Il mantenimento del figlio maggiorenne: diritti e doveri
Il mantenimento dei figli è da sempre un argomento molto “spinoso” per gli avvocati della famiglia che spesso, nell’affrontare la materia, si trovano a dover bilanciare una serie di interessi: da un lato il diritto del figlio, anche maggiorenne, ad essere mantenuto dai propri genitori; dall’altro i doveri che il figlio ha nei confronti degli stessi, il cui inadempimento può anche portare alla perdita del diritto.Il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole trova fondamento sia nella Carta Costituzionale (art. 30 Cost), sia nelle disposizioni del Codice Civile (es. art. 147; 148 Cod. Civ.) in cui sono stabiliti anche i criteri per la ripartizione degli oneri relativi. Il diritto al mantenimento emerge quindi in modo inequivocabile dal panorama normativo italiano, e spetta indistintamente ai figli legittimi ed a quelli naturali, poichè la nascita al di fuori del matrimonio non può in alcun modo influire sul rapporto di genitorialità e sui diritti da esso derivanti. L’obbligo di mantenere il figlio, unitamente a quelli di educarlo ed istruirlo, si configurano quindi come un dovere di tutti i genitori, inquadrabile nel più ampio dovere di solidarietà finalizzato a consentire la crescita della prole, favorendone il raggiungimento della maturità fisica, psicologica e sociale, oltre all’ indipendenza economica. Fin quando, però, il genitore deve sentirsi gravato di questo onere? Quando il figlio, ormai adulto, può considerarsi autosufficiente? In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “l’obbligo di mantenimento del figlio resta a carico dei genitori anche al raggiungimento della maggiore età, protraendosi fino a quando questi non diventi autosufficiente o sia accertato che la mancata autosufficienza economica sia da attribuirsi a sua colpa. Il rifiuto ingiustificato di attività lavorativa è idoneo ad estinguere il diritto al mantenimento”. Nel caso di specie il padre di una giovane si era rivolto al Tribunale chiedendo di essere esentato dall’obbligo di mantenimento della figlia maggiorenne la quale era in ritardo con gli studi ed aveva anche rifiutato un posto di lavoro che il genitore era riuscito a procurarle. La vicenda aveva visto prevalere la tesi paterna sia in primo grado che in appello, ed il ricorrente era stato esentato dall’obbligo di mantenimento. Decidendo sull’impugnazione presentata dalla figlia, la Cassazione , confermando la tesi dei giudici di merito, ha stabilito che, se è vero che, in via di principio, l’obbligo di mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, nel caso in esame il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica andava attribuito a colpa della ragazza la quale, senza apprezzabili motivi, non aveva terminato gli studi ed aveva colpevolmente rifiutato il lavoro offertole. Deve pertanto ritenersi condannabile il comportamento del figlio che, posto dai genitori nelle condizioni di raggiungere la propria indipendenza economica, non ne approfitti colpevolmente e, pur tenendo conto delle sue legittime aspirazioni lavorative e di carriera, non le concretizzi nel perseguimento dell’indipendenza sociale ed economica. Le aspirazioni e le ambizioni, infatti, non possono tradursi in un prolungamento senza limiti del periodo di studi o di un rifiuto sistematico di qualsivoglia occupazione, che le trasformerebbero soltanto in un mero abuso della situazione da parte del giovane. Nella funzione educativa dei genitori, infatti, deve ricomprendersi anche il diritto-dovere di porre termine ad una ingiustificata aspettativa da parte del figlio, quando essa si sia mutata in una colpevole inerzia.
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