Il Dlgs sulla filiazione sacrifica l’affidamento condiviso e la mediazione familiare
Il parere di Marino Maglietta. [Intervista di Rossella Pagnotta] . Un recente Comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Crescere Insieme – presieduta da Marino Maglietta, ideatore dell’affidamento condiviso ed estensore dei testi alla base della relativa legge – ha segnalato la presenza di manomissioni degli articoli del codice civile che introducono l’affidamento condiviso nel Dlgs destinato precipuamente a realizzare l’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima. Tali interventi interferirebbero pesantemente e negativamente sia con i diritti dei minori figli di genitori separati che con le probabilità di accesso alla mediazione familiare e di suo successo. Per meglio comprendere come sono esattamente andate le cose, quali conseguenze negative possano aversi e, naturalmente, cosa è possibile fare per evitarle, ci rivolgiamo direttamente a chi per primo ha segnalato il problema.
Vuole spiegare anzitutto quale è stato l’iter, il meccanismo per arrivare a una nuova formulazione del testo?
L’art. 2 della legge 219/12 dava delega al governo di affrontare una serie, chiaramente elencata, di aspetti (dal riconoscimento del figlio naturale ai contatti tra nonni e nipoti) e aggiungeva l’incarico di uniformare e riordinare le norme di diritto di famiglia con al centro i figli, sia naturali che legittimi, prima sparse per tutto il codice civile, inserendole in un contesto unitario. In sostanza, si trattava di trascrivere e rinumerare articoli già esistenti, senza modificarli se non per adattarli alla nuova terminologia e ai principi dell’unificazione. Ma la zelante commissione è andata ben oltre il mandato e ha preteso di intervenire un po’ ovunque.
Esattamente quali sono le modifiche introdotte?
Limitandomi alle più vistose, è stato tolto l’esercizio della potestà (ora responsabilità genitoriale) al genitore non affidatario; legittimato il mancato ascolto del minore nei procedimenti di separazione nel caso di consensuali, ovvero il giudice decide se è o no manifestamente superfluo; infine, la più devastante, diventa obbligatorio indicare dove il figlio ha “la residenza abituale”, ovvero chi sarà il genitore con cui il figlio vive.
Perché sostiene che ciò va in violazione sostanziale dell’affidamento condiviso?
Il condiviso intendeva mettere fine alla distinzione tra genitore del quotidiano che provvede ai bisogni dei figli e assume la maggior parte delle decisioni e genitore “ludico”, del fine settimana, che si limita a passare all’altro del denaro e fruisce di un “diritto di visita”, sostanzialmente a sua discrezione. Questo in genere purtroppo non avveniva, perché la magistratura aveva deciso di inventarsi il “genitore collocatario”, che rivestiva lo stesso ruolo dell’affidatario di prima, però, quanto meno c’era la possibilità di protestare, di reclamare i provvedimenti, e piano piano qualcosa stava cambiando, si cominciava a vedere qualche giudice che preferiva rispettare la legge piuttosto che riscriverla e, soprattutto, il Parlamento aveva iniziato a considerare la necessità di mettere dei paletti alla giurisprudenza, in modo da rendere ineludibili i nuovi principi. Ora, invece, la conservazione del vecchio sistema è stata legittimata: è una restaurazione in piena regola.
Ma perché questa limitatissima aggiunta saboterebbe l’intera legge? Il mantenimento diretto, ad esempio, cosa c’entra?
I cardini dell’affidamento a entrambi i genitori, indispensabili per poter parlare di bigenitorialità, sono una frequentazione equilibrata e flessibile, senza “genitori collocatari”, in funzione delle esigenze dei figli, e l’assegnazione di compiti di cura a entrambi i genitori comprensivi degli aspetti economici, in modo che con entrambi il figlio viva la quotidianità e non i w-e alternati, con erogazione di assegni che prevedono una partecipazione solo alle spese e non ai sacrifici dell’accudimento. Ora, la Suprema Corte ha già reiteratamente affermato che se c’è un genitore collocatario non si può pensare alla forma diretta del mantenimento – in cui ognuno provvede a una parte dei bisogni del figlio, in proporzione alle proprie risorse – ma bisogna che il non collocatario dia dei soldi al collocatario, che provvede a tutto. Quindi la “residenza abituale” condanna a morte l’affidamento condiviso sotto ogni profilo.
E perché disturberebbe anche la mediazione familiare?
Perché si fonda sull’equilibrio tra le parti, che in questo modo viene meno. Perché la discriminazione tra genitore collocatario e non collocatario reintroduce quelle differenze che, soprattutto inizialmente, rendono molto più appetibile un ruolo rispetto all’altro. Perché ripristina l’ottica vinci-perdi, funzionale a un incremento del contenzioso, al posto di quella riparativa, propria della mediazione familiare. Perché attraverso i differenti tempi di contatto con i genitori impedisce la soluzione più logica e tranquilla per l’assegnazione della casa, ovvero lasciarla al proprietario. In sostanza smantellare l’affidamento condiviso significa anche creare notevoli difficoltà alla soluzione pacifica delle controversie e alla mediazione familiare che ne è lo strumento.
Capisco. Quale spiegazione è stata data a questa scelta così rilevante?
