I parametri per l’assegno di mantenimento dei figli nella giurisprudenza
La riforma normativa dettata con legge n. 54 del 2006, ”Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, si occupa del dovere dei genitori di contribuire al mantenimento della prole minorenne in caso di crisi familiare al comma IV°, dell’art. 155 c.c. Nello specifico tale disposizione, come tutte le altre norme introdotte ex novo dalla riforma o anche semplicemente modificate sulla base di quelle previgenti, è finalizzata a porre al centro di ogni istanza, intesa, decisione e provvedimento in materia di affidamento dei minori il fondamentale ”interesse” degli stessi il quale, infatti, in nessun modo deve essere danneggiato in caso di rottura della relazione sentimentale.Il diritto del minore alla bigenitorialità La separazione personale tra i coniugi, il divorzio, la nullità del matrimonio e la cessazione della convivenza coniugale non debbono mai avere effetti pregiudizievoli sulla prole, non debbono mai ledere interessi e diritti della stessa. Quest’ultima, infatti, non ha alcuna responsabilità della crisi tra i propri genitori, anzi ne è sicuramente una vittima, dato che sente perdere i suoi punti fissi di riferimento, vede svanire il rapporto tra i propri genitori a cui è stata sempre abituata. In modo chiaramente esemplificativo, infatti, la dottrina si esprime in questi termini: ”il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole non muta il suo contenuto a seconda che si versi nella fase patologica piuttosto che nella fase fisiologica della vita familiare: esso deriva dall’atto stesso della procreazione, si perpetua fino al raggiungimento, da parte dei figli, della piena autosufficienza economica” (A. Arceri, L’affidamento condiviso. Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, in Nuovi percorsi di diritto di famiglia, collana diretta da Sesta M., Milano, 2007). Proprio di ciò il legislatore tiene conto dettando delle disposizioni destinate, attraverso ogni loro elemento, ad affermare e tutelare il diritto del minore alla bigenitorialità, ovvero, per usare le parole del riformatore, il diritto a ”mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Tale diritto, ovviamente, comporta il corrispondente dovere dei genitori di continuare ad adempiere a pieno i propri obblighi genitoriali nei confronti della prole, ex art. 30 Cost., senza alcuna soluzione di continuità. Mantenimento diretto e indiretto Ciò ovviamente concerne anche l’obbligo di mantenimento di cui il riformatore si occupa più nello specifico all’art. 155 c.c., comma IV°, dove detta delle regole concernenti tanto la regolamentazione delle modalità di contribuzione (mantenimento diretto/indiretto), quanto l’entità della contribuzione (criteri di quantificazione dell’assegno del mantenimento). Per quanto riguarda il primo aspetto citato, ovvero il rapporto tra mantenimento diretto e mantenimento indiretto, la differenza consiste essenzialmente nel fatto che la prima forma di partecipazione al mantenimento della prole si concretizza nel soddisfacimento immediato e diretto da parte del genitore dei bisogni e delle necessità del minore, il secondo, invece, si sostanzia nella corresponsione di un assegno periodico destinato a coprire le esigenze ordinarie della prole. La prevalenza dell’assegno Seppur il legislatore sembra fissare il mantenimento diretto quale regime preferibile alla luce della riforma del 2006 tuttavia ciò non equivale affatto a dire, come la giurisprudenza ha spesso confermato, che lo stesso sia scelta automatica ed obbligata nel caso di affidamento condiviso dei minori (Cass. n. 785/2012). Proprio il contrario, infatti, sembra emergere dalla prevalente giurisprudenza che ancora oggi continua, come sotto la vigenza del regime passato, a disporre a carico del genitore non collocatario (o non affidatario) l’obbligo di corrispondere un assegno periodico quantificato in base ai criteri dettati all’art. 155 c.c., comma IV° (”In tema di mantenimento dei figli minori, la corresponsione di un assegno periodico a carico di uno dei genitori si rivela quantomeno opportuna, se non necessaria, quando l’affidamento condiviso dei figli preveda un collocamento prevalente presso uno di loro, tenuto conto che tale genitore (c.d. «collocatario»), essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, avrà necessità di gestire, almeno in parte, il contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie (indumenti, libri, ecc….)”, Cass. n. 23411/2009; Cass n. 23630/ 2009). Generalmente, dunque, nei provvedimenti dei giudici viene sempre disposto un assegno periodico a carico di un genitore, quale contributo al mantenimento della prole, destinato o a sostituire integralmente il regime di mantenimento diretto, soprattutto nei casi eccezionali di affidamento esclusivo, o solo ad integrare lo stesso per garantire il rispetto del principio di proporzionalità, richiamato dallo stesso art. 155 c.c. oltre che