Perché parlare di CONFLITTO GENITORIALE e di BI-GENITORILITÀ?
Mamma e papà sono, per ogni figlio, prima che delle persone, delle entità di riferimento, che hanno un valore così profondo per la sua crescita, da consentirgli di superare anche i traumi collegati al loro discutere tra loro, ed anche con toni e modi socialmente inaccettabili, ma mai la loro “assoluta negazione” specie se proveniente dall’uno in danno dell’altro.
Nei dialoghi avuti, in questi anni, con tanti minori, collegati ad esperienze della separazione dei loro genitori, il messaggio che, nella stragrande maggioranza delle volte, veniva lanciato dai figli era quello di una “sostanziale indifferenza” per l’evento della separazione coniugale dei genitori; questo perché agli occhi dei figli, quei due, sono solo i loro genitori e tali resteranno per sempre, sposati o separati che siano tra loro.
Al contrario, l’evento della negazione dell’una o dell’altra delle due figure, viene ricordato come generatore di una angoscia che va al di là della mancanza fisica : questa sofferenza è infatti da ricercare nell’impossibilità di riconoscersi in quella parte del sé che è rappresentata dal genitore reso inaccessibile, e quindi, nella costrizione di dover crescere senza quello specifico riferimento.
È intuitivo il fatto che una tale mancanza, ove non risolta per tempo, non possa che generare, nei minori, comportamenti adattivi, che se da un lato gli consentono “comunque” di andare avanti, dall’altro sono sintomatici di una crescita squilibrata, rispetto a quella consentita dal quotidiano confronto con entrambi i genitori.
Poste queste premesse l’impegno informativo, che ogni operatore professionale deve compiere nell’approcciare alla famiglia in crisi, è quello di confermare l’importanza e la centralità del ruolo genitoriale, per recuperare il quale, ogni sforzo non può che considerarsi legittimo.
Ecco quello che ci ripromettiamo di fare, coinvolgendo in una giornata di studio i magistrati più attenti della Sezione Famiglia, i professionisti dell’areaa Psi tante volte CTU in questi processi ed i Colleghi che, da più anni, sono specializzati a “leggere dietro” le storie narrate per “prevenire drammi” che saranno il presente dell’uomo e della donna di un domani.
Analisi della genesi della crisi familiare
Per consentire e facilitare una tale ricerca, possiamo partire dal fatto che la famiglia nel suo quotidiano non è un vivere statico ma, al contrario è un rapporto dinamico ed è costituita dalla capacità, sempre rinnovantesi, di due soggetti di sentirsi in sinergia “accettabile” tra loro.
Quando questa sinergia abbia poi a divenire inaccettabile, anche per uno solo dei due, ecco che ben poco potrà essere fatto per bloccare una tale evoluzione del pensiero, ciò perché proprio nella crisi coniugale, che è crisi di un rapporto di coppia, la sinergia potremmo dire gioca un ruolo di “forza centripeta” che rende il manifestarsi delle differenze, rispetto al come lo si era immaginato, per così dire, a scoppio ritardato.
Più semplicemente, l’investimento emotivo-affettivo ed economico-sociale, che entrambi i componenti di una coppia mettono in campo al momento di contrarre matrimonio, genera una latente ineluttabilità, che consente in un primo momento, di sorvolare quegli aspetti della personalità dell’altro, anche se man mano appaiono come dissonanti, rispetto all’idea che mi sono fatto di lei o di lui.
Questo comporta che i rimedi che possono essere messi in campo per riparare efficacemente le prime dissonanze, non possano esser presi in considerazione tempestivamente,
Proprio il mondo amicale di una coppia è il più attento specchio nel quale può riflettersi la parabola di una storia coniugale, tante volte si sente dire : ma come fa a restare così, in quella condizione io non resisterei neanche un attimo, non si rende conto di come la maltratta, o, se sta bene a lui, e via dicendo.