Questo è davvero interessante: nessuna. Nella relazione che accompagna il decreto si leggono fiumi di parole per giustificare scelte ovvie, strettamente legate all’impianto e agli scopi dell’intervento, ma su questo si sorvola, come se fosse dettaglio di nessun conto, mentre le altre modifiche della legge sul condiviso sono giustificate con la necessità di uniformità con la legge sul divorzio, di mezzo secolo fa e di impianto monogenitoriale, ossia scritta esattamente in rispondenza di quei criteri che la riforma del 2006 intendeva accantonare! Umorismo involontario. D’altra parte per la residenza abituale non si poteva invocare la necessità di “uniformare”, perché altrove non se ne parla. Giustamente, perché secondo la più elementare logica giuridica non ha senso aggiungere a scelte di vita e doveri di base dei genitori come “istruire, educare e tutelare la salute” un aspetto del tutto occasionale, flessibile e mutevole nel tempo (oltre che ostativo per la bigenitorialità) come l’indicazione della “residenza abituale”. È un po’ come aggiungere l’obbligo di concordare la marca delle scarpe. È una zeppa evidente.
Però alcuni di questi cambiamenti – come la perdita dell’esercizio della responsabilità genitoriale per il genitore non affidatario – li aveva previsti anche Lei nelle proposte di legge 1403 e 1495.
Sì, ma all’interno di un diverso contesto, nei luoghi giusti e con le procedure corrette. Dopo avere sottolineato, ad es., che l’esclusione dall’affidamento può avvenire solo per carenze personali gravi (e non per la reciproca conflittualità!). E attraverso un confronto parlamentare che permettesse un dibattito aperto ai contributi di tutti, non con questa specie di colpo di mano, senza delega.
Dunque Lei contesta alcuni cambiamenti perché inopportuni e tutti perché illegittimi.
Certamente. La Commissione Bianca ha scavalcato abbondantemente i confini del proprio mandato. Si pensi che la riforma del 2006 ha richiesto 12 anni di confronto parlamentare a porte aperte, proprio per la sua natura profondamente innovativa e perché la materia è riconosciuta da tutti come altamente delicata, mentre la restaurazione è stata consumata in pochi mesi, nelle chiuse stanze.
Professore, come si spiega che il testo sia arrivato all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri senza che nessuno si accorgesse di nulla?
Veramente in Commissione Giustizia della Camera il problema è stato sollevato, da parte dell’On. Bonafede, eccellente giurista. Dunque io non sono stato affatto il primo. Il che, però, rende la cosa ancora più grave. Evidentemente il sabotaggio dell’affidamento condiviso è stato un intervento gradito e non casuale; si voleva, per quanto possibile, che si tornasse all’antico.
E come sono state superate le obiezioni?
Molto elegantemente: girandole agli estensori in audizione e chiedendo loro se era vero che avevano oltrepassato i poteri di delega. Hanno detto, sorprendentemente, di no e la cosa è finita lì.
Tuttavia, la Commissione Bianca aveva una composizione di eccellenza. Come può avere commesso errori così vistosi?
Indubbiamente il nome del Prof. Bianca è prestigioso e fuori discussione, ma con tutta probabilità la sua è stata principalmente una funzione di coordinamento. Lo si è visto anche nell’audizione alla Camera, dove la relazione è stata fatta da altri. E questi altri, detto con il massimo rispetto, erano pressoché esclusivamente funzionari ministeriali, distribuiti a pioggia molto più con il criterio della lottizzazione politica e amministrativa (“ci dobbiamo essere anche noi”), almeno apparentemente, che con quello della competenza. Per farmi capire meglio, su un numero totale di 10 mancavano tutti i nostri maggiori esperti di diritto di famiglia, da Sesta a Patti, da Cendona De Filippis, ma non mancavano rappresentanti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, per la Funzione pubblica e per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. Tutte figure interessanti, per carità, ma certamente non centrali per una problematica così mirata e delicata.
Ma la Commissione Bianca ha fatto audizioni, si è aperta a contributi esterni…
Certamente. Però ancora una volta con una scelta “particolare”, ovvero inserendo pressoché esclusivamente avvocati e magistrati – notoriamente simpatizzanti della gestione monogenitoriale – con un sapiente dosaggio delle appartenenze di “clan”. Uno di quelli e uno di quegli altri, tre di quelli e tre di quegli altri. E nessuno che rappresentasse le famiglie destinatarie dei provvedimenti, notoriamente sostenitori della bigenitorialità e della riforma del 2006.
Capisco. E ora chi non gradisce questo intervento cosa può fare?
Certamente questa svolta è inaccettabile, per i contenuti e per il modo. Le vie sono la contestazione frontale della tecnica di intervento, come non lecita, e il nuovo ricorso al Parlamento con una revisione del testo. Faccio appello da subito a tutti i soggetti disponibili – dalle forze politiche al Forum Nazionale dei Mediatori, alle varie associazioni di persone e di categoria – perché sostengano da subito qualsiasi nuova iniziativa utile per ripristinare quelle tutele dei minori che, quanto meno sulla carta, si era riusciti a strappare.
Dopo aver letto questo articolo, francamente, non capisco….non capisco dove si voglia arrivare, dove lo stato vuole portare la famiglia, ma ancor di più cosa voglia far diventare questi poveri padri ma soprattutto questi poveri figli. Troppo spesso viene citata la frase….” per il bene supremo del minore….” e questo secondo quelle menti eccelse è il bene del minore? Il bene del minore è crescere e vivere senza uno dei due genitori o vederlo con il cronometro? Poi si grida tutti allo scandalo e all’indignazione quando sentiamo che un adolescente si suicida o peggio compie atti di violenza su coetanei o ancor di più sui genitori stessi…..ci chiediamo chissà cos’avrà mai portato quel ragazzo ad avere un comportamento del genere…..Per favore non nascondiamoci dietro ad un dito, non facciamo finta di non vedere e, anche se non siamo genitori separati combattiamo queste ”leggi assurde” perchè i figli di oggi saranno futuri genitori e ancor di più saranno futuri avvocati, giudici, magistrati…..mi auguro molto meglio di quelli di ora!!