Lettera di un padre
Ho 50 anni, sono un insegnante di scuola superiore, padre di due bellissimi ragazzi. Da 5 anni vivo il calvario prima della separazione ed ora del divorzio giudiziale. Le scrivo perché ho deciso di non aver più paura e, sebbene mi costi molto mettermi così a nudo davanti ad altre persone, raccontare e denunciare un sistema basato sul pregiudizio verso la paternità. Prima che come dovere di cittadino e di docente, lo sento soprattutto dovere di padre che lotta per un futuro diverso per i propri figli.Con sentenza del 29 gennaio scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato (e multato) la legislazione italiana, il nostro sistema giudiziario e di assistenza sociale, per non aver adottato le misure necessarie a garantire ad un padre separato la possibilità di esercitare il suo diritto/dovere di genitore verso sua figlia. Bene, sono qui a testimoniare che ho percepito l’esistenza di tale pregiudizio fortemente presente anche nella nostra città, attraverso una visione distorta e cancrenizzata dei reali obiettivi e volontà della legge, coglibile nella semplice mancanza di “buon senso” da parte di chi ha il compito di giudicare, dei servizi sociali ed infine di discutibili avvocati che spingono al conflitto fra i coniugi lucrando sulla disperazione delle famiglie separate e dei loro figli.
Il padre che ha costruito una famiglia, che ha voluto i figli e che avrebbe voluto dividere con loro il proprio tempo per educarli ed accompagnarli nella loro esistenza negli anni più importanti e significativi, un istante dopo la separazione si trasforma improvvisamente in un fuco fecondatore senza importanza, la sua paternità diventa un terrificante, inumano, insopportabile “diritto di visita” nonché uno sportello automatico che distribuisce vitalizi spesso così pesanti da spezzarne la dignità e la visione di un progetto futuro per sé e per i propri figli.
La volontà di essere padre a tutto tondo e di avere con me i figli la metà del tempo, occupandomi direttamente di provvedere alle loro esigenze, si è scontrata con la peggiore espressione di pregiudizio verso il padre. Tale pregiudizio è stato chiaramente espresso in diverse occasioni e sottolineato in alcune frasi delle memorie della controparte nelle quali il desiderio e l’impegno di avere con sé i figli e occuparsi direttamente di loro “rientrerebbe in uno stereotipo molto comune tra i padri separati che chiedono di trascorrere più tempo con i figli ed il mantenimento in forma diretta solamente per evitare di contribuire con un assegno periodico”.
Queste espressioni sottolineano e dimostrano appieno come la volontà di considerare il padre un mero accessorio, inutile nel processo educativo e incapace di provvedere direttamente ai figli, sia radicata e proposta come aberrante consuetudine.
Il padre è visto da una certa giurisprudenza (per fortuna non dalla legge, ce lo ricorda l’Unione Europea) come un elemento secondario nella cura e nell’educazione dei figli, importante solo per elargire emolumenti.
E’ evidente che il ruolo di padre impegnato e presente e un affido condiviso con mantenimento diretto sia una spina nel fianco degli avvocati matrimonialisti.
L’equilibrio fra le parti non genera conflitto ma soprattutto non genera reddito per l’avvocato. Lo stereotipo piuttosto comune sembra essere invece quello di alimentare conflitto e usare i figli in modo strumentale per trarre benefici di tipo patrimoniale.
Pur di “vincere” non si tiene infatti conto degli enormi danni che si possono arrecare ai figli ed al delicato tessuto affettivo insito nella relazione con i genitori e soprattutto con la figura paterna.
Per difendere il diritto dei miei figli a vivere una situazione equilibrata nei fatti e nella sostanza, prima di essere accolto da un serio professionista che ha condiviso le mie istanze e con grande pazienza mi ha accompagnato, inizialmente mi sono rivolto a diversi studi legali e in tutti i casi la risposta è stata sempre la stessa: «A Cuneo non si fa, qui non succede…».