Ed infatti, nella dinamica di un rapporto di coppia e massimamente nel rapporto coniugale, che rappresenta la massima forma di unione pubblica (tanto è vero che la norma parla di pubblicazioni per il matrimonio) l’investimento emotivo nasconde, molto profondamente, alcuni aspetti dell’altro o dell’altra che al contrario sono estremamente visibili da chiunque non sia coinvolto dalla “proiezione” che caratterizza l’esser coppia in relazione affettiva.
A differenza infatti di ogni altra relazione sociale, nella quale i rapporti di forza e di convenienza che caratterizzano l’inter-agire sono giustificati da bisogni più esterni, nella relazione di coppia “affettiva” l’elemento della semplice volontà personale viene ad essere superato dal bisogno, interno ed inconscio, di quella specifica persona “per come appare ai miei occhi”.
Nella stessa descrizione delle motivazioni che spingono una persona ad iniziare una relazione con una persona, in luogo di una diversa, che spesso si fa all’ambito amicale, vi sono le prove più evidenti di un tale semplicissima considerazione: l’altro è, almeno per un aspetto, straordinario.
E tale straordinarietà lo rende unico e la sua mancanza diviene insopportabile !
Il miglior sostegno di una tale analisi è offerto da un ambito diverso dalla letteratura che sul tema della relazione d’amore ha realizzato le migliori e più importanti opere della cultura umana, dal mito di Otello a quello di Giulietta e Romeo, solo per citarne alcune tra le più famose.
Ed è questo materiale, o meglio la trasformazione di un tale materiale affettivo generata da una crisi, che poi andrà a finire davanti al tavolo del Giudice, preceduta solo dall’opera di filtro dell’avvocato.
Nell’avanzare della crisi è dunque l’investimento affettivo che rende le tracce della crisi non immediatamente decifrabili.
Accade poi che le tracce della crisi vengono negate anche in forza dei corollari del rapporto coniugale che sono quelli collegati alla “considerazione degli altri” della famiglia di origine, dei colleghi del lavoro, della compagine amicale, che a ben vedere costituiscono l’esatta cornice di ogni relazione di coppia ed ultimo, ma non ultimo, della esistenza dei figli.
Dietro al paravento della esistenza dei figli si nascondono, meglio che dietro a qualunque altra giustificazione, le proprie “ancestrali” paure per il doversi adattare ad un nuovo contesto, sconosciuto e che si immagina terribile quello, appunto, collegato alla separazione.
Troppo spesso le crisi coniugali sono crisi del periodo degli struzzi, si nasconde la testa sotto la sabbia e si nega con forza a tutti, quello che per gli altri, che godono di un punto di vista terzo e quindi di una maggiore prospettiva, è chiaro come la luce del sole.
Di quella sinergia di sforzi, che ha costituito il momento iniziale di una storia coniugale, non è più rimasta traccia alcuna e marito e moglie si dibattono in una esistenza comune che trova sì giustificazioni, ma tutte estranee al loro “essere coppia”.
Troppo spesso i rimedi che avrebbero potuto essere efficaci se tempestivi, nulla possono più quando vengono attivati dall’insopportabilità provata da uno / una dei due, ed ecco che la crisi viene agita e attivata con l’assumere comportamenti sempre più contrari alla sinergia di coppia, con comportamenti che i medici non esiterebbero a dire sintomatici di uno stare male.
Ecco che il mondo amicale e sociale, che circonda una coppia, inizia a vedere cose “oggettivamente” assurde, che vengono ripetute compulsivamente, sino a quando almeno in uno dei due elementi della coppia, non prenda il sopravento l’istinto di sopravvivenza.
Sembra quasi un quadro a tinte fosche dell’emergere della crisi, ma nella realtà ci si è limitati nella descrizione dei comportamenti che in concreto, sia l’uomo che la donna, mettono in atto contro l’altro, per costringerlo a decidere o per costringersi a decidere od infine per far sì che gli eventi decidano per tutti e due.
Il coinvolgimento del legale
Sintomatico è infatti nelle storie, che vengono raccontate davanti alla scrivania di un avvocato, l’evento impensabile che ha permesso all’altro o all’altra di capire tutto e di reagire.
