La follia del sistema va al Galoppo – Dott. Gaetano Giordano
Si suicidò poi con la stessa arma con cui aveva fatto fuoco sui congiunti, non prima di aver però avvertito i colleghi di PS e cercato,· particolare tragico quanto rivelatore, di far arrivare una ambulanza affinché – lo disse chiaramente e risulta dai giornali dell’epoca – i loro organi potessero essere donati per un trapianto.
L’uomo era separato dalla moglie: e accusava la stessa di non fargli vedere i bambini, ovviamente con l’aiuto dei suoi legali.
A quanto si disse all’epoca, la donna, qualche tempo prima del gesto inconsulto, avrebbe rivolto minacce al marito: Io ti mando sul lastrico perché ti tolgo i figli e lo stipendio.
Saverio Galoppo lasciò alcune lettere manoscritte nelle quali “chiariva” i motivi del suo tragico gesto: l’uomo lamentava di non poter vedere i figli, anche per colpa dei giudici che non avrebbero tenuto in alcun conto il suo diritto di padre.
Faceva poi notare, sottolineandolo con angoscia, come la moglie avesse deciso di tornare a vivere ad Alezio, comune in provincia di Lecce, distante circa 1100 km dal capoluogo ligure e dunque di fatto impossibilitando il padre a vedere con continuità e
regolarità i propri figli.
Riferendosi ai due piccoli, Saverio Galoppo lasciò scritta una frase disperata:
“Non volevo che soffrissero ancora”.
Particolare determinante, per inquadrare la vicenda, è rilevare che Saverio Galoppo non aveva mai dato segni di squilibrio, che era stato assunto in Polizia e abilitato a portare armi. E’ dunque da escludere la pre-esistenza di patologie personali in grado di scatenare, motivare, spiegare il gesto.
Ricordò così il questore di Genova dell’epoca, Oscar Fiorolli: Avevo una certa familiarità con lui perché lo vedevo abbastanza spesso. Era un ragazzo un po’ chiuso che non aveva mai manifestato alcun disagio.
A quanto risultava dalle cronache dell’epoca, l’ultima scintilla che fece esplodere la “follia” di Galoppo (ma la follia era solo la sua? O quella di tutto un sistema che gestiva in termini così assurdi e tragici il contenzioso in cui era coinvolto?) sarebbe stata innescata dal fatto che – in procinto di partire con i figli per le vacanze estive – si era visto recapitare la convocazione ad una udienza che, secondo lui non a caso, spezzava le sue ferie con i figli, costringendolo a interromperle, dal momento che le aveva pianificate in un luogo lontano da Genova.
La tragedia dei suoi figli, della moglie, e sua, non avrebbe dovuto passare inosservata, o lasciare tutti senza una riflessione, uno spunto, una domanda che portasse in primo piano quanto un sistema che gestisce la conflittualità coniugale attraverso una conflittualità di livello più elevato e impegnativo, non possa generare tragedie assurde.
Così non è stato: si sono infatti moltiplicati i casi di padri e madri che, nel corso di conflitti per la separazione coniugale, hanno fatto strage della propria famiglia.
I morti – per omicidi e per suicidio-omicidio – ormai non si contano più.
Solo una prospettiva molto mistificatoria, e molto semplicistica, si può credere che tutto ciò avviene ad opera di psicopatici che da tempo soffrivano di nascoste turbe mentali, o che non reggono alla separazione dalla moglie, o per una innata tendenza “dei padri” ad essere violenti e brutali.
Il vero problema è nelle “regole del gioco”: o meglio, del “sistema”. E per poterlo dimostrare si deve, e me ne dispiace, partire da lontano: per sradicare stereotipi percettivi secondo i quali le cose che vediamo hanno sempre gli stessi significati.
La nostra mente – apro dunque qui un breve inciso per meglio chiarire cosa accade veramente in questi casi – tende a ignorare che essa non percepisce dati assoluti, ma solo relazioni fra stimoli diversi. mi spiego meglio. quando noi percepiamo un oggetto come “caldo” o “freddo”, quando ascoltiamo “un suono”, o vediamo “un colore”, in realtà operiamo analizzando la differenza fra la temperatura di quell’oggetto e quella del nostro corpo (basta fare la prova con dell’acqua calda e fredda, ad esempio), o le differenze fra le varie lunghezze d’onda che ci raggiungono, e via di seguito. Bastano alcune semplici prove per renderci conto di come le nostre percezioni
(Bateson, Verso una Ecologia della Mente) sono percezioni di differenze. Allo stesso modo, noi tendiamo ad attribuire agli “oggetti” (e alle persone, come vedremo), comportamenti o qualità che invece appartengono solo al “rapporto” fra l’oggetto e l’ambiente circostante.
