Mobbing genitoriale
La caratteristica principale di questo mobbing è che dura nel tempo. Le fonti possono essere una forte diminuzione di affetto, disistima, avversità o astio per una scelta non condivisa compiuta da uno dei familiari. Solitamente, nasce e si sviluppa in modo graduale in diversi anni. In casi di conflitto, intra e interfamiliare, legati a esperienze di separazione, le alleanze collusive sono ancora più evidenti e sono funzionali a sostenere, influenzare, ricattare, ostacolare, riavvicinare i vari membri della famiglia, anche allargata (Giordano, 2004).
Come sappiamo, il termine “mobbing” (che in inglese significa assalto, attacco), coniato da K. Lorenz per descrivere gli attacchi di piccoli gruppi di animali contro un altro più grande ed isolato, per allontanarlo dal gruppo; è stato inizialmente utilizzato nel mondo del lavoro per descrivere “quella forma di comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo di mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa “ (Ege, 1996). La persona attaccata è messa in una posizione di debolezza e mancanza di difese, aggredita direttamente e indirettamente da una o più persone con aggressioni sistematiche, frequenti e protratte nel tempo il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale, della vittima dal luogo di lavoro (Ege, 1996). Ma oltre a questo mobbing, più conosciuto, ci sono anche altri tipi di mobbing, tra cui il già citato mobbing familiare, sancito a partire dalla sentenza 21/2/2000 della Corte d’Appello di Torino ha ritenuto causa giustificante la addebitabilità della responsabilità della separazione in capo ad un coniuge, che teneva comportamenti assimilabili al mobbing, elencando tutta una serie di comportamenti irriguardosi e di non riconoscimento del partner ( additava ai parenti e agli amici la moglie come persona rifiutata e non riconosciuta, sia come compagna, che sul piano della gradevolezza estetica, esternando anche valutazioni negative sulle modeste condizioni economiche della sua famiglia d’origine, offendendola non solo in privato, ma anche di fronte agli amici, affermando pubblicamente che avrebbe voluto una donna diversa e assumendo nei suoi confronti atteggiamenti sprezzanti ed espulsivi…talchè ferì la mogli nell’autostima, nell’identità personale e nel significato che lei aveva della propria vita.) . Non v’è dubbio che il tipo di mobbing di cui stiamo parlando, rappresenta una vera e propria violenza, se pensiamo che vale anche qui quanto vale per tutte le forme di mobbing umano: “il meccanismo della persecuzione è implacabile e può avvalersi di mille piccoli o grandi gesti quotidiani che conducono irrimediabilmente verso l’isolamento” (Ege, 1999).
Per quanto riguarda il “mobbing genitoriale” questa è la definizione che ne diamo: il “mobbing genitoriale” consta dell’adozione da parte di un genitore, separato o in via di separazione dall’altro genitore, di comportamenti aggressivi preordinati e/o comunque finalizzati ad impedire all’altro genitore, attraverso il terrore psicologico, l’umiliazione, e il discredito familiari, sociali, legali, l’esercizio della propria genitorialità, svilendo e / o distruggendo la sua relazione con il o figli, impedendogli di esprimerla socialmente e legalmente, intromettendosi nella sua vita privata. Il “mobbing genitoriale” è quindi una situazione in cui siano presenti per sei mesi almeno, ripetuti episodi di mobbing in una delle due aree di esercizio della genitorialità.: la relazione genitoriale in quanto tale, cioè il rapporto diretto fra genitore e figlio; e l’esprimersi sociale e legale di questo rapporto. Tale distinzione nasce dall’avere osservato che i comportamenti del genitore- mobber tendono sempre a svilire e distruggere la qualità della relazione esistente fra l’altro genitore e il minore, oppure (o anche), al genitore vittima di mobbing di esercitare la propria genitorialità nel consesso sociale, privandolo cioè della legittimità sociale e legale ad essere riconosciuto come “genitore” e a comportarsi come tale. Un altro campo nel quale il genitore vittima può subire i comportamenti vessatori è la propria vita privata, intendendo con questo termine le aree del lavoro e delle relazioni affettive e sociali esterne all’esercizio della propria genitorialità. Definiamo poi “mobbing genitoriale esteso” quello cui partecipano con accanimento più familiari del genitore mobber, considerando di fatto “fisiologico” che gli ascendenti siano schierati con i figli; per quanto riguarda invece la partecipazione al “mobbing genitoriale” di professionisti presenti nei conflitti genitoriali (avvocati, psichiatri, psicologi, ecc.), si tratta di un fenomeno del quale non si può negare l’esistenza, e che genera ulteriori riflessioni sul perché il “mobbing genitoriale”, e la catena di fatti criminosi e di sangue che emerge dalla conflittualità genitoriale, non sono mai divenuti oggetto di reale allarme scientifico e sociale. Un’ ipotesi può essere che la coppia genitoriale evolva verso la “transazione mobbizzante” in quanto gruppo caratterizzato dal fornire ai propri membri una significativa condivisione di identità “sociale”, nei riguardi dei figli, opera infatti come “coppia di genitori” e lo fa attraverso regole in qualche modo condivise dalla coppia al proprio interno e con il contesto sociale nel quale è immersa. La condivisione di questo (delicato) equilibrio di regole e definizioni è dunque fondamentale, perché in tale condivisione risiede la definizione sia della identità di ciascun partecipante al gruppo, sia del gruppo rispetto all’ambiente in cui esso opera. Il gruppo che può evolvere verso la “transazione mobizzante” è dunque un gruppo(Patrocchi, 2005):
– con storia (non formatosi cioè spontaneamente e al momento, ma secondo regole di identità condivise almeno in parte da tutti i partecipanti);
– ritenuto molto significativo dai suoi membri,
– i membri condividono quali sono le regole che definiscono ciascun partecipante al gruppo come tale. In presenza di un gruppo con tali caratteristiche, uno stimolo adeguato permette l’emergere di comportamenti che un osservatore può definire di “mobbing”; lo stimolo adeguato è di norma un “comportamento” di un membro del gruppo che viene percepito come un elemento che impedisce la stabilità e la continuità operativa del gruppo stesso. I comportamenti del “mobbing”, descrivibili come “violenti”, sembrano dunque, a chi li pone in atto, funzionali al mantenimento della propria possibilità di continuare ad operare secondo le regole identificate per quell’operare (ad es.: “non devo far vedere il figlio a quell’altro perché lui non si comporta più come genitore e se glielo facessi vedere non sarei più nemmeno io un vero genitore”).
