False accuse agli ex mariti: le dichiarazioni di 10 donne addette ai lavori
«I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni», avverte Carmen Pugliese, pm del pool della Procura specializzato in reati sessuali e familiari, scorrendo i dati che vedono questo tipo di violenza aumentare in maniera significativa.Nella Bergamasca si è passati dai 278 casi del 2006 ai 306 del 2007, fino ai 382 del 2008, in pratica più di una denuncia al giorno. E se è vero che si riscontra una sempre più diffusa propensione da parte di padri e mariti ad alzare le mani, è altrettanto appurato che molte volte le versioni fornite dalle presunte vittime (quasi sempre donne) sono gonfiate ad arte.
«Solo in due casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri – analizza il pm Pugliese -. Il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione. “Se non mi concedi tot benefici, io ti denuncio”, è la minaccia che fanno alcune mogli. Tanto che, una volta ottenuto quello che volevano, tornano in Procura a chiedere di ritirare la denuncia. Non sanno che nel frattempo noi abbiamo speso tempo ed energie per indagare. L’impressione è che alcune mogli tendano a usare pm e polizia giudiziaria come strumento per perseguire i propri interessi economici in fase di separazione».
Poche, in percentuale, le inchieste che sfociano in condanna. «Molte volte – rivela il pm Pugliese – siamo noi stessi a chiedere l’archiviazione. In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. È successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia». Sono per lo più italiane (mogli di italiani e anche di stranieri) le presunte vittime che si rivolgono alla Procura. Più limitata, invece, la percentuale dei genitori (il più delle volte anziani) presi a botte dai figli. Anche papà e mamme tendono a minimizzare i fatti dopo la denuncia, ma in questo caso lo fanno per amore e non per denaro. Carmen Pugliese una tiratina d’orecchi la riserva anche alle associazioni che operano a tutela delle donne: «Non fanno l’operazione di filtro che dovrebbero fare: incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda. Mi sembra una difesa indiscriminata della tutela della donna che viene a denunciare i maltrattamenti, senza mettere in conto che questa donna potrebbe sempre cambiare versione». Ovvio che molte volte le violenze si verificano davvero e in modo pesante: «Da noi arrivano donne col volto tumefatto e in alcuni casi contro i mariti emettiamo misure cautelari». Ma talvolta a patire le conseguenze di denunce enfatizzate sono uomini che cascano dalle nuvole.
Come quel bergamasco denunciato dalla ex moglie dell’Est che s’era rifugiata in una comunità protetta. Lei lo aveva dipinto come una sorta di persecutore, lui si presentò in Procura a raccontare che il rapporto non era poi così compromesso: i due continuavano a vedersi ogni fine settimana e per provarlo l’ex marito esibì le ricevute del motel. Soldi richiesti e rapporti coniugali deteriorati, soprattutto in tempi di recessione, sono l’impasto che spesso porta davanti a un giudice. Lo si può leggere nelle statistiche dei reati consumati nella Bergamasca nel 2008, alla voce del mancato versamento di alimenti fra coppie separate. Un numero passato dai 278 casi denunciati nel 2006 ai 292 del 2007 per giungere ai 315 dello scorso anno. «E chiaro che separarsi comporta difficoltà economiche – osserva il procuratore Addano Galizzi -. Se poi in famiglia lavora solo il marito, versare gli alimenti alla moglie separata e ai figli diventa un problema quando scatta la cassa integrazione o addirittura il licenziamento, soprattutto in questi periodi di crisi economica diffusa». A volte sono gli inquirenti stessi a mettersi la mano sul cuore: « Se – confessa il pm Pugliese – un ex marito per uno o due mesi non versa gli alimenti e mi documenta che ha perso l’impiego o parte significativa del reddito, io per la denuncia chiedo l’archiviazione». Stefano Serpellini L’Eco di Bergamo
(Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia)
Potrebbe sembrare incredibile che si possa accusare qualcuno che si sa innocente di un delitto turpe quale quello di violenza sessuale, in particolare quando è perpetrata su un bambino, eppure succede e neanche troppo raramente, secondo la mia opinione.
