L’alienazione parentale: da sindrome a disturbo relazionale
Risulta davvero singolare, per non dire incomprensibile, come la Corte di Cassazione, a distanza di pochi giorni, abbia emesso due sentenze in palese contraddizione fra di loro.
La Suprema Corte, con la sentenza 5847 depositata lo scorso 8 marzo, nega ad un padre, non solo l’affidamento condiviso dei figli, che fino a quel momento vivevano con lui, ma addirittura il diritto di vederli, in quanto ai minori era stata diagnosticata una PAS (sindrome d’alienazione parentale), che avrebbe potuto determinare danni irreversibili allo sviluppo psicologico dei minori.A distanza di soli 12 giorni, in seguito alla sentenza 7041 del 20 marzo, Leonardo, il bambino di Cittadella tristemente noto alle cronache, viene prelevato dalla casa del padre (peraltro senza alcun preavviso) e “ricollocato” presso la madre, in virtù della non scientificità della diagnosi di PAS, sindrome che aveva giustificato, da parte dei Giudici della Corte d’Appello di Venezia, l’allontanamento del minore dalla madre e la sua collocazione presso una casa-famiglia, per permettergli di recuperare gradualmente il rapporto con il padre, lontano dalle ingerenze materne che altrimenti avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di ripristino del suddetto rapporto.
Ma allora, la PAS esiste o è solo l’invenzione di un certo dottor Gardner che si è dilettato, nel corso della sua esistenza, ad individuare sintomi fittizi e frutto della sua fantasia per godersi la notorietà che, comunque, ha conquistato presso la comunità scientifica?
Se smettessimo tutti di giocare con le parole e ci attenessimo maggiormente alla realtà dei fatti ed all’osservazione dei comportamenti e delle relazioni, non potremmo non essere tutti d’accordo sul fatto che la PAS esiste, eccome!
Non la vogliamo chiamare “sindrome” perchè non rientra ancora, e probabilmente non rientrerà mai (ma poco importa), nel novero delle patologie classificate nel DSM V?
Bene, non chiamiamola “sindrome”, ma la sostanza non cambia.
L’alienazione di un genitore da un figlio è qualcosa di terribile e devastante per la mente di un minore ed è una tristissima realtà che non si può ignorare nascondendosi dietro le parole e le terminologie.
Chi ha esperienza nel campo psico-forense conosce bene la differenza che esiste fra un bambino condizionato, finanche manipolato ed un bambino alienato.
Il distacco, la freddezza, il gelido rifiuto che trapelano dalle parole e dalla mimica di un figlio alienato nei confronti del genitore rifiutato fanno accapponare la pelle e non hanno nulla a che fare con le dichiarazioni, talvolta pungenti, talatra capricciose di un figlio che adduce motivazioni di vario tipo di fronte alla sua reticenza a frequentare un genitore; motivazioni che, in un caso, quello dell’alienazione, sono assolutamente inconsistenti, anzi inesistenti, nell’altro, per quanto deboli, hanno comunque un’attinenza con la realtà e possono giustificare una parziale e temporanea resistenza di un figlio a frequentare un genitore, resistenza che presto scema se è data loro la possibilità di trascorrere del tempo insieme e di condividere esperienze ed emozioni.
Ma come è possibile che un genitore, padre o madre che sia, fino a quando il matrimonio è stato in piedi, sia stato un genitore affettuoso ed amato dal proprio figlio, mentre poi, nel momento in cui i coniugi si separano, diventi un essere indegno d’amore e di attenzione, addirittura una persona dalla quale guardarsi, oggetto solo di disprezzo e svilimento?
Perchè è esattamente questo che accade, il ribaltamento totale e, se non si corre ai ripari, irreversibile, di un rapporto che era sempre stato lineare e gratificante, sia per il genitore che per il figlio e che, dopo la separazione, diventa un rapporto impossibile, perchè quello stesso buon genitore di allora si è trasformato in un essere spregevole, da eliminare dalla propria vita.
Questa è l’alienzione, la negazione di un genitore, da parte di un figlio, dalla propria vita psichica, “grazie” all’opera capillare e certosina del genitore convivente che “costringe” il figlio, sottilmente e subdolamente, ad eliminare “l’altro”, pena la perdita del suo amore.
Si tratta di un fenomeno complesso e profondo, che porta gradualmente il figlio a fare suoi i concetti ed i sentimenti del genitore alienante, tanto da essere convinto dell’autenticità e dell’autonomia del suo pensiero e, con assolute certezza e determinazione, portare avanti la sua battaglia demolitrice nei confronti di colui o colei che prima rappresentava una parte fondamentale del suo mondo affettivo.
Una perdita devastante, un lutto che può avere conseguenze gravissime sullo sviluppo psichico di un individuo giovane che, da grande, potrà sviluppare patologie di varia enità, fino anche alla paranoia.
A questo punto, vogliamo ancora perdere tempo a chiederci se la PAS esiste o no?
O se il fatto che si chiami “sindrome” ne sconfessi l’esistenza?
Ci riempiamo tutti la bocca con termini quali “la tutela dei minori” o la “bigenitorialità” per poi continuare a negare una realtà che nuoce pesantemente ed irreversibilmen te a questi minori, vittime non solo di genitori maltrattanti (perchè tale è un genitore alienante), ma anche di esperti poco tutelanti.
Credo che tutti noi che ci occupiamo della famiglia, sia dal punto di vista psicologico che di quello legale,dovremmo impedire che queste situazioni continuino ad esistere, se davvero vogliamo tutelare i minori ed operare una vera prevenzione del disagio psichico e sociale.
Qualora si intravedano situazioni così gravemente pregiudizievoli per un minore, occorre fare di tutto ed in fretta perchè non si cronicizzino e non diventino l’anticamera di patologie o, comunque, nella migliore delle ipotesi, di gravi sofferenze.
Poco importa che siano inserite in un manuale diagnostico, che si chiamino “sindrome” o “disturbo relazionale”; quello che importa è il dolore che arrecano ed il rischio che possano condizionare pesantemente la salute psichica di chi ne è vittima.