Per noi è facile, ad esempio, a dire che la macchina “si muove”. Una macchina si muove se le ruote – mosse dal suo motore – girano su un terreno solido. Se la mettiamo su un tapis roulant, o su delle sabbie mobili, il meccanismo che sta alla base di quello che su una strada si esprime come “movimento DELLA macchina”, farebbe restare immobile, o affondare, l’auto. Questo significa che quello che percepiamo come “movimento della macchina” è una qualità, una creazione, del rapporto fra la macchina e il terreno su cui si poggia. Lo stesso si può dire di un “uomo che cammina”. L’impulso neuromuscolare che gli fa “muovere le gambe”, e lo fa “camminare in una strada”, avrebbe tutt’altro effetto se si esprimesse sempre su un tapis roulant, o in presenza di una imbracatura che ne vincolasse gli altri movimenti.
Ciò che noi osserviamo, in noi stessi, negli altri, nelle cose, non sono dunque dati oggettivi e assoluti, ma il frutto di interazioni ben precise e complesse, che il nostro cervello, per comodità, attribuisce poi agli oggetti o alle persone.
Se guardiamo un foglio bianco per diversi minuti, volgendo lo sguardo altrove i colori ci appariranno diversi da prima, Se ascoltiamo a lungo un suono costante, finiremo per ignorarlo: lo stesso avverrà se fissiamo sempre lo stesso punto. Noi viviamo di relazioni, e percepiamo solo relazioni che poi, per comodità, attribuiamo ai singoli oggetti o persone. Applicato ai rapporti fra esseri umani questa diventa un’ipotesi rivoluzionaria, che ci permette di leggere e valutare i comportamenti che crediamo di osservare in tutt’altro modo.
Torniamo ora al problema delle separazioni genitoriale, e dei conflitti che ne sono alla base: vedremo dunque come i “comportamenti” delle singole persone non sono attribuibili SOLO alle singole persone che sembrano esprimerli, ma, come nel caso della macchina, a tutto il sistema nel quale i singoli sono immersi.
Raccomandiamoci allora un’altra cosa: qual è la soluzione che la nostra società offre oggi ai conflitti coniugali? Il conflitto giudiziario. In caso di coppie non eccessivamente conflittuali, il conflitto giudiziario si risolve brevemente con la cosiddetta “consensuale”. Nel caso di coppie troppo conflittuali, il conflitto giudiziario diventa lunghissimo. Essendo basato poi su un tipico modello “a somma zero”, presuppone infatti un vincitore ed un vinto, e non una soluzione comune che salvaguardi la relazione dal proprio conflitto. Questo implica allora che la coppia non conflittuale non ha bisogno del procedimento giudiziario, mentre la coppia molto conflittuale esce
ancora più conflittuale dalla soluzione creata per gestirne il conflitto. In termini logici questo è un paradosso, e implica che la soluzione genera il problema: il sistema delle separazioni crea il problema che poi vuole dirimere.
Se non vi fosse il conflitto giudiziario come “soluzione” al conflitto personale, ma – obbligatoriamente e nell’interesse dei figli – interventi volte a tutelare la relazione da cui è nato il figlio (e non i diritti dei singoli individui, che, come abbiamo visto, sono individui solo se si esprimono in un contesto), il conflitto coniugale si detenderebbe. Il punto da discutere, allora, è che questo sistema di separazioni crea regole di conflitto per gestire un conflitto, e permette a chi ha intenzioni conflittuali, di esasperare sempre di più i propri “comportamenti”. Che però sono resi possibili come tali (cioè come sempre più esasperatamente conflittuali) solo dal sistema che li favorisce perché
fondato sulle stesse premesse del problema che pretende di risolvere.
Due coniugi che litigano troppo in casa litigheranno ancora di più se possono farlo anche in Tribunale. I loro comportamenti non sono però attribuibili ad essi soli, perché se vi fossero altre soluzioni, vi sarebbero altri risultati. Si dirà che se i coniugi conflittuali volessero un accordo cercherebbero la mediazione. E’ altrettanto evidente che se un asino avesse le ali potrebbe volare: il punto è che al coniuge conflittuale questo sistema offre come strumento di certezze (perché una sentenza di un giudice è in primo luogo una certezza di cui farsi forte per regolare i propri rapporti con l’altro – per gli esperti: cfr Luhmann): uno strumento dunque che tende a creare certezze
attraverso un conflitto ancora più elevato (quello giudiziario, appunto). Il che però implica che il conflitto ancora più elevato sarà seguito da un ulteriore elevamento del conflitto, con un esito di “cortocircuito” tipico di contesti così “ricorsivi” (nei quali, cioè, l’effetto che si ottiene è la causa di sé stesso: come in un PC andato in loop, l’uscita da uno stato genera il reingresso del sistema nello stato di prima).