dall’art. 148 c.c. (”Questa Corte ha già avuto modo di statuire che, (…), la regola dell’affidamento condiviso a entrambi i genitori ai sensi dell’art. 155 c.c. – (…) – non implica deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, che in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore”, Cass. n. 22502/2010). Raramente, dunque, si riscontrano pronunce contemplanti come unica modalità di partecipazione al sostentamento della prole quella del mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori (Trib. di La Spezia, ord. del 14 marzo 2007; Trib. di Catania, del 25 settembre 2009; Trib. di Bologna, ord. del 18 gennaio 2010). I parametri di riferimento per il quantum Una volta che l’Autorità giudiziaria abbia preso una decisione positiva in merito all’an dell’assegno perequativo allora la difficoltà consiste nel determinarne in modo corretto il quantum. A tal fine, quindi, ed altresì per ovviare all’eccessiva discrezionalità in materia che in passato si lasciava ai giudici, il legislatore del 2006 detta all’art. 155 c.c., comma IV°, una serie di paramenti di riferimento. Questi ultimi non costituiscono affatto un elenco tassativo e limitativo ma, al contrario, avendo anche una formulazione abbastanza generica, si prestano ad essere integrati e meglio specificati in base alle singole fattispecie concrete. Inoltre è necessario evidenziare che seppure questi parametri sono stati dal riformatore elencati in modo espresso nel nuovo art. 155 c.c., tuttavia, non rappresentano una sconvolgente innovazione rispetto al passato. Il legislatore, dunque, non ha fatto altro che sintetizzare e codificare la prassi giurisprudenziale già elaboratasi nel regime previgente. A titolo esemplificativo, infatti, varie sono le vecchie pronunce della Cassazione che, nel determinare la cifra dell’assegno periodico per i figli, utilizzano criteri analoghi a quelli successivamente inseriti all’art. 155. Basti citarne alcune in cui si fa riferimento alla necessità di garantire alla prole ”un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza” (Cass. n. 15065/2000), o altre in cui la Corte fa riferimento alla ”complessiva consistenza del patrimonio” di ciascuno dei genitori (Cass. n. 706/1995) ed alla loro ”evoluzione” (Cass. n. 2870/1994). I primi due parametri: focus sul minore Passando all’analisi dei parametri specificatamente dettati al IV° comma dell’art. 155 c.c. è possibile evidenziare come i primi due pongano quale punto di riferimento centrale della valutazione il minore stesso, mentre quelli successivi riguardino maggiormente i genitori e la loro situazione economica e di gestione dell’affidamento del minore. Le esigenze del momento – Il riferimento alle ”attuali esigenze del figlio” ed al ”tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori” sono chiari parametri destinati a porre in primo piano, anche nella determinazione dell’assegno di mantenimento, come in qualsiasi altro ”provvedimento relativo alla prole”, quel preminente ”interesse morale e materiale” della prole linea guida dell’intera riforma. Numerose, infatti, sono le pronunce tanto della Cassazione quanto dei Giudici di merito nelle quali si evidenzia la portata ed importanza di questi due criteri, tali da assumere un peso ancor più rilevante del riferimento alla ”risorse economiche di entrambi i genitori” (“Ai fini della determinazione dell’assegno periodico per i figli, l’art. 155 cod. civ. novellato attribuisce sicura preminenza al criterio delle “esigenze attuali del figlio”, che non sono certamente soltanto quelle inerenti il vitto, l’alloggio e le spese correnti, ma attinente ad esse è indubbiamente l’acquisto di beni durevoli (ad es., indumenti e libri), che non rientrano necessariamente tra le spese straordinarie”, Cass. n. 23630/2009; ”… in tema di mantenimento dei figli minori, la fissazione di una somma a titolo contributivo a carico del genitore non convivente può venire correlata, non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall’attività professionale svolta da quest’ultimo, quanto, piuttosto, ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita di un bambino…”; Trib. Min. Di Catania, del 29 febbraio 2009). La continuità con il regime di vita precedente – Il riferimento alle ”attuali esigenze del figlio”, dunque, è parametro destinato a garantire che il minore non venga pregiudicato nella sua serena crescita e formazione a causa della fase patologica attraversata dalla coppia genitoriale ma che, al contrario, le proprie normali esigenze vengano sempre e comunque soddisfatte, come avviene nella famiglia unita ex art. 148 c.c. Proprio quest’ultima considerazione si collega al parametro secondo che è finalizzato, invero, ad evitare qualsiasi stravolgimento nella vita del minore il quale si presenti come soluzione di continuità del regime di vita precedente (”in quanto il mantenimento deve essere quantificato considerando non solo le esigenze dei figli, in relazione alle età