Inutile dire che per l’esperienza fatta le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli o peggio credono di vendicarsi di non si sa quali torti subiti durante il matrimonio, senza non solo e non tanto capire che una falsa denuncia è un reato ma soprattutto che in tal modo rovinano in primo luogo la vita dei propri figli, negandogli il padre e distruggendo la possibilità di fare giustizia per i casi di vere violenze.
Il reato di violenza sessuale infatti non è sempre di facile prova, non essendo sempre disponibili prove oggettive sia perché non sempre una violenza sessuale lascia tracce, sia perché non sempre la denuncia avviene in tempo utile per raccogliere questo tipo di prove (prove oggettive si intendono tracce di sperma, di peli pubici e tracce organiche in genere).
Quando la violenza è avvenuta senza penetrazione o senza eiaculazione o tempo prima della denuncia spesso si dispone della parola della vittima contro quella del denunciato, specie nei casi in cui il soggetto è un bambino.
Fortunatamente la moderna scienza psicologica ci fornisce elementi di valutazione tali da capire quando una vittima dice la verità, quando è credibile, quando la completezza della sua condotta dimostra l’essere avvenuto un trauma, a sostegno delle affermazioni delle vittime o delle proclamazioni di innocenza degli indagati-imputati.
Inutile dire che la presenza di false denunce aumenta la possibilità per gli indagati-imputati di dichiararsi vittime di un complotto, minando un assetto probatorio, come ora spiegato, di per sé fragile.
Fortunatamente nella mia esperienza i casi di false denunce sono anche quelli che hanno un alto tasso di richieste di archiviazione da parte della Procura, anzi devo dire che ho sempre visto scoperti questi casi di false denunce, ma ciò non diminuisce la responsabilità di chi le compie, anche considerato che i tempi comunque lunghi delle indagini non sono semplici da passare per gli indagati innocenti.Voglio raccontare una storia di false denunce.
Questa storia è stata modificata nei nomi per evitare che si riconoscano i soggetti e comunque appartiene ad una realtà non toscana, appresa non da esperienza diretta.ANNA
Anna è sposata ad un professionista serio e lavora solo part-time da un amico del marito che fa l’avvocato. Il suo tallone d’Achille sono gli uomini, le piacciono e molto e non tanto i noiosi amici del marito e di famiglia, rispettabili e ingessati, quanto i tipi alla Marlon Brando in Fronte del Porto.
Sfortunatamente nello studio in cui lavora ha modo di conoscere alcuni soggetti, clienti dell’avvocato appunto, che hanno caratteristiche che ad Anna piacciono molto. Scherza con loro, con alcuni flirta ma talvolta non si limita a flirtare.
Sfortunatamente un giorno un “gioco” troppo spinto viene scoperto da un’altra impiegata dello studio: qual è il lampo di genio di Anna? Sostenere che il bello e ombroso cliente la stava violentando.
L’accusa pare sostenibile: l’impiegata, l’avvocato, il marito si stringono intorno ad Anna spingendola a querelare, ovviamente in buona fede, credendo ad Anna, essendoci al momento solo la parola di lei contro quella di lui, un pluripregiudicato.
Anna cede ai consigli e sporge querela, preoccupata più di far reggere la sua messinscena che della sorte del suo ormai ex-amante. Questi, incredulo, si rivolge a vari avvocati che gli consigliano il patteggiamento finché ne incontra uno che si mette a svolgere indagini difensive, cercando di trovare riscontri a quanto sostenuto dal querelato, ovvero che fra lui e Anna c’era una relazione che durava già da un anno al momento della “presunta” violenza sessuale.
L’avvocato in effetti trova vari riscontri alla tesi del denunciato, primo fra tutti gli sms che Anna aveva mandato allo stesso e che lui, romanticamente, conservava, nonché le innumerevoli chiamate giornaliere fra i cellulari dei due protagonisti, che non si potevano giustificare se non con una relazione adulterina, non potendosi pensare ad altro tipo di amicizia di una donna con un soggetto simile.