Tale evento impensabile è sempre costituito da una causalità provocata inconsciamente per terminare il gioco a nascondino della crisi nella sua prima fase.
Sono memorabili i casi di agendine lasciate per sbaglio in bella mostra sul letto coniugale o di telefonini dimenticati a casa, con tutti i messaggini accuratamente conservati e tante altre dimenticanze, che tali non sono, ma rappresentano solo un modo di comunicare, quando ogni dialogo coniugale sia stato consumato da una crisi che ha, in buon sostanza, fatto implodere la coppia, tanto da non consentire alcun diverso rimedio.
Il terzo o la terza, che vengono accusati di rappresentare la causa scatenante della fine di un rapporto coniugale, sono al contrario assolutamente estranei al gioco a lungo, troppo a lungo, consumatosi in silenzio, all’interno di una storia coniugale dove si sono subite o sono state messe in atto persecuzioni indegne, svalutazioni di ruolo dolorosissime, indifferenze pari a perfette estraneità.
La realtà della coppia e quella coniugale ancor di più, è una realtà “a due” come nessuna altra, nella coppia e solo in essa “io sono me stesso, ho visto accettato il mio modo di essere più privato dalla mia partner e solo questa mi capisce.”
Ne consegue come sia fortissima la certezza che un estraneo a quelle dinamiche non possa, nè comprendere, nè fare nulla.
Ma il contesto della relazione è ormai mutato ed il partner ha deciso, per parte sua, incomprensibilmente, di cessare la storia, ed una tale scelta genera, in modo più o meno rilevante e reciproco, sensazioni di dolore, rancore, delusione, senso di inadeguatezza.
Per superare le quali arriva il momento in cui uno dei due riacquista la capacità di chiedere all’esterno e dalla crisi si passa alla “dichiarazione pubblica” di questa, facendo intervenire il “proprio” avvocato.
In una tale scelta, visto il caos e la confusione che si affrontano, è intuitiva la “delega” che si ripone nella figura del professionista della crisi coniugale, l’avvocato.
Questi dovrà avere la capacità di accogliere le sofferenze del proprio assistito e di tutelarne di diritti, mantenendo quella impercettibile distanza che vi è tra il condividere il patos del cliente e il non farsi accecare dalle richieste, spesso dettate dalla voglia di riscatto e perché no di vendetta, che costituiscono, come detto, la reazione istintiva allorché ci si liberi da una relazione che viene ora vissuta come un giogo divenuto sempre più intollerabile.
Nel ri-vivere pubblicamente la crisi, con la necessità di raccontarla al proprio avvocato, verranno a galla, con estremo dolore, tutte le sensazioni legate alla proiezione relazionale fallita, con i suoi corollari della delusione, del rancore, della sostanziale incapacità di comprendere come e perché, quel Lui o quella Lei, non siano più gli stessi di sempre.
Il momento della consapevolizzazione, quello che permetterà di comprendere agli ex elementi della coppia l’arcano (ovvero Lui e Lei non erano mai stai così come la proiezione me li aveva fatti vedere) arriverà in un secondo tempo o, come l’esperienza insegna, può non arrivare mai.
Al di là delle aspirazioni o delle buone intenzioni sociali, non si può nascondere che la conflittualità, agìta (spostamento esasperazione) o nascosta (congelamento), siano la vera e propria colonna sonora del momento separativo.
Nessuno, a prescindere dal grado della propria cultura o dal proprio livello sociale, è in grado di separarsi assumendo un atteggiamento veramente freddo o distaccato nei confronti di un “evento” che lo tocca così profondamente, sia sotto l’aspetto pubblico che sotto l’aspetto personale.
La crisi relazionale annulla tutte le differenze esistenti tra gli esseri umani, si è in quel momento tutti più eguali.
Non si apprezza alcun diverso comportamento tra il “laureato” ed il “cattedratico” rispetto ad una diversa estrazione culturale o sociale.