L’esperienza che sto vivendo e condividendo con tanti altri padri separati mi porta a pensare che esista una sorta di “intesa” fra le diverse figure che si occupano di giustizia familiare. Nascondendosi dietro al refrain “i bambini non sono pacchi postali”, evitano di confrontarsi seriamente con nuovi modelli di reale “condivisione” e di gestione dei conflitti ma soprattutto con la reale volontà della legge. Quali di queste figure potrà mai affermare che per un bambino, qualora le condizioni lo permettano, è meglio un luogo piuttosto che una relazione con il suo genitore? Sarei felice di avere anche un solo riferimento pedagogico. Intanto, come denunciato dall’assessore Franca Giordano e dalla Sig.ra Giovanna Busso, responsabile dell’osservatorio sulla povertà della Caritas di Cuneo, nell’articolo apparso su “Targatocn” del 17 marzo, anche nella nostra città sono numerosi i casi di padri piegati ed umiliati costretti a dormire in automobile ed a rivolgersi alla Caritas per un pasto caldo. L’atteggiamento ostile verso i padri così evidente nelle sentenze (a volte vere e proprie esecuzioni) si esplicita anche nella stessa procedura. L’iter burocratico ed i tempi trasformano un servizio dovuto al cittadino in atti di vera e propria violenza; ecco di seguito un piccolo “campionario” direttamente vissuto:
- La mancanza di sensibilità, percepita personalmente come grave crudeltà, durante l’udienza presidenziale, nella quale, nonostante la delicatezza del momento e l’intimità degli argomenti trattati, erano presenti persone estranee che non avevano assolutamente la mia autorizzazione. Sarebbe importante ricordare alle specifiche professionalità che un divorzio è, almeno per una delle parti, un gravissimo lutto e come tale ha bisogno di rispetto e di attenzione. Quando mai si è visto arrivare al capezzale di un moribondo uno stuolo di dottorini alle prime armi desiderosi di fare pratica sul trapasso?
- Durante l’iter della separazione la volontà di essere genitore effettivo e non solo esercitare un “diritto di visita” ha generato una serie di assurde diffide, ho sentito frasi come: ” abbiamo dovuto domare il padre” , “non vuole pagare…”
- Alla richiesta di avere con me mio figlio piuttosto di lasciarlo solo a casa della madre in quanto assente per lavoro, il Giudice si è espresso dicendo che i figli stanno bene anche da soli (da due anni c’è un ragazzo che pur abitando a breve distanza, sta a casa da solo quando il padre ha il giorno libero…)
- Si sarebbe dovuti arrivare alla sentenza prima dell’inizio dell’anno scolastico che ormai è finito e, visto che le abitudini maturate hanno un peso notevole sulle decisioni del Giudice, come potrà essere modificata un’abitudine generata dallo stesso tribunale?
- La richiesta di avere con me mio figlio piuttosto che lasciarlo solo è stata ritenuta talmente assurda da prevedere un ascolto da parte dei servizi sociali. Ovviamente ci si è ben guardati di informare né il padre né il suo avvocato sulla data del colloquio ma è stata avvisata solo la madre togliendo la possibilità al ragazzo di avere un sereno ed equilibrato confronto con entrambi i genitori ed esponendo il ragazzo all’evidente possibilità di plagio ed al convincimento da parte di uno di essi.
La prima proposta di trascorrere più tempo con i figli compie ormai 5 anni e, in questi giorni, ricevuto l’ennesimo rinvio del tribunale, mi rendo conto che la sentenza è già stata scritta dal tempo. Quale opinione avremmo e che sentimenti susciterebbe in noi un medico che aspetta la morte del paziente prima di prescrivergli la cura?
In questi giorni un padre separato è partito da Lucca per andare a Strasburgo a piedi, per far valere il diritto di essere padre, 80 padri hanno inoltrato una class-action alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo mentre 800.000 padri italiani continuano a servirsi della Caritas per tirare avanti, il mese scorso altri 2 padri separati si sono suicidati a Milano e milioni di bambini continuano ad essere orfani di padri vivi.
Non è possibile pensare che questa forma di cancro sociale che devasta le famiglie ed ha evidenti ripercussioni sulle relazioni uomo/donna e sull’educazione dei ragazzi possa continuare con il tacito assenso fra gli addetti.
Non voglio pensare che il motivo di tale immobilità siano i 5 miliardi di euro annui generati dai conflitti, non voglio pensare che nessuno si accorga che la figura paterna, in forte crisi d’identità, stia scomparendo e, quando incontra i tribunali, venga quasi completamente cancellata. Perfino Papa Benedetto XVI nell’udienza del 30/01/2013 sottolineava che mai come oggi si percepisca l’assenza della figura paterna: ”…problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento.”
A quale modello sociale ci dobbiamo ispirare nel nostro lavoro di insegnanti e quale modello sociale possiamo aspettarci se il luogo che per definizione è deputato alla giustizia e all’equilibrio genera egli stesso violenza e discriminazione?