Marina, l’angelo custode dei “nuovi poveri”
Nuove e drammatiche scene di povertà a cui Marina, dopo le sue ore di lavoro a scuola, dedica il tempo rimanente con passione e grande delicatezza. «L’importante è non far mai sentire in imbarazzo chi aiuti – dice.- Mai far vedere a una persona che si prova pena o dispiacere per la situazione in cui si trova: potrebbe ledere la dignità altrui. Coi tempi che corrono, chiunque può finire per strada, a chiedere una mano agli altri».
Piuttosto magra, capelli raccolti, un viso solare, Marina è sposata con Piero, medico in pensione, ha tre figli e una gran voglia di aiutare gli altri. Il suo telefono cellulare squilla in continuazione e spesso le chiamate vengono addebitate a lei. «Mi chiamano da tutta la provincia – racconta, – non so nemmeno come faccia, il mio numero, a girare così tanto. Il passaparola, credo». L’agenda è piena di appuntamenti. «Oggi devo consegnare una rete da letto e un materasso – dice. – Per fortuna, proprio qualche giorno fa sono andata a svuotare la casa di una signora che traslocava e, tra le tante cose, aveva proprio una rete. A volte mi fermo a riflettere e mi dico: ma se mi chiedono una rete, prima dove dormivano, in terra?». Marina fotografa una situazione che è notevolmente degenerata con la crisi. «Un tempo – dice – erano gli stranieri a cercarmi. Oggi sono tanti anche gli italiani. Quando ho le ordinazioni, carico il motocarro, prendo il materiale che ho depositato nel tempo in garage e parto». Un po’ da sola, un po’ con l’aiuto del marito e di tante persone che appoggiano il suo impegno volontario, Marina ha creato una rete di aiuto disinteressato che coinvolge sempre più persone, senza avere nulla in cambio. «È vero che l’impegno è grande – dice – ma quello che ricevo è immenso a livello umano».
Tutto è incominciato con l’adozione, una quindicina di anni fa, di Andriy, un bambino di Chernobyl, che dopo poco è diventato il terzo figlio di Marina. «Andare in Ucraina – racconta – e vedere gli orfanotrofi, il dolore di questi bambini abbandonati, mi ha aperto una nuova dimensione della vita, di colpo ho guardato oltre le pareti della mia casa. Per questo ho iniziato a cercare di fare qualcosa per gli altri, ripensando alle parole di mio padre. Oggi, spesso, sul motocarro viene con me Andriy». La maestra dei traslochi è molto conosciuta. «Ricordo che un giorno passavo in corso Ricci con la macchina strapiena per fare una consegna – dice. – A un tratto mi ferma un vigile, pronto a farmi una multa per il trasporto fuori norma. Si avvicina il suo collega, mi guarda e dice: è la signora dei traslochi, lasciala andare!. Così me la sono scampata e ho portato a compimento il mio lavoro».
Ma la maestra di Valleggia non fa solo traslochi. Cerca di rispondere a ogni richiesta d’aiuto, da chiunque provenga e qualunque sia la necessità. Soldi esclusi. «Quando mi chiamano – dice Marina – chiedo di dirmi di cosa hanno bisogno: cose materiali, non denaro. Posso pagare una bolletta, comprare del latte, mai monete. In cambio ricevo sorrisi, strette di mano, tanto calore. Sono molto felice, per me è tutto. Al di là del mio lavoro e della mia famiglia, questa è la vita che desidero: donare agli altri il mio aiuto».
Quasi commossa mentre si racconta, Marina organizza già le consegne per il giorno dopo: un paio di scarpe numero 43, un cappotto, un armadio. «Non faccio parte di alcuna associazione – dice ancora – perché ho un modo tutto mio di aiutare. Non voglio porre priorità o scale di valore, per me le persone che hanno bisogno sono tutte uguali, tutte sullo stesso piano: nessuno è un numero, nessuno è da schedare. Mi autodefinisco una volontaria fai-da-te che fa per tre. E quello che non faccio io, lo fanno i miei colleghi, gli amici e i parenti che mi danno una mano. Persino i miei allievi mi portano giocattoli e abiti dismessi da offrire a chi ha bisogno. Lo ripeto sempre: le cose, io, le faccio sul serio».
Le zone più difficili, secondo la mappa di Marina, oggi sono Lavagnola e le periferie. Tante le ragazze madri senza un lavoro, con figli a carico; altrettanti senzatetto italiani e gli stranieri in difficoltà che, spesso, hanno ricevuto una casa popolare in affitto, completamente da arredare. Così arriva Marina, col suo motocarro. Non tutti capiscono il motivo delle sue scelte, della fatica, dei soldi spesi per gli altri. «Chi me lo fa fare? – dice.- La gioia che provo nel farlo. Quando sono un po’ giù mi ripeto le parole che, Luca, un ragazzo che ho aiutato, un giorno mi ha detto. “Quando morirai, il Signore ti dirà: Marina! Vieni qui e siediti. Adesso ti devi riposare!”. Allora sorrido e capisco che ne vale la pena».
Fonte : il secoloixi.it