Il disagio di tutti, troverà la sua origine sia nella perdita del quadro di riferimento (aspetto sociale) costituita dalla famiglia nel suo rapportarsi al mondo circostante, che porterà entrambi i coniugi a far in modo di garantirsi il massimo del mantenimento delle condizioni economiche, anche dopo la soluzione della vita di coppia, (non solo quindi per egoismo ma per mantenere il “livello” di appartenenza) sia nella perdita di una “accettabile immagine di sé” (aspetto personale) che porterà i coniugi a squalificare l’altro, consapevolmente o meno, come unico responsabile della chiusura del rapporto.
Tali concetti, estremamente chiari in psicologia, tanto da essere posti a base dell’analisi in tutti i testi che affrontano la “crisi” di coppia, e da aver costituito per varie le scuole di mediazione i minimi comuni denominatori del percorso mediativo, sono ancora nella maggior parte dei casi, per il mondo del Diritto semplicemente incomprensibili, e quindi non coniugabili con facilità con il contenuto concreto di quel provvedimento giudiziario che andrà a regolare la vita dei coniugi all’atto della separazione.
Più semplicemente, ancora oggi, nonostante il fenomeno della “separazione” abbia raggiunto uno spessore di evidenza sociologica, la cultura della legge risente di una arretratezza nella formazione dei suoi professionisti, giudici ed avvocati, la cui causa è nell’approccio solamente giuridico che si immagina sufficiente.
La relazione coniugale è invero una singolare fusione di aspetti psicologico affettivi (la coppia e la sua dinamica) e di aspetti legali e pubblici (il matrimonio ed i suoi obblighi) e la crisi di una tale entità non potrà che coinvolgere entrambe le tematiche, con la conseguenza che ogni aspetto psicologico avrà un corrispondente contegno della volontà processuale.
Ad una richiesta si replicherà con un denuncia, ad una denuncia si ribadirà con un esposto, giustificando così lo sterile ricorso della giurisdizione al termine di litigiosità, che si rinviene in tante perizie d’ufficio e dietro il quale si agitano, semplicemente, i concetti appena esposti.
Quello che appare singolare è proprio la incredibile difficoltà del mondo del diritto ad affrontare ed analizzare, nella sua “concreta specificità” la Famiglia e la cosiddetta litigiosità per comprenderla, umanizzarla e renderla, quello che nella realtà essa è: solo un modo di essere dell’agire dell’uomo che ha la sua origine nella soluzione di un rapporto coniugale.
Il mondo del diritto nel suo evolversi in ambito penalistico ha mostrato di sapersi adattare con saggezza alle evoluzioni sociali, diversamente nell’ambito civilistico il conflitto di coppia coniugale, le sue specifiche tematiche, le sue regole, sono e restano ancora come una “cosa di difficile comprensione” ed ecco perché ci si accontenta di schemi non più attuali o di un termine dietro il quale nascondere tutta la superficialità di un ragionamento : la litigiosità.
Tale modo di atteggiarsi della relazione ferita, rende certamente difficile il compito di chi sia chiamato a ricostruire un equilibrio, con un provvedimento o con un accordo consensuale, ma è evidente che mentre nulla si potrà fare per eliminare la “conflittualità”, che altro non è che la declinazione finale di un rapporto di coppia affettivo, proprio a causa dei coinvolgimenti inconsci che ha permesso, molto si può e si deve ancora fare per consentire l’emersione in tempi rapidi di una semplice “consapevolezza” : l’esistenza di figli comuni deve essere affrontata con un diverso frutto della relazione quello, della genitorialità.
Su di questo elemento infatti, sarà possibile intervenire razionalmente anche prevedendo sanzioni ed obblighi in merito al “dovere essere” genitori mentre, come l’esperienza ha insegnato, il tentare di imporre, anche con sanzioni, un diverso modo di atteggiarsi della relazione, affinchè questa non sia conflittuale, risulta semplicemente lettera morta.
A ben vedere l’esser genitori richiama nelle parti una loro competenza attuale e necessaria, cui possono accedere con un minimo di guida, mentre gli appelli ad esser “coniugi non conflittuali” cozza contro tutte quelle sensazioni di rancore, delusione e rabbia che accompagnano il termine di una storia.