Le situazioni definite come “mobbing familiare” sono l’esatta “traduzione” nel sottoinsieme genitoriale di comportamenti tipici del “mobbing” lavorativo, si esplicano in quattro differenti campi: sabotaggi delle frequentazioni con il figlio, emarginazione dai processi decisionali tipici dei genitori, minacce, campagna di denigrazione e delegittimazione familiare e sociale. I sabotaggi delle frequentazioni trovano radice nella facilità che il genitore affidatario ha di non incorrere in alcuna sanzione penale nel caso impedisca colposamente o dolosamente le frequentazioni statuite tra il figlio e l’altro genitore. Malgrado le espresse previsioni dell’art. 388 (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), nel quale rientra la fattispecie del genitore che non osserva il regime di frequentazione statuito dal Magistrato competente, la concreta punibilità di chi commette fatti del genere non è estremamente frequente. Nei casi di media o grave conflittualità il minore, soprattutto se di piccola età, più o meno frequentemente (a volte spesso o quasi sempre), non viene consegnato all’altro genitore con scuse banali, o semplicemente senza spiegazioni, oppure rifiutato per mezzo di scenate che comprendono accuse anche gravi. La presenza o l’arrivo di agenti di Polizia Giudiziaria non ostacola, salvo in casi rarissimi, quello che a tutti gli effetti è un comportamento criminoso. In altri casi, il genitore deve incontrare i figli in situazioni degradanti o umilianti: alla presenza di parenti dell’altro genitore, o di persone illecitamente incaricate di “sorvegliarlo”, ad esempio, o con modalità che lo spogliano di qualunque ruolo genitoriale – come quando deve eseguire i programmi extrascolastici (piscina, judo, musica, scacchi, ecc.) stabiliti dall’ex partner a sua insaputa, e fissati proprio nei suoi giorni di frequentazione: ciò lo trasforma nell’autista dei propri figli e lo priva di ogni ruolo genitoriale anche nel determinare il tempo passa con loro. Altre volte dovrà rinunciare alle vacanze estive o natalizie, essendo il o i minori “prenotati” per attività più gratificanti (classica la madre che prenota la settimana bianca o il club di lusso quando i figli dovrebbero partire con il padre per posti meno appetibili).
Nei quadri estremi di mobbing genitoriale, abbiamo due esiti: o quella che viene definita Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS- Parental Alienation Syndrome), vale a dire la partecipazione del minore alla campagna di denigrazione contro il genitore non affidatario, con il rifiuto di ogni rapporto con questi; o l’esautorazione quasi spontanea del genitore non affidatario da ogni aspetto della vita del figlio (Disenfranchised Father Sindrome), potendosi arrivare a comportamenti che sono l’analogo delle dimissioni forzate in ambiente lavorativo: il padre che rinuncia più o meno “spontaneamente” ad esercitare il proprio ruolo perché non può far fronte agli ostacoli che ne mobbizzano il ruolo. La descrizione del quadro clinico, maturata dallo studio di circa ottomila casi (The Disenfranchised Father Sindrome; Rowles, 2003) dimostra come il genitore deprivato della genitorialità (cioè il genitore mobbizzato) un padre disadattato, depresso, a rischio di gravi problematiche psicosomatiche, potenzialmente affetto da Sindrome Post Traumatica da Stress. Nella nostra esperienza, un padre (o un genitore) con tali caratteristiche, diventa anche un genitore potenzialmente del tutto disinteressato ai figli (soprattutto per difesa dal trauma e dal lutto che perpetuamente altrimenti gli si rinnoverebbe). Studi americani dimostrano che fra i genitori separati (in genere i padri, per logica statistica) è presente la stessa tipologia di psicopatologia dei lavoratori vittime di mobbing (Rowles, 2003). In queste statistiche loro vi è poi il rilievo che il padre economicamente inadempiente verso i figli è con grande frequenza un padre mobbizzato dal suo ruolo. Secondo i dati della Associazione EX, che ha monitorato gli omicidi in famiglia, i padri separati sono notevolmente sovra-rappresentati fra coloro che commettono delitti e stragi di familiari”.
Dott.ssa Sofia Canapini
Psicologa
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