidenti delle province e i sindaci delle aree metropolitane (…) presentano al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali (…) un programma di promozione di nuove case e centri delle donne (…)”.
Ah, ecco … l’obiettivo non è solo il denaro, sono in gioco anche sostanziosi bacini elettorali.
[1] http://demo.istat.it/bil2010/index.html
[1] http://asiapacific.amnesty.org/library/index/engACT770012004
IN ALLEGATO IL TESTO INTEGRALE DEL DDL 3390