Ecco quindi, il portato più importante ed innovativo dell’affermarsi per legge, del principio della bi-genitorialità : quello contenuto nell’incipit dell’articolo 155.
Questa piccola rivoluzione si potrà compiuta quando il valore e l’effettiva importanza della bi-genitorialità sarà diffuso e compreso nel suo effettivo significato, dall’opera quotidiana di ogni operatore del processo della famiglia.
Ciò consentirà una maggiore tutela dei minori anche nel momento della gestione della crisi coniugale dei loro, insostituibili genitori.
Si potrà allora evitare che “il minore” rimanga a vivere (anche se semplicemente “allocato”) presso un solo genitore, che “purtroppo” lo potrà “arruolare silenziosamente”, ed anche controvoglia, nella guerra contro l’altro.
Ora infatti accade spesso che anche nei molti casi nei quali si riesca ad ottenere un “approfondimento” delle “qualità e delle dinamiche genitoriali” i risultati del lavoro degli stessi periti di area psicologica siano difficilmente traducibili nel linguaggio della Giustizia.
Anche la relazione Genitori-Figli non è infatti statica, ma si sviluppa nel tempo, sia nel bene che nel male.
Ed il modo di comportarsi dell’allocatario, che inchiodi il minore in atteggiamenti di ostilità nei confronti dell’altro genitore, renderà poi nel tempo, anche quando la perizia potrà consentire una lettura delle dinamiche patologiche più chiara, molto difficile una via di soluzione.
E questo perché proprio il tempo trascorso avrà radicato modi di essere e dipendenze, tra i figli ed il genitore che esclude l’altro, che non potranno superarsi con semplicità.
Ecco perché il nodo centrale della Tutela del Minore coinvolto nel processo separativo, non può che essere superato applicando tempestivamente uno Stop a tutti i segnali di una “disfunzione genitoriale” che, anche se costituiscono materia prevalentemente psicologica, non possono non essere letti, con la dovuta immediatezza, dal Giudice all’atto della emissione del suo primo provvedimento.
Non dovrebbe più essere consentito ora al giudice fermarsi alla “favola” della litigiosità coniugale, per escludere una delle parti genitoriali dal coinvolgimento nella bigenitorialità, le modifiche introdotte hanno questo senso profondo, e la loro applicazione è solo un fatto di progresso culturale.
La litigiosità, o comunque la incapacità dei due coniugi a comunicare in modo sereno tra loro, è cosa assolutamente diversa dal modo in cui ognuno dei due si rivolge al figlio ed esplica la sua propria qualità genitoriale.
La guerra patrimoniale, quella per l’immagine del sé ferita ed offesa, deve e può continuare; perché è semplicemente senza senso, e senza alcun effetto, il precetto moralistico che voglia farla cessare con la raccomandazione ad assumere una “accettabile immagine del buon genitore”.
Il metro per poter leggere un buon genitore, il metro che deve essere usato sia in ambito di lettura comportamentale, che in ambito di giustizia è quello della considerazione e del rispetto dell’altro come genitore, insostituibile ed essenziale per un sereno ed equilibrato sviluppo del comune figlio.
Il comportamento da sanzionare immediatamente e saremmo tentati di dire senza appello, è quello che tende ad escludere l’altro, anche per un attimo, dalla fruizione del figlio.
È un comportamento patogeno facilmente inquadrabile, viene considerato univocamente, dalla psicologia, come dannoso per la crescita del figlio, e deve trovare una lettura sempre più efficacie, anche nel mondo del Diritto, per tutelare il minore si deve tutelare il principio della bigenitorialità.
Questo principio, viene violato ogni volta che si impedisce di frequentare ad un figlio, mamma o papà, magari per punire lui o lei di comportamenti che si sentono offensivi per la storia coniugale ma che non hanno alcun senso nel rapporto tra il genitore ed il minore.