Vi è poi da discutere altri punti: la maggior parte delle cause di separazione termina con un affido dei minori alla madre, e con un congruo assegno che il padre deve versare. In primo luogo, questo è un ulteriore paradosso, perché un sistema come quello giudiziario, fornitore di certezze e di imparzialità, si classifica qui come il proprio opposto, perché dà quasi certezze, e sono “quasi certezze” di ingiustizia: che si sappia di avere il 95% di possibilità di perdere una causa con pesantissime ripercussioni psicologiche ed economiche, solo perché appartenenti al sesso maschile, è un paradosso che distorce il concetto stesso di “giustizia”.
L’esito di questo processo è poi la perdita del contatto con i propri figli.
Qui emerge un altro paradosso. La sentenza che solitamente ottiene un padre separato GLI IMPONE INFATTI DI CONSIDERARE “NORMALE” E “OBBLIGATORIO” quello che lo STESSO DIRITTO E LA STESSA PSICOLOGIA DEFINISCONO LESIVO DELLA STABILITÀ MENTALE DEL BAMBINO. Un GENITORE NON SEPARATO che volesse trascorrere con il proprio figlio un week end ogni quindici giorni, quattro/sei ore alla settimana, una settimana in inverno e due settimane d’estate, è considerato – dagli psicologi, dagli avvocati, dagli assistenti sociali – un GENITORE TRASCURANTE. E in un giudizio di separazione questa sua scelta lo farebbe definire genitore “inadeguato”.
Un GENITORE SEPARATO che non vuole trascorrere con il proprio figlio un week end ogni quindici giorni e quattro/sei ore alla settimana, una settimana in inverno e due settimane d’estate, è considerato un genitore che non vuole adempiere alle statuizioni
giudiziarie dunque CONFLITTUALE, POTENZIALMENTE ABUSANTE, INADEMPIENTE. E in un giudizio di separazione ciò lo farebbe definire genitore “inadeguato”.
Un sistema del genere è un sistema schizofrenico e schizofrenizzante perché obbliga a concepire l’essere padre (cioè: ad accudire la prole, istinto biologico potentissimo) in modi paradossali, e criminalizza il singolo che non accetta, perché gli è stato insegnato a non farlo, l’incongruenza del sistema. Se poi aggiungiamo che, in un tale sistema il genitore affidatario ha la possibilità concreta di disattendere le disposizioni del giudice, impedendo all’altro di vedere i figli senza correre quasi alcun rischio di condanna, e, in aggiunta, la possibilità di dire al proprio ex coniuge (come pare avesse detto la moglie al proprio ex marito poco prima che lo ammazzasse): “io ti getto sul lastrico perché ti tolgo i figli e lo stipendio”, si comprende che la follia non può essere attribuita solo a chi compie il gesto materiale di uccidere i propri familiari e poi se stesso, ma a tutto un sistema che vive, anche economicamente del conflitto che deve gestire attraverso il conflitto che crea.
Negli Stati Uniti esistono una infinità di studi che qui in Italia non sono arrivati proprio sui comportamenti patologici che si generano in questi casi. Esiste così la descrizione della “Sindrome di Alienazione Genitoriale”, secondo la quale un figlio viene indotto ad accusare il proprio genitore con accuse inventate e prodotte spontaneamente, o la “Sindrome della Madre Divorziata Malevola”, della Clinica
Psichiatrica dell’Università della Florida, che descrive il comportamento della madre affidataria che volutamente tende a distruggere la vita all’ex marito negandogli i figli, coinvolgendolo in azioni legali di natura penale basate su false accuse (prassi che si è
diffusa anche in Italia), tentando di impedirgli ogni rapporto genitoriale soddisfacente con la propria prole. E’ chiaro che se non si esaminano tutti questi aspetti del problema, un padre che spara e e ammazza i propri figli, la propria ex moglie, e poi sestesso, ci sembra un folle.
Una caratteristica costante di questi casi, però, e che si tratta sempre o quasi sempre di “padri”, cioè di mariti che hanno dei figli, e che possono vedere questi figli solo raramente e con enormi difficoltà, e in piena antitesi ai propri desideri e, di più, a quanto ci si aspetta da un buon padre di famiglia a tutt’oggi (e magari, si tratta di padri che, quando convivevano con i figli, erano accusati dalla moglie di trascurare figli e moglie per il lavoro: per essere accusati, a sentenza di separazione emessa, di volerli vedere come prima). In altri termini, la strage di questo tipo –o l’omicidio del partner con suicidio –è nella stragrande maggioranza dei casi opera di maschi
eterosessuali, con prole, e con gravi problemi di conflittualità giudiziaria per l’affido dei figli: il che implica che il vero problema non è nella paura dell’abbandono da parte del partner (le statistiche sarebbero uniformemente ripartite fra coppie con e senza figli, e·fra coppie omosessuali), e nemmeno nella paura del divorzio dalla persona amata.