e alle altre necessità di inserimento lavorativo e sociale, ma anche in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, tenore di vita determinato dalla confluenza dei redditi e delle risorse genitoriali”, Corte d’App. Roma, del 13 gennaio 2012). La giurisprudenza, infatti, non ha mancato di evidenziare la stretta relazione ed interdipendenza tra questi iniziali parametri dato che per valutare il primo è necessario analizzare il secondo (Trib. Di Novara, del 27 settembre 2010). I primi due criteri analizzati vanno certamente considerati e coordinati con gli altri elencati nella disposizione in esame, ovvero: ”i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Esemplificativa in proposito risulta una pronuncia di merito che descrive chiaramente la modalità di utilizzazione dei parametri fissati all’art. 155, comma IV°, c.c., al fine di assicurarne una corretta ed integrale applicazione per giungere alla migliore quantificazione dell’assegno perequativo in base alla fattispecie concreta (Trib. di Novara, del 6 febbraio 2012). La considerazione della situazione economica dei genitori è essenziale dato che, ovviamente, non si può pensare di garantire ai figli più di quanto i genitori con le loro capacità economiche siano in grado di fare, di certo un peggioramento effettivo delle condizioni reddituali dei genitori nel corso del tempo legittimerebbe una modifica dei provvedimenti concernenti il mantenimento della prole, ex art. 155 ter (“ritenuto che il fatto sopravvenuto della perdita del lavoro (…) giustifica la revoca dell’attuale contributo ordinario, avuto altresì riguardo all’apprezzabile durata dei tempi di permanenza del minore presso il padre (sia pure non uguale a quella della permanenza presso la madre) resta pertanto l’obbligo di entrambi i genitori di contribuire in via diretta al mantenimento del figlio”,Trib. Bologna, ord. g.i., 18 gennaio 2010; ”… nel caso di divorzio, nella determinazione dell’assegno, non è indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, poiché a queste esso va direttamente ragguagliato, così da garantire ai figli lo stesso tenore di vita che avrebbero goduto se la disgregazione del nucleo familiare non si fosse verificata”; Cass. n. 10197/2011). Gli altri parametri Prendendo in considerazione gli ultimi due parametri rimasti, ovvero ”i tempi di permanenza presso ciascun genitore” e ”la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”, è possibile costatare come questi vadano letti alla luce della ratio stessa della riforma destinata a garantire, appunto, il diritto del minore alla bigenitorialità attraverso l’introduzione dell’affidamento condiviso quale regime ordinario di affidamento con tutti gli effetti che tale modello di bigenitorialità comporta. Non si dovrebbe parlare più di genitore affidatario ma, al limite, solo di “collocatario” (sebbene l’espressione sia di elaborazione esclusivamente giurisprudenziale); sarebbe, altresì, da escludere l’utilizzo di espressioni quali il c.d. diritto di visita e si dovrebbe cercare di assicurare un continuo e concreto rapporto tra entrambi i genitori ed il figlio minore, permettendo quindi anche al genitore non collocatario di prendersi cura dello stesso direttamente e pressoché quotidianamente. Alla luce di quanto appena esaminato, dunque, è indiscutibile la valenza assunta da questi due ulteriori parametri i quali, comunque, vanno interpretati correttamente in relazione ai singoli casi concreti non potendosi giustificare, ad esempio, come la giurisprudenza ha chiarito, domande di revoca dell’assegno periodico presentate da parte del genitore tenuto alla corresponsione e motivate sulla base di continui regali, elargizioni volontarie o frequenti uscite settimanali con la prole pagate dallo stesso (”In tema di mantenimento dei figli, la richiesta del genitore non collocatario di essere assolto dal suo obbligo contributivo a motivo delle tre cene settimanali e dei fine settimana in cui ospita i figli è evidentemente priva di senso, non riducendosi a ciò le esigenze dei minori, che necessitano, anche, di una casa, di riscaldamento, di vestiario, di istruzione, di occasioni di vita sociale e di quant’altro necessario al loro mantenimento, alla loro istruzione ed alla loro educazione”, Corte di App. Di Perugia n. 336/ 2010). La consistenza dell’obbligo di mantenimento, invero, collegato agli ulteriori doveri genitoriali va ben oltre il semplice soddisfacimento delle esigenze primarie ed essenziali del minore come la stessa Corte di Cassazione in modo chiaro e costante continua ad affermare da tempo (”Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all’art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione, di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e educazione (…)”Cass. n. 4203/2006; nello stesso senso Cass., n. 6197/2005; Cass. n. 26587/ 2009). (1° parte) Matteo Santini (Guida al Diritto)03 aprile 2013 Fonte:http://www.diritto24.ilsole24ore.com/