Il piccolo, ancora una volta inascoltato, resterà incastrato nelle dinamiche degli adulti, siano quelle di mamma o di papà, che inconsapevoli, continueranno nella loro “collusione” di coppia, relegandolo inconsciamente ai margini del gioco.
Tutto questo è sino ad ora accaduto, nella incapacità degli specialisti sia del Diritto che della Psicologia, a fornire delle regole comportamentali, sviluppate dalla sinergia delle due culture, che pongano un immediato freno, che tuteli il piccolo dagli “effetti dannosi” della perdita del rapporto di crescita con un genitore.
In buona sostanza si può essere ottimi genitori, anche se la dinamica con l’altro è, e resta, CONFLITTUALE.
Si è pessimi custodi del sereno sviluppo psicologico della propria prole, allorquando prendano il sopravvento quei comportamenti che impediscano di fatto ai propri figli di avere accesso sereno alla figura della mamma o del papà.
La conflittualità non deve essere agita sul piano della valenza genitoriale e se in precedenza non vi erano norme chiare ed univoche in materia, con l’introduzione del principio dell’affidamento condiviso, che ha elevato a valore normativo il tema psicologico della necessità della fruizione di entrambe le figure genitoriali, si è creato un argine alle comportamentalità ablative delle figure di mamma o di papà, di incredibile spessore e forza.
Il mondo della Giustizia, quello delle sentenze deve assicurare ad entrambi i genitori la fruibilità funzionale con i figli e nel caso di comportamenti tesi ad impedirla, deve intervenire immediatamente, con la forza che gli è propria, quella della legge, per scongiurare il perseverare dei fenomeni di privazione della figura di un genitore.
Ora che l’ordinamento si è dotato di norme di tale importanza, ed ha imparato a maneggiarle almeno per l’aspetto dell’affidamento condiviso deve essere possibile l’assicurare il raggiungimento di questo “obbiettivo minimo” contrastare con efficacia ogni modo di fare che contrasti con l’interesse del minore a godere di entrambi i genitori.
Sia i giudici che gli avvocati che gli stessi operatori dei servizi sociali, dovranno avere l’obbligo di modificare ed aggiornare le metodologie del loro intervento per affrontare la sfida che la nuova normativa sull’affidamento congiunto ha introdotto, così da non far perdere al minore quella che si può definire l’essenza stessa della famiglia, ineludibile per il suo miglior sviluppo: una genitorialità che assicuri l’accesso sai alla madre che la padre senza consentire, più, a nessuno di poter in modo impunito violare un tale principio di Legge.
Non v’è rimedio ai danni derivanti da un affidamento sbagliato, né a quelli conseguenza di un’ablazione della figura di un genitore non contrastata efficacemente per tempo, sino ad oggi le storie dei nostri clienti sono state un susseguirsi di racconti, di disagi e peregrinazioni inutili, per tentare di vedere affermato un diritto, che era tale solo sulla carta, semplicemente quello ad essere effettivamente genitore, nonostante la separazione coniugale.
Con la Legge sull’affidamento condiviso sono stati introdotti i principi della rilevanza della duplice genitorialità come elemento fondamentale per i figli, principi che ben si adattano alla nostra realtà culturale, con le evoluzioni sociologiche nel frattempo intervenute; certamente per affermarsi avranno bisogno di tempo, ma dovranno essere applicate con determinazione, anche per dare una risposta coerente al numero delle separazioni che sono in continuo aumento ed al conseguente numero dei minori che restano coinvolti nella dinamiche conflittuali dei loro genitori, che ora hanno finalmente la speranza concreta di veder mutare i loro destini, perché l’approccio culturale alla Separazione di mamma e di papà è stato modificato.
Non si insisterà mai abbastanza su questo concetto, sia avanti al Tribunale Civile, come nel giudizio avanti al Tribunale per i Minorenni, sino ad oggi si sono ascoltate solo delle “generiche raccomandazioni” all’allocatario, quel genitore con il quale dormono i bambini, affinché questi si impegni a consentire una fruizione equilibrata dei figli all’altro.