Al processo l’avvocato giocò bene le sue carte e dopo aver interrogato Anna sui suoi rapporti con l’imputato, che essa disse limitarsi alla conoscenza dovuta alla frequentazione dello stesso allo studio, le chiese conto delle telefonate e degli sms, minando completamente la credibilità della stessa, in modo da ingenerare un dubbio tale da far assolvere l’imputato.
Superfluo ribadire quanto il comportamento di Anna abbia creato precedenti che possono danneggiare le vittime vere, quelle che la violenza la subiscono ma non hanno prove, quelle che si sentono aggredire in dibattimento da chi si fa forte dell’esistenza delle false denunce e cerca di sostenere che le violenze sessuali non si possono provare in quanto le vittime non sono credibili.
Questo tipo di difesa, particolarmente odiosa per chi prima subisce la violenza sessuale e poi si vede costretta a subire una vera e propria “tortura” psicologica al dibattimento (come se la prova di resistenza psicologica al dibattimento possa costituire prova dei fatti, assunto mutuato de plano dalla Santa Inquisizione, evidentemente non del tutto sopita), è la difesa principe di chi è accusato di pedofilia, che ha gioco facile considerando che la giovane età della vittima la pone in una effettiva situazione di inferiorità psicologica già di partenza, situazione di inferiorità poi portata all’eccesso da certi sistemi di interrogatorio.
25 novembre 2009
L’accusa di violenza sessuale è il modo più facile per estromettere a lungo tempo il padre dalla vita dei figli. La donna non solo si libera del partner come coniuge ma anche come padre, facendolo uscire definitivamente dalla sua vita
…le false accuse di maltrattamenti, percosse, abusi sessuali e violenze di vario genere – le querele costruite al solo scopo di eliminare l’ex marito dalla vita dei figli – oscillano nelle procure italiane da un minimo del 70 ad un massimo del 95%…
Se ci sono i minori in ballo, si mettono in atto dinamiche crudeli: le donne avanzano false denunce di maltrattamenti o molestie sui figli a scapito del coniuge, per togliere a quest’ultimo la patria potestà
…credo che la tendenza stia crescendo […] ad adottare questi sotterfugi sono tutte donne: se la separazione è in corso, non ci sono strumenti prima dell’udienza per allontanare uno dei due genitori da casa. L’ordine di allontanamento giunge solo in caso di violenza fisica, ed ecco perché arrivano le denunce verso i mariti, per la maggior parte dei casi inventate
Queste accuse(violenze, percosse, abusi sessuali, NDA) a volte hanno un fondamento di verità, a volte però sono la proiezione e l’attribuzione all’altro coniuge di proprie fantasie o paure, percepite come reali, altre volte sono invece una accusa consapevolmente espressa, anche se non vera, utilizzata per colpire, aggredire e danneggiare l’ex marito
Tanto per cambiare, il “vizietto” nostrano di approfittare della legge, quando c’è, proprio non vuole morire. E, tra un reato di stalking e l’altro, spesso se ne configura un terzo, legato al mero interesse economico della presunta vittima di molestie. Non è un caso che spesso si ricorra alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a proprio favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento
…una ricerca che sto pubblicando con il Prof. Giovanni Camerini della Cattedra di NPI a Modena, relativa ad una casistica di 60 denunce di abuso sessuale all’interno di separazioni conflittuali, porta ai seguenti risultati: 3 casi di condanna, i rimanenti 57 esitati in archiviazione, proscioglimento in istruttoria o assoluzione perché il fatto non sussiste. Sarebbe utile indagare sulle conseguenze, non solo per gli adulti ma per gli stessi bambini, di questi coinvolgimenti in denunce infondate. Occorre più ricerca sull’uso strumentale delle denuncie di abusi, oltre ad un’inchiesta sul modus operandi dei centri.che le favoriscono…