Il Tribunale può obbligare i genitori separati ad intraprendere un sostegno psicologico?
Eppure nei Tribunali italiani è una prassi molto diffusa, prescrivere/suggerire un sostegno psicologico/parent training/psicoterapia ad uno o ad entrambi i genitori.
Si parte dal presupposto che il conflitto all’interno della coppia genitoriale arrechi pregiudizio alla salute psicofisica del figlio. In altri termini, se i genitori vanno d’accordo il figlio sta bene, se litigano il figlio sta male.
Seguendo questo ragionamento, (quasi) tutti i figli dovrebbero essere allontanati dai genitori, anche da quelli non separati.
Torniamo alle cattive prassi nei Tribunali e all’interno delle CTU chiarendo alcuni concetti:
#1 – Nessun genitore può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario
Che sia un sostegno psicologico, un parent training, una psicoterapia, una terapia et similia, chi suggerisce/prescrive all’interno del contesto giudiziario un trattamento sanitario ai genitori vincolandolo al giudizio sulla capacità genitoriale compie un’attività illegittima.
Della serie: se ti curi, sei valutato come capace di svolgere la funzione genitoriale; se non ti curi, esprimiamo un parere negativo.
#2 – Qual è la normativa che pone il divieto di imporre/suggerire trattamenti sanitari ai genitori?
– l’Art. 32 della Costituzione
– la legge sul consenso informato (L. 219/17 art. 1)
– i principi enunciati nel Codice Deontologico dello Psicologo e del Medico
#3 – Qual è l’orientamento della Cassazione su questo argomento?
La Cassazione è sempre stata unanime in tema di consenso informato viziato o assente confermando che nessuno può essere obbligato ad intraprendere un trattamento sanitario.
Nel caso specifico (obbligo trattamento sanitario ai genitori separati), nel 2015 si è espressa con la sentenza n. 13506 e nel 2109 con l’ordinanza n. 18222.
La psicoterapia e il sostegno psicologico sono formidabili strumenti per lavorare, in diverso modo, sul conflitto all’interno delle famiglie divise o in procinto di separarsi, ma funzionano solo ed esclusivamente dietro un valido e libero consenso informato dei genitori.
Mi spiego meglio: sono attività legittime che possono produrre ottimi risultati solo ed esclusivamente se i genitori scelgono spontaneamente di sottoporsi a tali trattamenti sanitari. Se l’invio è coatto o connotato da una sottesa minaccia (ti invito a curarti, ma se non lo fai prendo provvedimenti sull’esercizio della tua responsabilità genitoriale) il consenso informato risulta viziato. In questo caso, è possibile ipotizzare l’ipotesi di reato di violenza privata (art. 610 c.p.).
Ne parlo nel libro “Nodi e snodi nell’alienazione parentale” (2019):