Nella crisi della famiglia sia questa fondata sul matrimonio (Tribunale Civile) sia questa il frutto di una libera scelta (Tribunale per i minorenni) la prima vittima, sino ad oggi, era la possibilità per il figlio a fruire di entrambe le figure dei genitori anche se separate tra loro.
Sino ad oggi la colpa del genitore, anche se semplice allocatario, perché magari l’affidamento è stato disposto in capo ai Servizi Sociali sino all’esito della Consulenza Tecnica di Ufficio che renda anche solo difficile il rapporto di fruizione del figlio con l’altro, viene considerata generalmente lieve, quasi una accettabile mera “comportamentalità” a corollario della separazione dall’altro.
Ma non è così. In quel preciso momento il minore resta vittima di un vero e proprio attentato alla sua stabilità futura, da quel momento il minore viene inglobato in una “relazione distorta e disfunzionale” con il genitore allocatario.
Conflitto di lealtà
Da quel momento nascono i temi del conseguente “conflitto di lealtà” che il minore di troverà a vivere quando qualcuno successivamente gli consentirà di poter avvicinarsi anche all’altro. E’ bene sottolineare questo principio.
Quando il comportamento di una mamma o di un papà, impedisca al figlio, con scuse, con coinvolgimenti adultizzanti, con l’instillare la paura o il disprezzo dell’altro, di frequentare l’altro genitore, il figlio vive questo impedimento non come una “cattiveria fra adulti” (perché per ogni figlio, e spesso anche ad età ormai adolescenziali l’idea stessa di un genitore cattivo o inadeguato non riesce a farsi strada) ma lo vive come un depotenziamento del genitore che gli viene negato.
Il minore in questione, ove non intervenga in tempi rapidissimi un provvedimento obbligatorio, che abbia a ristabilire “l’equilibrio della fruizione di entrambi i genitori” verrà silenziosamente arruolato nel campo del vincente, ovvero di quel genitore che con successo gli stà impedendo di vedere l’altro.
Per giustificare a se stesso questa mancanza, deve far proprie le “ragioni” del genitore ablativo, deve quindi, inconsciamente, condividere la scelta del genitore ablativo.
Cosicché, anche quando dopo un lungo tempo, il Tribunale, ottenuta l’acquisizione al processo della Consulenza dell’esperto e verificati i rapporti dei Servizi Sociali, potrà disporre un provvedimento che risulti obbligatorio per il genitore che non facilita i rapporti con l’altro, il figlio privato del rapporto equilibrato con mamma o con papà, si sentirà da una parte preoccupato di ricostruire il suo rapporto con il genitore che gli è stato vietato e dall’altra, se dimostrerà contentezza, sentirà inconsciamente di “tradire il genitore” che lo ha arruolato, sino ad allora, vittoriosamente nella sua guerra personale tra adulti.
Non è la guerra conflittuale tra i genitori, per quanto possa essere violenta o polemica, ad essere la più grande fonte di dolore per i figli, ma proprio questo silenzioso mutamento delle “prospettive tra mamma e papà”, quando l’uno è negato dall’altro, e quando questo negare può mettere le sue radici perché non contrastato per tempo.
L’affermazione della cultura della Bigenitorialità è il concreto effettivo rimedio a questo danno per i figli, sino ad oggi difficilmente contrastabile; la norma oggi esiste, ed in termini statistici si può affermare con decisione che la sua applicazione sia stata quasi ovunque recepita; quello che ancora non è entrato a far parte della cultura della giurisdizione è la necessità di un provvedimento che vada a colpire senza se e senza ma ogni comportamento genitoriale che sia nei fatti contrario all’affermazione dell’equilibrio dell’accesso a mamma o papà.
Ancora oggi si deve affermare con maggior forza che, posto il principio di legge della centralità dell’interesse del minore che si realizza con il dovere di consentire e garantire l’accesso ad ambedue le figure genitoriali, il miglior genitore allocatario sia quello che meglio consente all’altro la frequentazione con i figli.