Un’altra caratteristica costante è che, nella maggior parte dei casi, chi compie questi delitti non appare mai matto a nessuno prima che “compia” il gesto folle. Il punto di riferimento sono proprio gli episodi avvenuti fra appartenenti alle Forze dell’Ordine, e fra coloro che, legalmente in possesso di armi, hanno compiuto delle stragi. Di nessuno di essi (e negli anni passati altri esponenti delle FF.OO hanno compiuto gesti del genere) si è mai potuto dimostrare che fossero “pazzi” PRIMA che commettessero il gesto. Non possiamo infatti pensare che siano state date delle armi a gente che ha dovuto passare serissimi test attitudinali, e l’osservazione continua di·colleghi e superiori di valore, senza che nessuno capisse che si trattava di psicopatici pronti ad uccidere.
Dobbiamo dunque arrenderci a diverse evidenze:
– Il vero problema è che l’attuale sistema di gestione sociale della conflittualità genitoriale esaspera la conflittualità genitoriale perché propone come soluzione a questa conflittualità un’altra, più elevata e più potente, conflittualità (quella giudiziaria), il cui peso sui singoli è terribilmente più potente e più costoso;
– La lesione del rapporto genitoriale in costanza di un procedimento giudiziario che favorisce il conflitto e non la soluzione concordata e solidaristica, è destinato ad innescare “comportamenti” che saranno leggibili a posteriori come psicopatici, e che so innescheranno a catena (il genitore non affidatario impedito a vedere i figli come gli è stato sempre detto che è giusto e normale, ostacolato dalle insidie legali create dalla ex moglie, tenderà sempre a reagire con violenza sempre maggiore, il che comporterà l’innesco di misure e comportamenti che, finalizzati a contenere questa violenza, in realtà la esaspereranno sempre di più);
– Il figlio esiste come tale solo nell’ambito della relazione da cui è nato. Al di fuori di esso è un oggetto di diritti e doveri ma non soggetto di affetti. Nella divisione in “contendenti” operata dal procedimento giudiziario, il figlio muore come realtà affettiva e cognitiva, e sopravvive come mero strumento giuridico: il percorso giudiziario che pone la tutela del minore a proprio fondamento è un percorso
paradossale perché pone a fondamento di questa tutela regole che rendono IMPOSSIBILE L’ESISTENZA DI CIÒ CHE VUOLE TUTELARE, il figlio –che come realtà affettiva può dunque esistere solo nell’ambito di una condivisione della relazione e non
in un contesto in cui un membro della relazione vince e l’altro perde. Mentre per altre “morti collettive” è immediata la creazione di un concetto UNIFICANTE di “strage” ( “strage del sabato sera”, per i ragazzi ubriachi che escono dalla discoteca; “strage·del week end” per i morti da grande esodo automobilistico, e via di seguito), per questo tipo di stragi il sistema entro cui sono generate impedisce che vengano accomunate in una unica notificazione, perché il concetto di STRAGE DA SEPARAZIONE implica ben precise responsabilità nelle regole del sistema che dovrebbe gestire la conflittualità che poi esplode in questi termini;
– L’attuale sistema sociale di gestione del conflitto coniugale crea il problema che vuole risolvere (e qui occorrerebbe riscoprire che, nella Scienza dei Sistemi, e in quella della Complessità, le causalità sono sempre circolari e mai lineari);
– L’unica via d’uscita è entrare in una cultura della condivisione della genitorialità,una cultura al momento fortemente ostacolata, nel suo esprimersi, proprio dalle regole (e alcune volte anche dagli operatori) di un sistema che vive e guadagna del conflitto che vuole risolvere.
Per finire, una buona notizia. Negli ultimi due mesi del 2003 (giugno e luglio) i delitti emergenti da contesti di conflittualità genitoriale sono il doppio di quelli avvenuti nei primi mesi.
Urgono soluzioni – non chiacchiere. I morti, ormai, sono troppi. Parafrasando tragicamente – ma con il più assoluto rispetto verso chi è morto in queste tragedie – possiamo dire che con troppa comodità per tutti LA FOLLIA DEL SISTEMA VA AL GALOPPO.
Non si può più, infatti, attribuire al singolo morto una follia che è di un intero sistema. E’ disonesto, è cieco, è insensato. Questi morti non ci sarebbero stati, e i nuovi morti che verranno non verrebbero, se le regole del gioco fossero diverse.
Una preghiera per coloro che sono morti. E una preghiera per evitarne altri.
fonte: http://www.centrostudi-ancoragenitori.it/images/galoppo.pdf
Scusate, potreste dire chi è l’autore di questo articolo?
Magari con una certa urgenza…
Sono io, grazie
Gaetano GIORDANO